Il consigliere togato del CSM intervenuto ieri su Telecolor con Antonio Ingroia e Salvatore Borsellino
"Noi siamo usciti dall'emergenza che c'era negli anni novanta in cui occorreva arrestare capi decina, killer e capi mandamento perché bisognava sradicare la struttura portante di Cosa Nostra. Oggi occorre conoscere la realtà esistente dei rapporti tra il potere e la criminalità, che poi alla fine questo è la mafia".
Sono state queste le parole con cui il consigliere togato del CSM Sebastiano Ardita è intervenuto ieri al programma Terzo Piano su Telecolor. "I collaboratori vanno portati nella condizione di fare una scelta che è difficilissima" ha detto Ardita, "in quanto comporta per sé e per la famiglia molte restrizioni". Inoltre Ardita ha ricordato l'importanza dei collaboratori perché nel corso dei vari iter processuali hanno dato un contributo fondamentale e non "marginale o inutile".
Infatti chi collabora può offrire, come ha detto il magistrato, "una sorta di radiografia attuale tra i rapporti che esistono tra la criminalità e il potere", aggiungendo anche che, "se si vuole assumere un atteggiamento di mero contenimento del fenomeno mafioso nel nostro Paese si rinuncia alla conoscenza della verità. Come ha fatto purtroppo lo Stato italiano negli ultimi anni".
Il consigliere del Csm ha poi messo l'accento sul fatto che occorre lavorare affinché i collaboratori siano messi "nella condizione di fare tale scelta. Non basta una legge. Occorre avere dei progetti" e "sollecitare le collaborazioni in modo costruttivo e fisiologico".
E poi ancora "i pentiti non vanno costruiti, altrimenti vengono fuori dei casi come è accaduto per Scarantino”. Ardita ha poi sottolineato il fatto che "alcuni dei collaboratori sono venuti fuori quando stavo all'ufficio detenuti. Ad esempio Gaspare Spatuzza che è un caso di collaborazione nel quale c'è anche una componente di pentimento morale". Infatti, come ha ricordato Ardita, "ogni volta che parlava dell'omicidio di don Pino Puglisi non riusciva a non piangere".
In conclusione il magistrato ha detto che "occorre far sì che la collaborazione dia dei frutti in termini di conoscenza della realtà criminale" il tutto fatto "in modo laico, senza credere a tutto quello che viene detto. Infatti la normativa sui pentiti ha previsto nella sua ultima versione una stringente attività di controllo, in merito alla concretezza di quello che viene detto. Nulla viene regalato ai collaboratori di giustizia".
Durante la trasmissione si è poi cambiato argomento portando in esame la questione della gerarchizzazione all'interno delle procure. Sul punto secondo il magistrato catanese "occorre modificare le cose che non funzionano al vertice della gestione della magistratura e non alla base.
I cittadini - ha aggiunto - hanno bisogno di avere delle persone che svolgono una funzione giudiziaria nel modo più sereno, indipendente e autonomo possibile. Quello di cui non hanno bisogno è di un potere che si sovrappone, che si centralizzi e verticizzi fino a compiere delle cose che invadono altri poteri".
E poi ancora, in riferimento alle correnti all'interno della magistratura "il punto fondamentale sta nell'agire in modo radicale sul sistema delle correnti che secondo me meriterebbe un reset" con l'introduzione del "sorteggio temperato" sul lavoro di incentivazione "dell'indipendenza del singolo magistrato". Infine il consigliere ha detto che se i controllori non hanno credibilità, "i controllati la perdono a loro volta" e così facendo perdono "di credibilità di fronte ai cittadini".
Ingroia: “Su Brusca politica irritata perché parlò del papello e della trattativa"
Insieme a Sebastiano Ardita è intervenuto anche l’ex procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, oggi avvocato che ha parlato in merito alla scarcerazione del boss stragista, oggi pentito, Giovanni Brusca, a seguito della quale si è sollevato un gran polverone mediatico e politico. “Io dico che in questo momento c'è grande confusione" ha detto Ingroia, "e in questo clima si rischia di non far prevalere la ragione. La verità è che senza collaboratori di giustizia noi oggi non saremmo nella situazione in cui siamo. Certo la mafia non è stata sconfitta ma la mafia militare ha subito gravissimi danni".
Santino Di Matteo, padre del piccolo Giuseppe Di Matteo (sciolto nell'acido su ordine di Brusca) "è libero, ed è uno degli assassini di Falcone. Ma siccome meritoriamente ha deciso di collaborare e raccontare come si è svolta la strage coinvolgendo anche Brusca" lo Stato gli ha concesso dei benefici.
Quello che secondo l'avvocato "puzza e fa strano" nell'ambito della scarcerazione di Brusca sta nel fatto che la politica non si è mai fatta sentire come in questo periodo. "Perché solo con Brusca? Perché lui ha parlato del papello e della trattativa stato-mafia".
Allacciandosi a quello che ha detto il consigliere Ardita poc'anzi in merito alla gerarchizzazione delle procure, Ingroia ha detto che "abbiamo avuto e abbiamo prevalentemente capi di procura a cui sono stati dati certi incarichi soltanto quando erano abbastanza omologati al potere politico" e che "la vicenda di Nino Di Matteo, il quale è stato estromesso dalle indagini più importanti, è un esempio emblematico".
Borsellino: "Politica si batte il petto ma al contempo vuole abolire l'ergastolo ostativo"
Su Brusca ha parlato anche Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo Borsellino. La posizione del fondatore delle “Agende Rosse” è chiara: "Mi ripugna il fatto che sia stato rimesso in libertà" ma "questa è la legge voluta da Falcone. E lui era uno stratega che faceva veramente la lotta alla mafia. E vedere tutta questa ipocrisia della politica che si batte il petto per la scarcerazione di Brusca e poi si accinge a modificare la legge sull'ergastolo ostativo mi fa venire il voltastomaco". Inoltre Salvatore ha aggiunto che la legge sull'ergastolo ostativo se venisse abolita "si vedrebbero entro poco tempo tantissimi come Brusca uscire senza neanche aver mai collaborato con la giustizia”, ha concluso.
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