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"In queste ultime settimane ho letto a proposito del 41 bis le stesse obiezioni e critiche che mi vennero rivolte in quei tormentati anni 1991-1993. Forse è il caso di chiarire come e perché si adotta quella misura. Quando sono diventato ministro, una delle questioni più urgenti da affrontare era quella del funzionamento della 'macchina' del crimine. I boss mafiosi in carcere gestivano con estrema facilità tutti gli affari in contatto con l'esterno cioè con i capi delle cosche. Nei primi giorni di giugno del 1992 dovevamo dare una dura risposta alla mafia per la strage di Capaci. Il governo approvò un decreto legge, l'8 giugno, con un numero elevato di misure necessarie per rafforzare i poteri di indagine e di giudizio della magistratura e chiudere il cerchio delle norme antimafia. Alla riunione finale dei due ministri chiesi di affrontare la questione del rapporto tra mafiosi in carcere e fuori. La proposta fu quella dell'isolamento per impedire in ogni modo i rapporti tra i boss in carcere e quelli fuori, offrendo ai carcerati di scegliere tra collaborare e andare in isolamento. Dibattiti di stagione, si dirà. La criminalità organizzata però non è un fatto di stagione. Lo stesso Saviano sottolinea che 'nessuno può essere chiuso a chiave senza appello' e io sono d'accordo con lui". Lo ha scritto ieri l'ex ministro dell'Interno Vincenzo Scotti in un'intervento su 'La Stampa'. "Se fosse vero che Messina Denaro", sottolinea ancora Scotti, "è al corrente di molte cose' questa nostra legge gli dà opportunamente la possibilità di liberarsi dell'afflizione prevista dal 41 bis: basta che ci dica quelle 'cose'. Questo vale per il fresco detenuto come per gli altri boss che popolano le nostre carceri. Il 41 bis è un chiavistello che costoro hanno in mano e se decidono di parlare serve ad aprire se non le porte del carcere almeno quelle che li separano dal mondo, in modo da rompere il circuito tra chi sta dentro da chi sta fuori che è appunto il fine di quella misura".
"È bene poi ricordare che quella legislazione che tanto fece discutere negli anni Novanta e i cui risultati credo non debbano andare dispersi nel chiacchiericcio, è un corpus nel quale tutto si tiene: smontare il 41 bis significherebbe dare il via alla sua demolizione. Non mi sembra sia ancora tempo di demolire, pensando di trovarci di fronte a una criminalità radicalmente cambiata con la quale sarà bello discutere amabilmente", prosegue l'ex ministro dell'Interno Scotti. "Torniamo al 41 bis: Falcone presiedeva il gruppo di lavoro per il regolamento dei collaboratori di giustizia - conclude - Terminati i lavori non portava il testo alla firma. Sollecitato in Parlamento per il ritardo chiamai Falcone che mi disse che lui era molto convinto per averlo proposto ma, aggiunse, questo strumento è delicatissimo e richiede magistrati di altissimo livello e rigore per non rischiare che sia il collaboratore a guidare il magistrato. E questa sarebbe oggi una riflessione che il giudice palermitano potrebbe prendere in considerazione, nel dibattito sulle intercettazioni telefoniche e l'art. 41 bis. Nello stato attuale delle trasformazioni delle reti criminali transnazionali e di quelle del territorio italiano (si pensi alla presenza della 'ndrangheta) non c'è spazio per ipotesi quali la cancellazione al buio di parti determinanti della legislazione antimafia degli anni Novanta, i cui risultati non sono contestabili. Il passaggio da Corleone a una rete silente è la sfida di oggi".

Foto © Imagoeconomica

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