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mori gr effdi Aaron Pettinari
I giudici in camera di consiglio. E gli imputati rilasciano dichiarazioni spontanee

La mancata cattura di Provenzano? “Sono stato assolto in primo grado e non sono emersi fatti nuovi”. Riccio? “Inseguiva l'arresto di Provenzano per le sue prospettive personali”. La cattura di Riina? “Fu tutto lineare e la mancata perquisizione decisa con i magistrati”. I rapporti con la destra eversiva e la massoneria? “Nessuna prova”. Le vicende di Terme Vigliatore? “Falso che la fuga di Santapaola sia un'opera del Ros” ma “si tratta di una delle vicende meno fortunate dei reparti da me comandati”. La Procura generale? “Propone solo teorie fantasiose mai provate, riassunte col nome di 'sistemi criminali', che vedono un complotto eversivo ideato da forze indipendentiste, estremismo di Destra, massoneria e mafia. Ma le prove dove sono?”. Con queste parole l'ex generale dei carabinieri Mario Mori, imputato di favoreggiamento, assieme all'altro ufficiale Mauro Obinu, per non aver arrestato Bernardo Provenzano a Mezzojuso nell'ottobre 1995, è intervenuto oggi al processo d'appello. Dichiarazioni spontanee che hanno visto entrambi gli imputati protagonisti di un vero e proprio “atto d'accusa” nei confronti della Procura generale (rappresentata in aula dal Pg Roberto Scarpnato e dal sostituto Luigi Patronaggio) che ha chiesto 4 anni e 6 mesi di reclusione per Mori e 3 anni e 6 mesi per Obinu. Dopo poco più di un'ora e mezza di udienza la Corte d'appello, presieduta da Salvatore Di Vitale, si è ritirata in camera di consiglio per giungere ad un verdetto.
Certo non sarà un tempo breve per i giudici il dover valutare le prove fin qui rappresentate dopo che l'accusa ha chiesto di modificare il capo di imputazione nei confronti dei due ufficiali. Rispetto al primo grado, che ha visto l'assoluzione di entrambi, è stato infatti chiesto di escludere l'aggravante dell'art. 7, contestata in primo grado e cioè aver agito per favorire Cosa Nostra ed anche l'aggravante di cui all'art. 61 n. 2 con riferimento al processo Bagarella + altri, quello sulla trattativa Stato-mafia.
Resta però la contestazione del favoreggiamento personale (art.378 comma 2 cp.) con l'aggravante di aver commesso il reato ricoprendo la funzione di ufficiali di Polizia giudiziaria (art.61 comma 9).

Il fatto
Secondo l'accusa, Mori e Obinu, nonostante le indicazioni precise del confidente Luigi Ilardo, che aveva indicato loro gli elementi per catturare il boss latitante Bernardo Provenzano, non solo non sarebbero intervenuti, facendo sfumare un blitz che avrebbe potuto portare al suo arresto, ma non avrebbero neppure proseguito le indagini su quelli che erano stati indicati come favoreggiatori, né comunicato le informazioni alla Procura. In primo grado, il generale Mori e il colonnello Obinu sono stati assolti “perché il fatto non costituisce reato”. Ma il Pg Scarpinato e il sostituto procuratore generale Luigi Patronaggio sono convinti che una responsabilità ci fu: “Se si esaminano tutte queste vicende in una visione unitaria e complessiva - hanno detto in aula - ci si rende conto che esiste una costante, e cioè che l'imputato effettua una manipolazione del potere istituzionale, ma anche un'alterazione delle procedure legali, e successivamente sarà costretto a dare spiegazioni non plausibili”. I due magistrati definirono Mori come un soggetto “dalla doppia personalità e dalla natura anfibia che sfrutta il proprio ruolo per raggiungere altri fini, occultando ed omettendo di avvisare l'autorità giudiziaria". Ricostruzione che secondo l'ex ufficiale del Ros non corrisponde alla verità.

Assurdità Terme Vigliatore
Durante le dichiarazioni spontanee Mori, che come Obinu ha più volte sottolineato di non essersi avvalso della prescrizione del reato, ha cercato di smarcarsi anche da quegli elementi emersi nel corso del dibattimento. In primis i fatti di Terme Vigliatore, con la mancata cattura del boss Benedetto Santapaola ed un assurdo inseguimento, svolto da parte degli uomini del Ros del capitano Sergio De Caprio, conclusosi con una sparatoria che per poco non uccideva il giovane Fortunato Giacomo Imbesi, scambiato per il latitante Pietro Aglieri. Una vicenda assurda che Mori archivia come “la meno fortunata” dei reparti da lui comandati accusando la Procura generale di non aver portato nuovi elementi. In realtà, però, di elementi nuovi sulla vicenda sono emersi dalle indagini e nel corso del dibattimento, a cominciare dalle testimonianze della famiglia Imbesi (che in quel giorno subì anche una perquisizione a casa) che prima d'ora non erano mai stati ascolati, ed anche quelle (spesso reticenti e zeppe di “non ricordo”) di alcuni militari che presero parte a quell'operazione. Mori sostiene anche che, “se davvero si fosse voluto far scappare Santapaola sarebbe bastato girare due tre macchine con i colori d'istituto per più giorni”. E' una sorta di gioco sulle responsabilità. Addirittura arriva a sostenere che “l'eco dei colpi di pistola, sparati ad oltre mille metri in linea d'aria, non era udibile in ora diurna dal luogo in cui vi sarebbe stato il latitante o i suoi complici”.
Peccato che nella sentenza del processo che si è occupato di questi fatti, dove viene “ritenuta buona” la versione del Ros e degli uomini di Ultimo, viene scritto che “se davvero l'intento era quello di far saltare l'operazione dell'arresto di Santapaola si sarebbe dovuto eseguire un blitz in una delle villette vicine al covo”. “Ed è proprio quello che è accaduto – aveva ricordato Scarpinato durante la requisitoria – Venne infatti realizzata una perquisizione nell'abitazione degli Imbesi da uomini diversi da quelli che operarono nell'inseguimento. Un'irruzione armata che fu effettuata da altri corpi, soggetti che non siamo riusciti ad individuare e che non compaiono nemmeno nel verbale di quella perquisizione”.

Attacco a Riccio
Mori, poi, durante le dichiarazioni spontanee ha cercato di demolire, anche in maniera gratuita, il colonnello Michele Riccio, reo a suo dire di “voler catturare Provenzano per inseguire prospettive personali e scrollarsi di dosso i problemi giudiziari” e di utilizzare “un approccio investigativo che rischiava di andare oltre al limite consentito, sconfinando nella spregiudicatezza e talvolta nell'illecito”. Quindi ha tentato di scaricare su Riccio la mancata comunicazione delle informazioni. Prova contraria a questa teoria, però, è data dalle relazioni che lo stesso Riccio trasmetteva agli ufficiali. Il pg Patronaggio aveva già ricordato durante la requisitoria come “l'inerzia – dice Patronaggio – non è del colonnello Riccio ma dei due imputati che mettono in atto un uso distorto e strumentale delle proprie prerogative. E l'atteggiamento del Riccio è quello di chi in un primo momento crede di operare all'interno del Ros, che quindi deve sottostare a certe dipendenze gerarchiche, mentre in un secondo momento, progressivamente, prende coscienza dell'inerzia degli imputati assolutamente dolosa. E sulla credibilità ed attendibilità del colonnello era anche intervenuto il Pg Scarpinato che aveva sottolineato come dalle dichiarazioni di Riccio emergesse "un nucleo di verità”. L'ex comandante del ros dei carabinieri ha poi rigettato quei sospetti inseriti nella requisitoria di Scarpinato e Patronaggio sul “modus operandi” fuorilegge. “Il mio comportamento è stato sempre lineare – ha detto. Il ritardato blitz nella casa di Riina fu una scelta presa d'intesa fra magistratura e carabinieri. E i giudizi della Procura generale sono sprezzanti e ingiusti”. Quindi ha rivendicato la stima e la fiducia avuta da tante figure istituzionali e politiche come Berlusconi, Prodi, Scalfaro e Napolitano per poi ribadire: “Sono stato accusato dalla procura generale di fare parte della massoneria e di avere rapporti con la destra eversiva, ma non sono state portate prove. Ho avuto la stima di un magistrato al di sopra di ogni sospetto che ha fatto un'indagine importante sulla massoneria, il dottore Cordova”. Adesso, però, il tempo delle parole è finito e non resta che aspettare una nuova sentenza.

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