La recensione del libro di Di Matteo e Lodato
“Carta canta” è un titolo alternativo che Saverio Lodato e Nino Di Matteo potevano tranquillamente scegliere per la nuova edizione di “Il Patto Sporco”, saggio-dialogo tra il giornalista antimafia e il pubblico ministero sulla trattativa Stato-mafia e il relativo processo. Il motivo è presto detto: a seguito del processo che, giunto in fase di appello e in attesa della pronuncia della Cassazione, ha mandato assolti quasi tutti gli imputati, la stampa - o meglio, certa stampa - prima si è scatenata nel recriminare inesistenza della cosiddetta trattativa e poi ha fatto calare il silenzio sulla vicenda.
“Il Patto Sporco e il Silenzio” è stato pubblicato proprio all’indomani del deposito delle motivazioni della sentenza d’appello in cui leggiamo di “un possibile dialogo finalizzato alla cessazione delle stragi” tanto che gli imputati “furono mossi da fini solidaristici e di tutela di un interesse generale […] dialogo volto al ripristino di un costume di rapporti effettivamente fondato su una reciproca coabitazione e almeno sull’abbandono di uno stato di guerra permanente” (pp.16). In attesa si pronunci la Cassazione, dopo lo scontato ricorso della Procura Generale di Palermo, abbiamo capito che per i giudici d’appello la cosiddetta trattativa ci fu eccome, “volta a favorire l’ala moderata di Cosa Nostra”. Sentenza quanto meno “discutibile”, come giustamente rileva Saverio Lodato: “Cosa pensavamo noi, prima di questa sentenza? Che, da mondo e mondo, lo Stato dovrebbe combattere la mafia, non scendere a patti per rabbonirla. E con l’effetto, peraltro, di galvanizzarla, rendendola ancora più feroce” (pp.18). Discutibilità che può emergere dal solo fatto, ben ricostruito in sentenza, in cui “mette nero su bianco che Mori non ordinò la perquisizione del covo di Riina in via Bernini per lanciare un segnale di pace con Bernardo Provenzano che in quel momento era latitante” (pp.231).
Per tornare al nostro “carta canta” il libro di Lodato-Di Matteo intende raccontare non soltanto le indagini effettuate per tentare di fare luce sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, ma anche tutto il seguito di violente accuse, delegittimazioni nei confronti di Di Matteo e di tutti i pm che, a rischio della propria vita, non si sono piegati ai desiderata della politica. Racconto delle indagini quindi, ma soprattutto delle mistificazioni alimentate dai media, accompagnate dal lungo elenco di denigratori, politici, giornalisti, professori universitari: “Si è fatto credere che gli imputati, e in particolare gli esponenti delle istituzioni fossero accusati per il solo fatto di avere trattato. Ma […] il reato contestato, infatti, era la violenza o minaccia a corpo politico dello Stato, articoli 338 e 339 del corpo politico dello Stato”; e poi la mistificazione di “far credere che la Trattativa, fra i vertici del Ros e i corleonesi fosse un’invenzione di Massimo Ciancimino, figlio di quel Vito Ciancimino, politico mafioso vicino ai corleonesi, che proprio con il colonnello del Ros Mario Mori e con il suo stretto collaboratore, capitano Giuseppe De Donno, si era a lungo intrattenuto sull’argomento” (pp.101). Oltretutto Di Matteo, facendo riferimento alla rete di intercettazioni, riferisce aspetti che soltanto i lettori più ingenui potrebbero considerare sconcertanti: “A Mori e De Donno si rivolgevano magistrati in servizio per perorare, attraverso membri laici del Csm, il buon esito di loro domande per il conferimento di incarichi direttivi […] Ricordo che in un momento in cui la Cassazione aveva annullato con rinvio la condanna per Dell’Utri per concorso in associazione mafiosa, De Donno si congratulò con Dell’Utri e, d’accordo con Mori, gli propose di organizzare una cena di festeggiamento” (pp.122).
Insomma, alla luce dei fatti, quelli veri – in un’epoca in cui le opinioni si trasformano in fatti -, la trattativa tra le due entità simbiotiche Stato-mafia e mafia-Stato, possiamo affermare senza timore di smentite che ci fu; con buona pace di Giuliano Ferrara (“La trattativa è una minchiata, non c’è niente di niente”), Enrico Deaglio (“Questa inchiesta non sta in piedi, è grottesca”), Andrea Marcenaro (“La trattativa Stato-mafia è una bufala, è un’inchiesta da portineria politica”), del giurista Fiandanca, dello storico Lupo (“disse che la Trattativa non c’era stata e che, ammesso fosse avvenuta, bisognava dare una medaglia agli uomini dello Stato che l’avevano condotta”, pp. 103), e di tanti altri.
Ad epilogo del libro Saverio Lodato sottolinea l’esito “paradossale” – per usare un eufemismo – del processo d’appello sulla Trattativa Stato-mafia: “Tempi un cui tutti potranno finalmente dire: la Trattativa ci fu, e allora? Certo che si trattò e si tratta con la mafia, ma per il bene degli italiani e dell’Italia. Niente di più e niente di meno” (pp.232).
Tratto da: lankenauta.it
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