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Ecco la trasmissione dell'ingiusta accusa a Di Matteo
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di AMDuemila


Giovanni Falcone, a un certo punto, capisce che tirando il bandolo della parola mafia in realtà vengono dietro una serie di fili che sono ben più complessi e corposi come Gladio. Questa è la ragione per cui Falcone deve morire, non più soltanto perchè si era permesso di sfidare il braccio militare della mafia”. Sono parole che fanno riflettere, con un senso di sgomento, quelle pronunciate dal giornalista e scrittore Saverio Lodato, seduto insieme al collega Andrea Purgatori davanti all’unica cosa tangibile che permane all’umanità della strage di il patto sporco integraleCapaci di cui ormai a breve, il prossimo 23 maggio, ci si accinge a ricordare. La carcassa della Fiat Croma bianca che venne colpita nell’attentato, sulla quale il giudice Giovanni Falcone sedeva assieme alla moglie Francesca Morvillo e all’autista giudiziario Giuseppe Costanza. Saverio Lodato, in un’ampia intervista racchiusa all’interno dello speciale intitolato “Capaci: le verità nascoste" del programma Atlantide, del giornalista Andrea Purgatori, trasmesso ieri in prima serata su La 7, ha parlato di Falcone, con il quale condivideva “un rapporto di stima reciproca”, degli anni difficili che precedettero la sua morte e di quelli ancora coperti da un velo di mistero che la seguirono. Come gli anni delle stragi nel continente o quelli della latitanza di Matteo Messina Denaro, fino ad arrivare alla “madre di tutti i processi” quello sulla trattativa Stato-mafia, tematica scottante che Saverio Lodato ha ampiamente affrontato nel suo ultimo libro “Il Patto Sporco”, scritto insieme al pm Nino Di Matteo che di quel processo è stato protagonista indiscusso per 5 anni.

L'intervista di Andrea Purgatori al giornalista Saverio Lodato - Trascrizione integrale

Saverio Lodato, tu hai cominciato a "L'Ora" di Palermo poi sei stato corrispondente dell’Unità per 35 anni. La mafia corleonese prende il potere ma pure essendo una mafia campagnola improvvisamente capisce che può allargare il giro del suo potere alla politica, alla finanza e alle istituzioni del paese. Riina era davvero in grado di avere questo disegno imperiale?
Totò Riina era un capo estremamente rozzo e sanguinario che però conosceva perfettamente quali erano stati i rapporti con le istituzioni dei suoi predecessori fino a quel momento. Uno dei motivi per cui Riina scatena la guerra di mafia non solo la suddivisione diversa del traffico della droga. Ma paradossalmente per volersi impadronire delle relazioni altolocate di cui disponeva un personaggio come Stefano Bontate che difatti venne ucciso all’interno della sua villa il giorno del suo compleanno perchè Stefano Bontate era l’uomo che aveva i rapporti per conto della mafia con la massoneria, servizi segreti e apparati deviati dello Stato e dell’esercito. Totò Riina vuole ereditare questo potere che gli è a quel punto indispensabile, perchè un conto è eliminare quelli che lo avevano preceduto, un altro è invece gestire poi questo potere e di fatti questo è quello che lui riuscirà a fare.

Come mai i corleonesi decidono di scendere a Palermo alla fine degli anni ’60 e prendere possesso del territorio in quel momento alla mafia di città?
Perchè per una lunga fase i chimici marsigliesi erano quelli che avevo raffinato l’oppio che veniva dal triangolo d’oro da Laos, nella Birmania e dalla Thailandia. Ad un certo punto poichè la mafia marsigliese dedita al traffico di stupefacenti viene mesa sotto scacco dalla polizia francese e decidono opportunamente di trasferire le raffinerie in Sicilia e soprattutto a Palermo. A questo punto un enorme fiume di denaro cominciava ad attraversare la Sicilia. Questo è il momento in cui i corleonesi decidono di scatenare definitivamente il loro assalto alla dirigenza di Cosa nostra palermitana rappresentata storicamente da un capo che si chiamava Stefano Bontate.

Quando i corleonesi prendono potere a Palermo Tommaso Buscetta è ancora uno di loro, poi a un certo punto cosa succede? Perchè tu Buscetta l’hai conosciuto ci hai parlato e lo hai intervistato.
Ho conosciuto Buscetta in America pochi mesi prima della sua morte. Tommaso Buscetta era il rappresentante storico di una mafia tradizionale apparentata in qualche modo con la legenda che non bisognava uccidere donne e bambini. Una mafia eticamente ecobiologica. Buscetta era un capo dotato di un carisma straordinario all’interno della mafia palermitana ma quando scoppia la guerra a Palermo lui si trova in Brasile e quindi non poteva partecipare in prima persona ai regolamenti di conti che si stavano venendo a creare a Palermo. La mafia che comincia perdente, quella dei palermitani per l’appunto, chiede il suo intervento e gli stessi corleonesi decisero di sterminargli tutta la famiglia per impedire il suo rientro a Palermo.
Successivamente accadde che quando Buscetta che era una persona particolarmente intelligente prende una decisione intelligente perchè capisce che anche se tornasse a Palermo non avrebbe i numeri per poter vincere una guerra di sterminio di quel tipo e allora decide di fare un passo diverso. Dopo aver visto sterminata tutta la sua famiglia decide di iniziare la sua collaborazione con Giovanni Falcone, perchè riconosce in lui l’interlocutore e un magistrato che rappresenta uno Stato italiano che vuol fare davvero la guerra alla mafia. E lì nascerà il rapporto che è stato raccontato tante volte tra Giovanni Falcone Tommaso Buscetta.
Lo stesso maxi processo di Palermo che si era concluso nel 1987 inizialmente venne osteggiato in tutti i modi dai poteri romani perchè fino a quel momento, nel 1987 quindi con una mafia che già esiste da oltre 150 anni, i mafiosi erano sempre stati assolti o per insufficienza di prove o per non aver commesso il fatto o per errori materiali. C’erano già stati due grandi processi con numerosi imputati come il processo di Bari e di Catanzaro negli anni ’70 ma erano stati tutti assolti perchè sino a quegli anni la lotta alla mafia veniva fatta, anche in maniera volenterosa, dagli uomini della polizia e carabinieri che nei rapporti che inviavano alla magistratura affastellavano una serie di sentito dire, di sospetti e indizi che però non reggevano mai al baglio del dibattimento. Con il maxi processo tutto questo viene a cadere ma anche in quella fase ci sono state delle resistenze forti perchè si dice “per quale motivo bisogna combattere la mafia con questi sistemi definitivi, con un maxi processo”. Maxi processo che si celebra in coincidenza con due doppi scenari criminali. Una guerra di mafia fortissima all’interno delle cosche per regolamento dei conti ma anche una sfida che per la prima volta diventa alta nei confronti dei rappresentati delle istituzioni.

Perchè la strage di Capaci non deve essere solo una commemorazione?
Perchè Giovanni Falcone non è una statua o un monumento da omaggiare periodicamente una volta all’anno, lo facciamo ormai da 27 anni. Giovanni Falcone è la persona alla quale dobbiamo quel poco di coscienza antimafia che c’è in Italia. Perchè bisogna ricordare sempre che la mafia in Italia esiste ormai da quasi 200 anni ma lo Stato italiano di questi 200 anni ne perdette almeno 170 negando l’esistenza del fenomeno mafioso, senza riuscire a pronunciare la parola mafia e senza neanche riuscire a capire come si chiamasse esattamente, è stato grazie a Giovanni Falcone che siamo riusciti a sapere che la mafia non si chiamava così ma Cosa nostra. Quindi la rivoluzione che introduce Giovanni Falcone con il suo lavoro che non supererà la dozzina di anni dal momento in cui inizia, sino alla strage di Capaci, è una rivoluzione che ha a che vedere con la parola e con la cosa. Giovanni Falcone in qualche modo spalanca gli occhi agli italiani rispetto a un fenomeno con il quale convivevano da decenni e decenni senza mai riuscire a capire di cosa si trattasse. Purtroppo quegli occhi spalancati da Giovanni Falcone nel corso degli anni si sono spesso richiusi e oggi noi 28 anni dopo siamo ancora qui a discutere di mafia.

lodato

Torniamo indietro a Capaci. Il procuratore Nino Di Matteo in maniera molto precisa e secca parla di possibili presenze esterne, tracce lasciate sul luogo della strage che ancora non si capisce che cosa sono esattamente e da dove provengono e lascia intuire, in qualche modo, che non ci fossero soltanto uomini di Cosa nostra ma anche altri e soprattutto dice una cosa fondamentale; cioè Capaci come via d’Amelio non sono due cose staccate dal resto delle bombe ma sono il primo atto di guerra che Riina decide di fare allo Stato perchè sostiene “bisogna fare la guerra per poter fare la pace”. E poi arriverà la trattativa, questi sospetti in che modo sono stati lasciati correre nel corso di questi anni.
Non dimentichiamo che la strage di Capaci è del 1992, quella che aprirà il continuum a ciò di cui facevi riferimento perchè dopo Capaci ci sarà via d’Amelio, Roma, Firenze, e Milano e ancora prima di Capaci c’era stata la strage Dalla Chiesa e Chinnici, quando Giovanni Falcone era ancora vivo e indagava su quei grandi delitti. Giovanni Falcone fa in tempo prima di morire a vedere che quella mafia che aveva iniziato a conoscere e scoprire come tale, nel corso del suo lavoro gli si trasforma sotto gli occhi, diventa qualcosa di molto più inquietante e allarmante.

Cioè?
Non solo un potere criminale che in qualche modo si diceva semplicisticamente che faceva la guerra allo Stato ma una mafia dietro alla quale lo stesso Falcone alcuni anni prima di Capaci avverte alcune presenze occulte che suggeriscono alla mafia che la guidano e in qualche modo “istradano” nei suoi processi criminali.

Giovanni Brusca che tu hai conosciuto e intervistato racconta gli istanti della strage di Capaci come un momento nel quale si rischiava che l’attentato non andasse a buon fine.
La sensazione che aveva Brusca era che qualcuno potesse averlo espropriato di questo attimo in cui premeva il telecomando.

Comunque dicono che ci fosse un “guardiano” attento a far sì che questo attentato avvenisse nel momento in cui doveva avvenire.
E che quindi magari ci fosse un altro telecomando a distanza efficace ed efficiente come quello che aziona Brusca

Ma lui (Giovanni Brusca, ndr) questa ipotesi direttamente non la fa
La solleva, lascia intendere che qualcosa non va come era stato previsto però lui si chiede come mai non va proprio in quell’istante. Perchè se fosse accaduto un intoppo prima o dopo ci stava ma proprio in quel momento lì c’è qualcosa che… perchè quel pulsante non risponde ai suoi ordini?

Tu sei stato amico di Giovanni Falcone, c’era quel rapporto di stima reciproca. A un certo punto Giovanni Falcone dopo il fallito attentato a l’Addaura, quando vengono fatte circolare le voci che addirittura se lo sia fatto da solo per la smania di protagonismo tu lo incontri e lui durante questo incontro dice qualcosa che rimane come una specie di sigillo proprio su quello di cui stiamo discutendo.
Io non incontro Giovanni Falcone. Lui mi telefona e mi chiede che lo vada a trovare perchè mi vuole parlare. in qualche modo è, potremmo dire, una forma di convocazione, lui vuole parlare con un giornalista che, io in quel momento lavoravo a l’Unità, rappresentava il maggior partito d’opposizione in Italia. Per uno come Giovanni Falcone che era molto attento ai rapporti istituzionali e al ruolo del magistrato, questo era un passo significativo, cioè voleva che tutti sapessero, anche l’opposizione.

Cosa ti dice?
Lui dice di avere finalmente capito che dietro Cosa nostra ci sono delle “menti raffinatissime” che guidano il gioco della mafia. E li si ferma perchè questo è il concetto forte che lui esprime però ne aggiunge un altro subito dopo

Cioè?
Dice “con me è iniziata la stessa campagna che inizio con Dalla Chiesa” fatta di minacce, telefonate anonime, mafiosi assassinati e fatti trovare davanti le caserme dei carabinieri chiuse nei portabagagli proprio per dire a Dalla Chiesa “vattene non ti vogliamo”. Quindi Falcone subito dopo il concetto che esprime sulle “menti raffinatissime” fa il parallelo con Dalla Chiesa. E’ come se lui stesse assistendo in diretta all’esecuzione che poi avverrà appena tre anni dopo.

Come lo trovi?
Io trovo un Giovanni Falcone che non è un magistrato al culmine della sua potenza ma un magistrato al culmine del suo isolamento. Giovanni Falcone aveva già subito in quel momento delle sconfitte clamorose all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura, era l’erede designato per sostituire Antonino Caponnetto alla guida del pool antimafia di Palermo. Il CSM vota contro Giovanni Falcone ed è su tutti i giornali denigrato e delegittimato ormai da un paio di anni per gli attacchi concentrici che questa volta vengono da una parte della magistratura e della grande stampa e prevalentemente dagli avvocati dei mafiosi palermitani. Viene descritto come un “Nembo Kid” che si era messo in testa di sconfiggere la mafia. L’espressione “Nembo Kid” era già stata adoperata dieci anni prima anche per Dalla Chiesa e anche lui aveva fatto la fine che poi avrebbe fatto Giovanni Falcone. Io mi trovo davanti un uomo che sa di rappresentare uno Stato che però non lo sta proteggendo
Non solo Giovanni Falcone, anche Paolo Borsellino, perchè sono due storie parallele in quegli anni, sono due magistrati che per la prima volta presentano ai mafiosi il volto di uno Stato perbene, pulito che vuole combattere la mafia, non vuole trattare, la vuole sconfiggere nei limiti del possibile. Il punto è che però loro alle spalle lo Stato non lo avevano

Quando ti dice la frase “menti raffinatissime” tu che idea ti fai?
Ho provato a fare delle domande a Giovanni Falcone ma lui non era un uomo che se non voleva rispondere a una domanda non rispondeva. Mi lasciò capire però che anche le polemiche che risalivano a tre settimane prima e che lo avevano riguardato avevano a che fare con le “menti raffinatissime” e quelle polemiche si riferivano al fatto che se andiamo a rivedere i giornali un mese prima dell’attentato a l’Addaura è in piedi una grande campagna dei veleni in cui si sostiene che Giovanni Falcone, insieme a Gianni De Gennaro, che poi sarebbe diventato il capo della polizia in Italia, avevano autorizzato, con la complicità degli Stati Uniti d’America il rientro in Italia di Buscetta per scendere in campo militarmente contro il fronte dei corleonesi e regolare i conti con loro. Viene delegittimato, viene fatto passare come uno che entrava nel gioco delle beghe dei mafiosi. Non dimentichiamo che Giovanni Falcone pur dicendo che esistevano le “menti raffinatissime” contemporaneamente però ipotizzava che la mafia, come tutte le cose della vita, avesse avuto un inizio ed era destinata ad avere una sua fine perchè lui era convinto che continuando ad indagare a un certo punto l’organizzazione si sarebbe sgretolata e arresa. E ci si arrivò vicini.
Dopo il ’92 inizia la grande stagione del processo Andreotti, un processo che durerà 7 anni. In quegli anni tutto ciò che era stato detto di celebrativo nei confronti di Falcone e Borsellino viene letteralmente azzerato perchè si scatena una campagna, lo so perchè l’ho vissuta come inviato dell’Unità in Sicilia che seguiva quotidianamente il processo Andreotti, una campagna che ha due obiettivi, la procura di Palermo di allora che indagava su Giulio Andreotti da una parte e dall’altra i pentiti di mafia. E’ significativo, il presidente della commissione antimafia di quegli anni Ottaviano Del Turco per tutti gli anni in cui fu presidente dedicò credo il 100% delle sue dichiarazioni per attaccare da una parte i procuratori di Palermo e dall’altra i pentiti di mafia. Credo non esistano dichiarazioni sue contro mafiosi che in quel momento invece si sapeva essere al vertice di cosa nostra, soltanto per dire che ad un certo punto lo Stato si ritrae aveva mal digerito il processo e le condanne per i mafiosi. Ma nel momento in cui qualcuno si illude di poter alzare il tiro e soprattutto si diffonde un terrore che al pentito venga data licenza di parlare, non solo dei suoi sodali criminali ma anche dei rapporti politici che la mafia aveva abbondantemente avuto e lo stesso Falcone sapeva benissimo. E non è un caso la prima grande stagione maxi processo, livello militare Andreotti, poi trattativa Stato-mafia. Cioè il livello si è alzato si è capito cosa c’era dietro la mafia però è chiaro che quelle non sono stragi fatte esclusivamente da villani col kalashnikov e la coppola storta come venivano rappresentati.

purgatori

Come Gladio ad esempio?
Anche Gladio. Falcone si dedica a Gladio proprio nell’ultimo periodo della sua vita e si occuperà del terrorismo nero e rosso. Falcone a un certo punto capisce che tirando il bandolo della parola mafia in realtà vengono dietro una serie di fili che sono ben più complessi e corposi. Giovanni Falcone capisce questo ed è questa la ragione per cui Falcone deve morire, non più soltanto perchè si era permesso di sfidare il braccio militare della mafia che comunque resta il suo più grande successo poi processuale e giudiziario.
L’unica cosa che però mi sento di dire con chiarezza, essendomi occupato di questa materia per oltre trent’anni in Sicilia, è che la grande favola è finita. Non c’è mai stata una mafia contrapposta allo Stato e viceversa. Se così fosse accaduto Giovanni Falcone si sarebbe salvato e soprattutto 57 giorni dopo la strage di Capaci l’identica fine non la può fare Paolo Borsellino, quindi io ma non solo io probabilmente la stessa magistratura si è orientata ormai a capire che questa rappresentazione è stata una rappresentazione favolistica Stato e mafia.

Di quella cupola mafiosa dei corleonesi stragisti ecc... rimane un grande latitante Matteo Messina Denaro, c’è l’ipotesi che la sua latitanza abbia come assicurazione proprio il fatto che lui come latitante non può rivelare le cose che sa?
Matteo Messina Denaro era uomo di fiducia di Totò Riina che conosceva suo padre che morì da latitante anche lui. Matteo Messina Denaro è colui che fa i sopralluoghi per le stragi di Capaci di via d’Amelio, Roma, Firenze e Milano. E’ l’uomo che Totò Riina prima manda a Roma, quando l’ipotesi di ammazzare Falcone era nella Capitale e poi lo richiama a Palermo per vedere invece come deve essere realizzato l’attentato a Palermo. Matteo Messina Denaro è l’espressione di questi ultimi 30 anni di storia della mafia. Di una mafia che semmai era stata contrapposta allo Stato negli ultimi trent’anni non lo è stata più. Matteo Messina Denaro conosce e ha ereditato anche i segreti di Totò Riina; non dimentichiamo che c’è un covo di Riina che non venne perquisito per diciotto giorni, c’è un archivio di Totò Riina che è sparito e Giovanni Brusca racconterà come loro ebbero la possibilità quindici giorni dopo di entrare nella casa dove aveva vissuto Riina, nonostante Riina fosse stato arrestato. Quindi lui è l’erede di quella vecchia mafia ma anche della mafia che si è rinnovata e si è riciclata. E’ pensabile che oggi nel 2019 una persona possa scomparire nel nulla per 27 anni?. L’intero paese di Castelvetrano è stato passato al setaccio dagli investigatori negli ultimi 10 anni e ogni volta queste piste di Matteo Messina Denaro si interrompono.
Se davvero fosse stata fatta terra bruciata in Sicilia come pare sia stata fatta a maggior ragione non potrebbe continuare all’infinito questa latitanza. Io ho la sensazione che lui abbia avuto la possibilità di godere di complicità molto alte e qui il riferimento è a tutti gli ambienti che potrebbero sentirsi sotto ricatto da un eventuale cattura di Matteo Messina Denaro. Pensiamo poi che nel momento in cui Matteo Messina Denaro viene catturato si apre poi un problema di gestione, non si sa cosa decide di fare Matteo Messina Denaro, diventa molto più ingombrante e rischioso da gestire. Quindi io penso che in questo momento siano tante e tali gli ambienti che lo proteggono e non obbligatoriamente mafiosi

E non obbligatoriamente in Sicilia
Io credo però che la grande madre di tutti i processi anche delle stragi sia questo sulla trattativa Stato-mafia. Perchè se questo processo dovesse diventare parola definitiva della giustizia italiana su quanto accaduto tra il ’90 e il ’94 in Sicilia, allora una serie di domande si potrebbero riaprire cercando di perseguire non soltanto gli esecutori materiale che ormai sono stati abbondantemente assicurati alla giustizia ma soprattutto tutte quelle altre figure che continuano a rimanere nell’ombra.

Dossier Giovanni Falcone

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