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Su Messina Denaro: "Sue conoscenze possono scardinare l'onorabilità di tanti illustri politici"

Dalla cattura di Matteo Messina Denaro, boss capace di “farsi imprenditore nonostante fosse ricercato da tutte le forze di polizia”, alle considerazioni sulle ultime proposte del Ministro della giustizia Carlo Nordio. Sono questi gli argomenti che abbiamo trattato con il Procuratore generale di Cagliari Luigi Patronaggio. A Palermo, in Dda e da sostituto procuratore generale si è occupato a lungo della latitanza di Totò Riina, Leoluca Bagarella, Gaspare Spatuzza, Giuseppe e Filippo Graviano. Quindi ha istruito in Appello importanti processi come quelli che hanno visto imputati l’ex governatore Salvatore Cuffaro, l’ex senatore Marcello Dell’Utri, ed i carabinieri Mario Mori e Mauro Obinu. Anche per questo la sua opinione su quanto avvenuto nelle ultime settimane diventa di interesse.

Procuratore Patronaggio, finalmente è stata posta fine alla latitanza di Matteo Messina Denaro. Caso ha voluto che sia avvenuto trent'anni e un giorno dopo l'arresto di un altro capomafia storico: Totò Riina. Come ha vissuto la notizia?
Ho vissuto la notizia dell'arresto con evidente compiacimento anche se il primo pensiero è andato a quanti hanno perso la vita nella lotta alla mafia ed in particolare ai cittadini innocenti della strage di Firenze. Le coincidenze di data lasciano il tempo che trovano, così come le dietrologie gratuite, anche se avrei gradito maggiore compostezza in taluni atteggiamenti di esponenti politici che si sono attribuiti il successo senza alcun titolo.

Guardando il profilo che esce fuori da alcuni atteggiamenti del capomafia sembra di vedere qualcosa al di fuori da ogni schema. Totò Riina si nascondeva in una villa a Palermo. Provenzano in un casolare di campagna. Lui, secondo quanto sta emergendo, in una serie di luoghi a Campobello di Mazara, senza rinunciare alle proprie passioni e agli agi della vita. Come valuta questa differenza?
Il luogo dell'arresto e la scoperta dei covi a Campobello di Mazara ci confermano quanto abbiamo sempre sostenuto e cioè che Matteo Messina Denaro è sempre stato latitante a casa propria. La presenza sul territorio del latitante mafioso è una costante delle indagini di mafia ed è necessitata dal fatto che la presenza serve a gestire gli affari e ad affermare il controllo e il predominio sui luoghi.
Nel caso di Messina Denaro è sorprendente la fittissima rete di fiancheggiatori di cui ha goduto, a tutti i livelli, e la sua capacità di farsi imprenditore nonostante fosse ricercato da tutte le forze di polizia.

Ancora oggi sono in corso perquisizioni a tappeto. Cosa che non avvenne trent'anni fa per Riina...

La mancata perquisizione del covo di Riina è storia ormai scolpita in diverse sentenze laddove la verità processuale oscilla fra l'equivoco e l'inefficienza. Sicuramente allora non si fece quel lavoro che è stato fatto con la cattura di Provenzano e quanto si sta oggi facendo dopo la cattura del boss trapanese.
I dati investigativi provenienti da una perquisizione a caldo sono importantissimi ed insostituibili come insegnano tutti i manuali di polizia da Dalla Chiesa in poi.


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La primula rossa di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro, arrestato dai carabinieri del Ros lo scorso 16 gennaio


A Campobello di Mazara sembra che il boss abbia vissuto almeno nell'ultimo anno. Ci ha colpito molto il dato per cui in quella stessa città, appena lo scorso settembre c'erano state anche importanti operazioni ed arresti. Di che tipo di protezioni ha goduto per poter vivere, come si evince da diversi elementi, liberamente a pochi chilometri da Castelvetrano? Bisogna guardare alla "borghesia mafiosa" o ancora più in alto?
Da sempre siamo stati convinti che una latitanza come quella di Matteo Messina Denaro è possibile solo se godi di una fittissima rete di fiancheggiatori a tutti i livelli. Ha goduto dell'appoggio degli imprenditori collusi che gli hanno permesso una latitanza dorata. Ha goduto inoltre dell'appoggio di medici e colletti bianchi e di una parte della massoneria deviata particolarmente attiva nel trapanese fin dai tempi della Loggia Scontrino.
Al di sopra di queste categorie è lecito sospettare ma occorrono verifiche processuali. Ad oggi ricordo solo il legame accertato con sentenza fra i Messina Denaro e l'ex senatore D'Alì con tutto ciò che nel trapanese può rappresentare in termini di consenso e visibilità.

Quanto possono aver pesato i segreti di cui Messina Denaro è custode, come dichiarato da più collaboratori di giustizia, in questi anni di latitanza? E oggi quanto pesano questi segreti?

Matteo Messina Denaro è stato il protagonista indiscusso della strategia stragista di Cosa nostra e successivamente di quella moderata dell'inabissamento. In tale sua duplice veste il patrimonio di conoscenze in suo possesso è tale da potere scardinare l'onorabilità di tanti personaggi illustri della vita politica non solo siciliana. Non so se tali informazioni lo hanno avvantaggiato nella latitanza, di sicuro va registrato che oggi si è catturato solo un capo mafia che a causa della sua malattia ha pochi mesi di vita e questa è una circostanza su cui riflettere.

Per lei che portata ha questo arresto nel futuro della lotta alle mafie? Può esserci il rischio, a suo modo di vedere, che con questo arresto, parlando di mafia sconfitta, l'opinione pubblica dimentichi la ricerca della verità sulle stragi?

L'arresto di Matteo Messina Denaro è un indubbio successo alla lotta alla mafia e non va affatto sottovalutato, atteso che insieme a lui crollerà quella fitta rete di imprenditori e di interessi che lo hanno reso inarrestabile. La mafia non è morta, ma ha subito un altro duro colpo e con questo arresto, e con le relative indagini da sviluppare, la lotta alla mafia ripartirà da un gradino sicuramente più alto.
Quanto alle indagini sulle stragi, sui mandanti occulti, sulla strategia della tensione e del ricatto, temo che sarà materia per gli storici perché oggi in giro vedo molta rassegnazione e pochi coraggiosi investigatori assolutamente soli, disarmati e smarriti.

Matteo Messina Denaro era uno stragista poi ha seguito la linea Provenzano nell'inabissamento di Cosa nostra più orientata agli affari che ai delitti. Quindi nel 2012, come raccontato da importanti pentiti, è tornato ad ordinare attentati, come quello nei confronti del magistrato Nino Di Matteo, per conto di "altri". E' corretto dire che con troppa facilità si parla di fine dell'epoca stragista?

A mio giudizio oggi non ci sono le condizioni per un ritorno ad una politica stragista da parte di Cosa nostra. La mafia siciliana è oggi frammentata e ha perso buona parte della sua capacità militare e anche i suoi legami più oscuri si sono assottigliati. Escluderei un ritorno ad una strategia di distruzione indiscriminata con ordigni rivolti verso obiettivi civili. E comunque mi domando: oggi a chi gioverebbe?
Purtroppo non escludo che colleghi coraggiosi ed esposti, che costituiscono delle vere e proprie spine nel fianco di Cosa nostra e della 'Ndrangheta, corrano realmente dei rischi forse anche più di ieri a causa di un clima di isolamento e di incomprensione.


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Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio © Imagoeconomica


Altro elemento di forte discussione in questa prima settimana sono state le parole quasi “profetiche” di Salvatore Baiardo. Lei come le valuta?

Baiardo è un personaggio ambiguo e screditato. Era stato messo, tanto tempo fa, nelle condizioni di diventare un collaboratore di giustizia ed ha invece preferito mantenere una posizione ambigua. Oggi non si capisce bene perché e per chi parla Baiardo, ma una considerazione va fatta: se le sue dichiarazioni fossero sgradite ai Graviano dovrebbe avere paura a mostrarsi in TV ... Invece sembra proprio che non tema nulla. C'è quindi materiale di riflessione e di analisi al di là delle facili profezie.

Certo è che il momento storico sul piano politico e legislativo è particolare. La partita sull'ergastolo ostativo non è affatto chiusa. La Corte Costituzionale ha rimandato le valutazioni alla Cassazione. C'è il rischio che trent'anni dopo le stragi i boss tornino in libertà?

Temo che anche la partita per mantenere l'ergastolo ostativo e il carcere duro sia persa. Dietro gli alti principi della CEDU si nascondono purtroppo interessi discutibili e di parte. Ritengo che il massimo che si possa ottenere sia l'avvio di stringenti e seri accertamenti per verificare l'effettiva residua pericolosità del dissociato ma non c'è dubbio che sta volgendo al termine una stagione e che le collaborazioni saranno sempre più difficili.

Anche sul piano legislativo sono in discussione varie norme, dalla riforma Cartabia si passa alla futura riforma Nordio, con tante idee. Su tutte quella di intervenire sulle intercettazioni e sull'abuso d'ufficio.

Con franchezza le dico che non condivido le idee di Nordio e ancor di più non condivido il modo di rappresentarle. Il ministro si professa liberale e garantista, posizione assolutamente nobile, ma il suo modo di agire è oggettivamente penalizzante per il lavoro di tanti PM onesti e seri. Le posizioni di Nordio non sono ancorate a fatti concreti, ad abusi che andrebbero doverosamente denunziati e sanzionati, ma si risolvono in una petizione di principio con una forte caratterizzazione di parte. Vero è che il ministro è espressione di una maggioranza politica la cui volontà, ogni qual volta si traduce in legge, va doverosamente rispettata ed applicata. Ma da un ministro della giustizia ci si aspetterebbe maggiore cautela e senso istituzionale.

Foto di copertina © Imagoeconomica

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