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Il libro del giornalista e scrittore Saverio Lodato, scritto a quattro mani con il magistrato Nino Di Matteo per Chiarelettere dal titolo “Il Patto Sporco e il silenzio”, sbarca anche in Spagna dopo gli Stati Uniti grazie a un articolo del noto quotidiano “El Pais” su Matteo Messina Denaro. Il giornalista Daniel Verdú, facendo una disamina dei segreti indicibili di cui l’ex latitante di Cosa Nostra è in possesso, ha riportato alcune dichiarazioni di Saverio Lodato ricordando la recente uscita del libro: “Messina Denaro è stato protetto dai segreti che custodisce”, ha detto. “Ha informazioni sui segreti di 30 anni di rapporti tra mafia e Stato - ha aggiunto - Ed è stato arrestato ora perché i tempi erano maturi e lui, probabilmente, era stanco di vivere sempre in queste condizioni di latitanza”. Ora, secondo Lodato, “c’è da capire se ha intenzione di vivere in carcere o collaborare con la giustizia”.


il patto sprco mockup

30 anni di segreti hanno protetto Messina Denaro

L'omertà istituzionale e di organi dell’amministrazione sono stati gli elementi cardine perché l'ultimo padrino di Cosa Nostra non venisse arrestato

di Daniel Verdú

Matteo Messina Denaro, l'ultimo grande capo di Cosa Nostra, era il criminale più ricercato d'Italia. Per 30 anni è stata la grande ossessione dello Stato. Una sorta di Moby Dick, la cui latitanza è arrivata a compromettere la reputazione della magistratura e della polizia del paese. Ma il fantasma all'improvviso è stato arrestato lunedì scorso, in una clinica di Palermo, dove si recava per curare un cancro da circa un anno. È stato riscontrato che viveva a Campobello di Mazara, un piccolo comune siciliano, a soli tre chilometri dal suo paese natale, dove ancora risiede sua madre. Andava al bar, al supermercato, a cena abitualmente in pizzeria. Era cliente abituale di una boutique di Palermo, dove si concedeva capricci di lusso, come l'orologio Franck-Muller di 35.000 euro che portava al polso al momento dell'arresto. Perché nessuno è riuscito ad arrestarlo in 30 anni? C’è qualcosa che manca nel rapporto ufficiale dell'arresto che, secondo i magistrati e gli esperti interpellati, trova spiegazione nei diversi livelli di omertà che hanno caratterizzato la sua latitanza.

Non ci sono dubbi che Messina Denaro ha beneficiato di tre settori di protezione negli ultimi anni. Una copertura di alto livello, che ha coinvolto funzionari dell’amministrazione e politici (ci sono stati diversi arresti quest'anno). Si è servito di un profilo medio che gli ha permesso di allacciare rapporti proficui con imprenditori ed è stato assistito da medici, avvocati e fornitori di servizi che si sono girati dall'altra parte quando è stato necessario. Gli investigatori la chiamano 'borghesia mafiosa' e alla fine non è stato mai  tradito neanche dai suoi concittadini, i quali, come è successo a Campobello o a Castelvetrano, continuano a vedere in lui un benefattore. “È un brav'uomo. È stato un errore arrestarlo”, ha dichiarato quasi protestando un vicino di Castelvetrano. “La provincia di Trapani ha una densità mafiosa molto alta e non si fidano dello Stato. Se devi trovare lavoro o da mangiare te lo possono garantire solo i mafiosi. È la cultura mafiosa il grande problema. I mafiosi da soli si possono sconfiggere”, spiega il giornalista siciliano Attilio Bolzoni, uno dei maggiori esperti di Cosa Nostra.

Il motivo per cui Messina Denaro ha goduto di una protezione di così alto livello, secondo alcuni giudici ed esperti, sono i segreti che l'ultimo capo di Cosa Nostra ha custodito riguardo il periodo più sanguinolento dell'organizzazione e degli attentati del 1992 e del 1993 a Roma, Milano, Palermo e Firenze. Saverio Lodato, giornalista e saggista, amico del giudice Giovanni Falcone, assassinato da Cosa Nostra con una bomba nel 1992, è convinto che “i segreti che custodisce hanno protetto Messina Denaro”. È in possesso di dati di 30 anni di segreti interni tra lo Stato e la mafia, della relazione che hanno avuto. È stato arrestato adesso perché i tempi sono maturi e probabilmente era stanco di vivere in quelle condizioni. Dovrà decidere se vorrà continuare a vivere in carcere o collaborare. In questo caso conviene domandarsi se viene prima l'omertà della gente o quella dello Stato. Vanno sempre a braccetto”, sottolinea il giornalista che ha appena pubblicato il libro 'Il Patto Sporco ed il Silenzio' insieme al magistrato Di Matteo.




L'arresto del super latitante di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro, lo scorso 16 gennaio a Palermo


L'Italia ha vissuto per anni in attesa delle conclusioni che potessero emergere dal caso Trattativa Stato-Mafia (accordo Stato-Mafia). Una indagine che ha cercato, per anni, tantissime prove circa la possibile trattativa tra l'organizzazione al tempo gestita da Totò Riina - durante gli anni ottanta fino al principio degli anni novanta - ed il Governo italiano.  Il sospetto è che per frenare l'onda di attentati lo Stato si è reso disponibile ad ammorbidire le dure condizioni carcerarie dei 400 detenuti e a concedere altri privilegi legali.

Nino Di Matteo è stato il magistrato incaricato di esaminare la questione solo negli ultimi anni. Non ha alcun dubbio che questo sia uno degli elementi che ha permesso a Messina Denaro di rimanere in libertà. “Purtroppo il nostro paese ha vissuto situazioni analoghe altre volte. Riina è stato latitante per 23 anni, Provenzano per 43. La storia giudiziaria ci ha tristemente insegnato che queste latitanze sono state così lunghe perché la rete di protezione attorno non era solo mafiosa ma anche, in molti casi, tessuta da ambienti politici, imprenditoriali e professionali. Incluso istituzionali. Ora bisognerà determinare se anche Matteo Messina Denaro ha goduto di coperture e protezioni particolari”, indica al telefono.

Uno dei giudici che conosce meglio il caso di Messina Denaro è il siciliano Roberto Scarpinato che per anni ha indagato su Cosa Nostra e sul clan dei corleonesi, avendo fatto parte del leggendario pool Antimafia di Giovanni Falcone. “Matteo Messina Denaro è coinvolto negli attentati del 1992 e del 1993 ed è uno dei pochi che conoscono segreti importantissimi che vedono coinvolti uomini potenti e complici della mafia. Durante le indagini che abbiamo fatto su di lui abbiamo riscontrato che era protetto da agenti delle forze di polizia che gli fornivano informazioni utili a sfuggire ogni volta alla cattura. Alcuni sono stati arrestati e altri condannati”, ha riferito questo magistrato attualmente senatore.

Poco dopo, Scarpinato evoca un inquietante episodio televisivo vissuto da poco. “Due mesi fa, un altro importante boss di mafia in carcere, Giuseppe Graviano, ha mandato in televisione uno dei suoi uomini per annunciare pubblicamente che MMD era gravemente malato e che si sarebbe fatto arrestare in cambio di un accordo segreto che avrebbe permesso la futura scarcerazione di altri padrini condannati all'ergastolo per gli attentati. Anche loro sono custody di scottanti segreti di stato”, ha dichiarato, e la profezia di quell'uomo, lanciata in primo piano, si è compiuta.




La perquisizione dei carabinieri nella prima abitazione di Matteo Messina Denaro © Our Voice


L'indagine, conclusasi con l'arresto di Messina Denaro, guidata dalla Procura di Palermo con il supporto del procuratore aggiunto, Paolo Guido, è stata eseguita in maniera artigianale: ossia con il vecchio metodo del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, assassinato da Cosa Nostra nel 1982: intercettazioni, pedinamenti e verifiche delle liste di pazienti che potrebbero soffrire lo stesso tipo di cancro. La malattia e le sue derivanti, di fatto, sono state il “tallone di Achille” del latitante che, probabilmente, ha allentato le sue precauzioni. Negli ultimi tempi, comunque, si era fatto selfies con alcuni malati della clinica e scambiava il telefono con alcune pazienti.

L'Italia ora si divide tra coloro che pensano che è stato arrestato e quelli che pensano che si è fatto arrestare. Dubbi che condivide anche il magistrato Scarpinato. “Ultimamente tutti i suoi comportamenti erano cambiati. Aveva abbandonato i metodi sofisticati che usava prima e ha commesso una serie di errori da principiante come quello di utilizzare cellulari, farsi selfies, chattare su whatsapp o utilizzare documenti che appartenevano a parenti di altri boss Mafiosi”, ha dichiarato. “È una bufala. Nessuno vuole finire in prigione, tanto meno lui”, hanno sottolineato fonti a questo quotidiano. “Ma è anche vero che il suo stato di salute e una certa stanchezza possono aver influito sull'allentamento delle precauzioni”.

Messina Denaro ha sempre avuto ottimi contatti con le alte stanze del potere del Paese. In realtà lo scorso dicembre è successo qualcosa che potrebbe essere legato al suo arresto. Il padre del boss di Cosa Nostra ha cominciato la sua carriera criminale come custode dei terreni della famiglia D'Alì, proprietaria della Banca Sicula (che è stata la più importante della Sicilia fino al 1994, anno in cui è stata assorbita da un altro gruppo bancario). Le due famiglie hanno mantenuto una grande amicizia e hanno prosperato in settori diversi. Antonio D'Alì, figlio del fondatore, è stato in seguito senatore di Forza Italia e segretario di stato del Ministero degli Interni. Lo scorso dicembre ha dovuto arrendersi alla giustizia dopo essere stato condannato a sei anni di carcere per reati di mafia. È successo esattamente un mese prima della cattura di Messina Denaro.

Nessun dubbio quindi che Messina Denaro era protetto. Anche Bolzoni è convinto che la protezione è stata fornita da “apparati dello Stato”. “Per la prima volta alcuni settori della magistratura hanno lavorato bene. Ma il cratere di Capaci ora è troppo grande per un’aula di giustizia” ha espresso in riferimento all'attentato che uccise Falcone e altre quattro persone, tra cui la moglie e la sua scorta. I documenti ritrovati fino a questo momento non permettono di pensare che ci saranno risposte alle grandi domande degli ultimi 30 anni. Ma se Matteo Messina Denaro era l'ultimo capo, chi comanda ora? “Non c'è un leader definito. Esiste un settore imprenditoriale legato alla borghesia mafiosa. Cosa Nostra è tornata alla sua natura originale quando è finita la parentesi violenta dei corleonesi. Ora è mafia vera. Fa contratti, accordi, si infiltra... Non vuole problemi con lo Stato”. Comincia insomma ora una nuova era che non dovrà più fare i conti con il suo passato.

Traduzione a cura ACFB



 

30 años de secretos protegieron a Messina Denaro

La ‘omertà' institucional y de instancias medias de la administración fueron claves para que el último gran padrino de la Cosa Nostra no fuera arrestado

di Daniel Verdú

Matteo Messina Denaro, el último gran capo de la Cosa Nostra, era el criminal más buscado de Italia. Durante 30 años fue la gran obsesión del Estado. Una suerte de Moby Dick cuya desaparición llegó a comprometer la reputación de la magistratura y de la policía del país. Pero el fantasma, de repente, fue arrestado el pasado lunes en una clínica de Palermo donde se trataba desde hacía más de un año un cáncer. Resultó que vivía en Campobello di Mazara, un pequeño municipio siciliano, a solo tres kilómetros de su pueblo natal, donde todavía reside su madre. Iba al bar, a la compra, a cenar habitualmente a una pizzería. Incluso acudía regularmente a una boutique de Palermo para concederse caprichos de lujo, como el reloj Franck-Muller de 35.000 euros que llevaba en la muñeca cuando le detuvieron. ¿Por qué nadie consiguió en 30 años arrestarle? Hay algo que falla en el relato oficial de la captura, que se explica, según los magistrados y expertos consultados, a través de los distintos niveles de omertà que han marcado el compás de su escapada.

Messina Denaro, nadie lo duda hoy, ha gozado de tres efectivas esferas de protección en los últimos años. Una cobertura de alto nivel, que ha implicado a funcionarios de la administración y políticos (ha habido múltiples detenciones estos años). Se sirvió también de un escalón medio, en el que sus rentables negocios fueron un enlace con empresarios y fue asistido por médicos, abogados y proveedores de servicios que miraron hacia otro lado cuando hizo falta. Los investigadores lo llaman “burguesía mafiosa”. Y, finalmente, nunca fue delatado tampoco por sus paisanos que, como ha sucedido en Campobello di Mazara o Castelvetrano, siempre vieron en él a un benefactor. “Es un buen hombre. Y ha sido un error arrestarlo”, protestaba a este periódico el pasado miércoles un vecino de Castelvetrano. “La provincia de Trapani tiene una densidad mafiosa muy fuerte y no se fían del Estado. Si tienes que buscar trabajo y comida, solo te lo garantizan los mafiosos. Es el gran problema, la cultura mafiosa. Los mafiosos individualmente se pueden derrotar”, explica el periodista siciliano Attilio Bolzoni, uno de los mayores expertos en la Cosa Nostra.

El motivo de la protección al más alto nivel, para algunos jueces y expertos consultados, son los secretos que el último gran capo de la Cosa Nostra ha manejado sobre el periodo más sangriento de la organización y de los atentados de 1992 y 1993 en Roma, Milán, Palermo y Florencia. Saverio Lodato, periodista y ensayista, amigo del juez Giovanni Falcone, asesinado por la Cosa Nostra con una de aquellas bombas en 1992, cree que “los secretos que guardaba han protegido a Messina Denaro”. “Tiene los datos de 30 años de secretos entre el Estado y mafia, de la relación que mantuvieron. Ha sido arrestado ahora porque los tiempos están ya maduros y él, probablemente, estaba cansado de vivir en estas condiciones. Habrá que entender si quiere vivir en la cárcel o colaborar. En este caso conviene preguntarse qué viene antes, la omertà de la gente o del Estado. Siempre van de la mano”, apunta el periodista, que acaba de publicar el libro Il patto sporco e il silenzo, con el juez Di Matteo.

Italia ha vivido durante años pendiente de los resultados que pudiese arrojar el caso Trattativa stato-mafia (negociación Estado-mafia). Una investigación que buscó durante años pruebas sobre la negociación que pudo producirse entre la organización que entonces lideraba Totò Riina ―al frente de la misma durante los ochenta y principios de los noventa― y el Gobierno italiano. La sospecha es que a cambio de frenar los atentados, el Estado estuvo dispuesto a suavizar las duras condiciones carcelarias de 400 detenidos y concederles otros privilegios legales.

Nino Di Matteo ha sido el magistrado encargado de escudriñar durante los últimos años la cuestión. No tiene duda de que ese es uno de los elementos que ha mantenido en libertad a Messina Denaro. “Lamentablemente, nuestro país ha pasado por situaciones análogas otras veces. Riina también fue fugitivo 23 años, Provenzano, 43. La historia judicial, tristemente, nos ha enseñado que estas fugas han sido tan largas porque la red de protección en torno a ellos no era solo mafiosa, sino, en muchos casos, también tejida por ambientes políticos, empresariales y del mundo profesional. Incluso institucionales. Ahora habrá que determinar si MMD (Matteo Messina Denaro) también ha tenido coberturas y protección particular”, apunta al teléfono.

Uno de los jueces que mejor conoce el caso de Messina Denaro es el siciliano Roberto Scarpinato, que durante años investigó a la Cosa Nostra y al clan de los corleoneses, formando parte del legendario equipo antimafia de Giovanni Falcone. “MMD fue uno de los que atentaron en 1992 y 1993, y uno de los pocos que conoce secretos importantísimos que implican a hombres potentes y cómplices de la mafia. Durante las investigaciones que hicimos sobre él, comprobamos cómo le protegían agentes de las fuerzas de la policía, que le daban información para esquivar su detención. Algunos fueron arrestados y otros condenados”, apunta este magistrado, actualmente senador.

Poco después, Scarpinato evoca un inquietante episodio televisivo vivido hace poco. “Hace dos meses, otro importante capo de la mafia en la cárcel, Giuseppe Graviano, mandó a uno de sus hombres a la televisión para anunciar públicamente que MMD estaba gravemente enfermo y se dejaría arrestar a cambio de una negociación secreta que habría permitido en el futuro la excarcelación de otros padrinos condenados a cadena perpetua por los atentados. También ellos tienen información de los secretos de Estado”, apunta. Y la profecía de aquel hombre, lanzada en pleno prime time, se cumplió.

La investigación que ha dado con Messina Denaro, pilotada desde la Fiscalía de Palermo por el adjunto de la oficina, Paolo Guido, se ha llevado a cabo de forma artesanal; con el viejo método del general Carlo Alberto dalla Chiesa, asesinado por la Cosa Nostra en 1982: escuchas, seguimientos y comprobando una a una listas de pacientes que podían padecer el mismo cáncer. La enfermedad y sus derivadas, de hecho, fueron el talón de Aquiles del fugitivo que, probablemente, relajó sus precauciones. En los últimos tiempos, de hecho, se había hecho selfies con enfermeros de la clínica e intercambiaba el teléfono con algunas pacientes.

Italia se divide ahora entre quienes piensan que fue arrestado y los que creen que se hizo arrestar. Dudas que comparte también el magistrado Scarpitano. “Últimamente, todos sus comportamientos habían cambiado. Había dejado de lado los sofisticados métodos que usaba antes, y ha cometido una serie de errores de principiante, como utilizar teléfonos móviles, hacerse selfies, chatear en WhatsApp, o utilizar documentos que pertenecían a parientes de otros capos de la mafia”, apunta. “Es una absoluta tontería. Nadie quiere que le detengan, y menos él”, apuntan fuentes de la investigación a este periódico. “Pero es verdad que su estado de salud y un cierto agotamiento pueden haber influido en que tuviese menos precaución”.

Messina Denaro tuvo siempre óptimos contactos con las altas instancias del país. De hecho, el pasado diciembre sucedió algo que podría estar vinculado a su arresto. El padre del capo de la Cosa Nostra comenzó su carrera criminal como guardés de los terrenos de la familia D’Alì, propietarios de la Banca Sicula (que fue la más importante de Sicilia hasta que en 1994 fue absorbida por otro grupo bancario). Las dos familias trabaron amistad y prosperaron por distintos caminos. Antonio D’Alì, hijo del fundador, fue luego senador de Forza Italia y secretario de Estado del Ministerio del Interior. El pasado diciembre tuvo que entregarse a la justicia después de ser condenado a seis años de cárcel por delitos relacionados con la mafia. Fue exactamente un mes antes de que arrestasen a Messina Denaro.

Nadie duda, sin embargo, que Messina Denaro estuvo protegido. Bolzoni también cree que la seguridad se la proporcionaron “aparatos del Estado”. “Por primera vez algunas esferas de la magistratura han trabajado bien. Pero el cráter de Capaci es demasiado grande para entrar en un tribunal ahora”, apunta, en referencia al atentado que mató a Falcone y a cuatro personas, entre ellas su esposa y su escolta. La documentación hallada hasta el momento no permite pensar en que vaya a haber respuestas a las grandes preguntas de los últimos 30 años. Pero si Matteo Messina Denaro era el último capo, ¿quién manda ahora? “No hay un líder claro. Manda un sector empresarial ligado a la burguesía mafiosa. La Cosa Nostra volvió a su naturaleza original cuando se acabó el paréntesis violento de los corleoneses. Ahora es mafia de verdad. Hace negocios, se infiltra… no quiere problemas con el Estado”. Comienza ahora una nueva era, en suma, que ya no deberá hacer cuentas con su pasado.

Tratto da: elpais.com

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La rubrica di Saverio Lodato


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