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santapaola-nitto-web0La memoria dei pg Scarpinato e Patronaggio al processo dell’ex generale dei Ros
di Miriam Cuccu - 26 settembre 2014
Tra le “nuove prove” presentate al processo di Appello Mori-Obinu dall’accusa – rappresentata dai pg Roberto Scarpinato e Luigi Patronaggio – spunta anche la questione della mancata cattura del boss catanese Nitto Santapaola (in una foto d'archivio). Una delle “ombre” che caratterizzerebbe la carriera dell’ex generale dei Ros già imputato, insieme al colonnello Mauro Obinu, per non aver arrestato Bernardo Provenzano a Mezzojuso nel ’95. Vicende che già fanno parte delle nuove indagini della Procura di Palermo – nello specifico del pool trattativa Stato-mafia – e confluite nel processo di Appello a carico dei due ex ufficiali dei Carabinieri.

Il fatto risale all’aprile del ’93 quando, si legge nella memoria, a Terme di Vigliatore, nel Messinese, il boss Santapaola allora latitante, “fu intercettato mentre parla con esponenti della criminalità mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto all’interno di un locale”. Di questo venne subito informato Mori, tramite il maresciallo della sezione anticrimine di Messina Giuseppe Scibilia. E l’allora colonnello, che si trovava in quel momento a Roma, replicò che “avrebbe provveduto”. Ed infatti, così come risulta dall’agenda dello stesso Mori, il giorno successivo si recò il giorno seguente a Catania.

Ma il blitz contro il capomafia sfumò nel momento in cui, lo stesso 6 aprile ’93, si verificò un fatto “imprevisto” che fece saltare l’operazione. Il capitano Sergio “Ultimo” De Caprio “mentre si trovava ‘casualmente’ in transito nella zona dove era stato localizzato il giorno prima Santapaola” insieme al capitano Giuseppe De Donno e altri militari del Ros aveva individuato un uomo, scambiato per il latitante Pietro Aglieri. Dopo un inseguimento era stato invece accertato che si trattava di un giovane incensurato rispondente al nome di Fortunato Giacomo Imbesi, figlio di un imprenditore della zona.

A seguito di una complessa attività investigativa, però, è stato accertato che “è stata fornita una versione falsa degli avvenimenti, rappresentando false circostanze, omettendo di riferirne altre determinanti ed arrivando al punto di falsificare dei documenti”. Senza contare, si legge nella memoria, che tra Fortunato Giacomo Imbesi e Pietro Aglieri “non esisteva alcuna somiglianza fisica”.

Secondo la ricostruzione della Procura generale i militari del Ros, infatti, non si trovavano casualmente a Terme di Vigliatore, “ma ricevettero lo specifico ordine di servizio di recarsi quel giorno, in quel luogo, perché si doveva eseguire una operazione di polizia effettuando una preventiva ricognizione del territorio”, e alcuni dei quali “furono fatti venire anche da Milano e da altre sedi”. Non solo. I militari che diedero inizio all’operazione parcheggiarono “le autovetture dinanzi ad una villa posta a 50 metri di distanza dal locale nel quale il giorno precedente era stato intercettato il Santapaola ed invece di fare irruzione in quel locale, fecero una irruzione armata nella villa degli Imbesi”.

Della vicenda il Ros non ritenne di informare né la magistratura che aveva intercettato il boss latitante, né il maresciallo Scibilia. Neppure negli atti ufficiali si trova traccia dell’incursione a villa Imbesi, nel cui verbale non viene indicato il nome dei militari che presero parte alla perquisizione e in cui manca la sottoscrizione delle persone che subirono la perquisizione. Unica firma presente quella del carabiniere Pinuccio Calvi il quale, sentito dagli inquirenti, ha dichiarato che la propria firma è stata falsificata. Da chi?

E’ uno dei tanti quesiti che emergono rileggendo la memoria della Procura generale. Un altro elemento sconcertante è che tutti i militari del Ros risultanti dagli atti ufficiali e che quel giorno risultavano presenti hanno affermato “di non avere partecipato all’irruzione armata e di non sapere chi fossero gli uomini che l’avevano eseguita”.

Ovviamente, a seguito dell’irruzione, “Santapaola non si recò più nel luogo dove era stato intercettato” e la polizia lo arrestò il mese dopo, il 18 maggio. A poco più di due anni di distanza, il 31 ottobre del ’95, la storia si ripete: Luigi Ilardo, reggente del mandamento di Caltanissetta e confidente del colonnello Riccio, aveva portato il Ros nelle campagne di Mezzojuso, alle porte del caseggiato dove Bernardo Provenzano si nascondeva. Mori, però, stoppò il blitz e pochi mesi dopo Ilardo venne assassinato, prima di diventare a tutti gli effetti collaboratore di giustizia.

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