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Lodato: secondo Nordio dobbiamo liberarci dalla Costituzione anziché della mafia

Alla presentazione del libro "Il patto sporco e il silenzio" anche la partecipazione di Lunetta Savino, Thomas Trabacchi, Andrea Purgatori e Silvia Resta

In una sala gremita di gente, presso le 'Industrie Fluviali' di Roma, ha avuto luogo la presentazione del libro "Il patto sporco e il silenzio" (ed. Chiarelettere) scritto dal consigliere togato del Csm Nino Di Matteo e dal giornalista e scrittore Saverio Lodato.
Ad introdurre la serata la musica del sassofonista Nicola Alesini, seguito dalla lettura di alcune pagine del libro da parte degli attori Lunetta Savino e Thomas Trabacchi.
"L'impresa era titanica. Occorreva un lavoro lungo e fatto bene. Senza risparmio di risorse, e non solo con l'assillo del cronometro. Occorrevano reparti scelti, motivati, abituati allo sprezzo del pericolo" si legge nelle prime righe della nuova introduzione di Saverio Lodato interpretate dai due attori. Pagine che arricchiscono il volume, in libreria dal 6 dicembre, con una nuova analisi dei fatti a seguito della sentenza d’appello del processo di Palermo sulla Trattativa Stato-mafia che attraversa le motivazioni della sentenza dei giudici, ma anche il ricorso in Cassazione della Procura generale di Palermo”.


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Sono state raccontate anche le sentenze del processo trattativa Stato - Mafia e la messa in campo di "grandi giornali", di "plurilaureati", "esemplari da salotto" e "veterani della Prima Repubblica" per "cancellare la memoria". "Fare tabula rasa per sempre" da tutto quello che era emerso nel corso del primo e del secondo grado del processo, sentenze comprese, e mettere alla gogna "i magistrati migliori. Mentre una parte della magistratura, da sempre prima alle sirene della politica con lo scandalo Csm ci metteva la sua, prestando il fianco ai regolamenti di conti che venivano da lontano".


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L'attrice Lunetta Savino


E poi ancora: i fatti inquietanti e drammatici che si sono succeduti nel terribile biennio '92-'94 nel quale si consumarono le stragi di Palermo, Roma, Milano e Firenze.
Fatti su cui vi sono delle verità da scoprire ma che rischiano di soffocare sotto il peso della ripetizione ossessiva del mantra ‘ce lo chiede l'Europa’, inno della riforma della giustizia firmata Marta Cartabia, unico lascito "davvero compiuto del Governo di Mario Draghi". "Zitti e muti, quei rematori che andavano in direzione delle perle di idiozia, per la prima volta in Parlamento parlarono la medesima lingua. Si intesero a meraviglia. Capirono che avevamo un interesse comune: ridimensionare quello che veniva definito lo 'strapotere' dei magistrati. Riaffermare, insomma, la sacralità, da sempre agognata, dell'uomo politico al di sopra di reati e responsabilità penali, che non avrebbe mai più avuto il fastidio di essere chiamato a rispondere dallo sconosciuto pubblico ministero di periferia".


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L'intervento della giornalista, Silvia Resta


Ma la Trattativa c'è stata si o no? Perché assolvere uomini in divisa e insistere nella condanna del braccio mafioso?
Anche di questo hanno parlato i due autori, assieme ad Andrea Purgatori, conduttore della trasmissione televisiva “Atlantide” e la giornalista Silvia Resta.
"Rileggendo 'Il patto sporco e il silenzio' - ha detto il conduttore televisivo - sono rimasto impressionato dalla rilettura della sentenza d'Appello con cui sono andati assolti tre carabinieri(Subranni, De Donno e Mori) e un politico (Marcello Dell'Utri)". Mi "ha fatto venire i brividi perché è una sentenza nella quella si giustificano dei reati, dal mio punto di vista". In particolare Purgatori si è soffermato sulla mancata perquisizione del covo di Salvatore Riina in via Bernini a Palermo: il non aver perquisito quella casa è considerato, nella sentenza, "come un atto di buona volontà, nei confronti di Cosa Nostra".
Il Capitano Ultimo e Mori giustificarono la scelta di non perquisire il covo di Riina, subito dopo il suo arresto, con la volontà di non ‘bruciare’ il covo e la neo-collaborazione del pentito Baldassarre Di Maggio.
Ma, secondo Purgatori, il motivo di tale scelta sarebbe ben diverso: quella mattina, dopo che Totò Riina venne arrestato, Mario Mori andò dal Capitano Ultimo e gli disse: "Te ne devi andare perché stanno arrivando i giornalisti, ma così non era. Noi fummo portati dalla parte opposta della città. Il punto vero è che lì bisognava togliere ogni presenza delle forze dell'ordine perché si potesse fare il trasloco senza essere disturbati".


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Il giornalista e scrittore, Saverio Lodato


Saverio Lodato: “La riforma Cartabia è stata fatta per punire la magistratura”
La riforma della giustizia a firma di Marta Cartabia, fatta all’indomani della crisi del Csm, venne fatta come riforma punitiva nei confronti della magistratura”, ha detto Saverio Lodato, intervenendo alla presentazione del suo ultimo libro. La riforma Cartabia “doveva ridimensionare il potere dei pubblici ministeri, separare le carriere, eliminare le porte girevoli tra politica e magistratura, sebbene si sapesse che nell’ultimo Parlamento c’erano tre ex magistrati a confronto di 160 avvocati”, ha ricordato l’autore. “Ma quando i migliori magistrati antimafia italiani sollevarono una raffica di obiezioni convinte su come si stesse allentando la legislazione antimafia, lei non accettò mai un tavolo di confronto, pur essendo un guardasigilli di questo governo. Rispetto a tutto questo la ministra Cartabia fece orecchie da mercante. La giustificazione era ‘ce lo chiede l’Europa’”.


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Sulla scia delle conseguenze della riforma dell’ex guardasigilli del governo Draghi, Saverio Lodato ha ricordato che solo pochi giorni fa la corte d’appello di Brescia, competente per i reati di cui sono accusati la moglie e la figlia di Antonio Panzeri, uno dei principali indagati nella vicenda “Qatargate” in Belgio, “confermando gli arresti domiciliari di costoro ha detto che possono andarsi a costituire in Belgio”. “Beh - ha commentato Lodato - qui c’è qualcosa di paradossale. Cioè noi oggi dobbiamo fare i conti con una legislazione italiana che evidentemente è diversa da quella di altri paesi, tant’è vero che le due signore imputate hanno detto di opporsi a costituirsi in Belgio, perché il carcere lo vogliono fare in Italia”. “E certo!”, ha esclamato, questo accade perché qui in Italia “abbiamo preceduto tutti con questa riforma della giustizia Cartabia che prevede per esempio che se i processi non arrivano a compimento entro una certa data abbiamo scherzato e tutti gli imputati vengono lasciati liberi e assolti”. Un altro esempio sollevato dalle criticità sollevate dall’amministrazione della giustizia da parte dell’ex governo riguarda la legge sulla presunzione di innocenza. Lodato l’ha descritta un “bavaglio definitivo messo ai magistrati per non poter parlare dei processi di cui sono stati pubblici ministeri”. Ed è la ragione per cui, ha affermato, “in questa seconda edizione la presenza di Di Matteo è una presenza muta. Perché lui oggi non può più parlare”.


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Quindi Lodato ha ricordato un episodio fondamentale della storia della lotta alla mafia di cui fu protagonista. “A metà degli anni ’80 a Palermo, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Antonino Caponnetto organizzarono, ed io ero presente, una conferenza stampa al palazzo di Giustizia per rivelare al mondo intero che Tommaso Buscetta aveva parlato e che con le sue rivelazioni avrebbe consentito ai giudici di istruire il maxi processo. Il primo maxi processo, dei delitti, delle stragi e dell’eroina”, ha ricordato. “Quella conferenza stampa venne fatta quando ancora il processo non c’era. Quando ancora Buscetta parlava di mafiosi, con nomi e cognomi in carne ed ossa, che circolavano liberamente per le strade di Palermo e della Sicilia”. “Oggi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino quella conferenza stampa non la potrebbero fare più perché la ministra Cartabia quando era in carica, fino all’altro ieri, li avrebbe messi sotto sanzioni disciplinari”, ha affermato il giornalista e scrittore. “Ma con ogni probabilità la Cartabia non sa neanche chi furono Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Antonino Caponnetto e la storia di sangue che ha avuto quella città”, ha concluso.


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Drammaticamente spesso la realtà supera la fantasia - ha detto il giornalista - Vi dico questo perché c’era una famosa frase di Giovanni Falcone che viene ricordata ad ogni anniversario della strage di Capaci cioè: “La mafia, come tutte le cose, ha avuto un inizio e avrà una sua fine”.
Il povero Giovanni Falcone che alla credenza di questa frase dedicò la sua vita intera insieme a decine e centinaia di magistrati, poliziotti e carabinieri che stupidamente per questo Stato Italiano hanno lasciato la vita, non poteva immaginare che un ministro della giustizia di fresca nomina, vale a dire Carlo Nordio, l’avrebbe parafrasato alla festa del decimo anniversario di Fratelli d’Italia con queste parole.
‘Non c’è nulla di eretico o blasfemo nel volere cambiare la Costituzione, perché come tutte le cose umane le Costituzioni nascono, vivono e muoio. E la nostra Costituzione è oggi incompatibile con il nostro sistema giudiziario’. Il cerchio, purtroppo, si chiude. Trent’anni dopo non dobbiamo più liberarci della mafia, dobbiamo liberarci della Costituzione e vedrete che sarà tutto molto più semplice e la vita sarà più bella e tranquilla per tutti”
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Il consigliere togato del Csm, Nino Di Matteo


Nino Di Matteo: “In questo Paese in molti vogliono chiudere l’argomento stragi”
Fu parte dello Stato a cercare, tramite Vito Ciancimino, i vertici di Cosa nostra. Il fatto è provato”. E questo “rafforzò in Riina e gli altri il convincimento che la strategia e l’attacco frontale allo Stato e alle istituzioni fosse una strategia vincente. Quella trattativa non evitò altro sangue, semmai ne provocò. Proprio per mettere sul piatto della bilancia del dialogo in corso una forza ancora più spaventosa, Cosa nostra ideò ed organizzò le stragi di Roma Firenze e Milano che sono un qualcosa di inedito nella storia di Cosa nostra, non solo perché fatte fuori dalla Sicilia, ma perché rispondenti alla logica della vendetta o dell’eliminazione di un bersaglio preciso, una logica terroristica per mettere lo Stato in ginocchio. In quel momento con la trattativa lo Stato aveva iniziato a piegare le ginocchia e Riina e gli altri capirono che era il momento di insistere. Anche questo è scritto nella sentenza. “Sono preoccupato da cittadino per l’oscuramento dei fatti”, ha continuato il magistrato. “Queste cose che vi ho detto in un Paese normale avrebbero dovuto scatenare un dibattito a livello giornalistico, politico e sociale. Non c’è stato nulla. Trovano più comodo dire che era tutto una balla. Non parlare dei fatti che anche questi giudici (secondo grado, ndr) ritengono provati per non confrontarsi col problema. Allora abbiamo fatto bene, nel nostro piccolo, a scrivere questo libro di queste cose”.


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L'attore Thomas Trabacchi


Questa sentenza oggi, parlando della condotta di questi alti esponenti dello Stato, ha riconosciuto che Provenzano è stato protetto. E che questo atteggiamento non era dovuto a un’ipotesi (anche se non l’ho mai ritenuto) di corruzione di quegli alti ufficiali o di paura degli stessi. Ma, e non sono parole mie, uso parole dei giudici d’Appello, ‘perché quei soggetti potevano avere interesse a preservare lo ‘status libertatis' di Provenzano. Perché la leadership di Provenzano, meglio e più efficacemente di qualsiasi patto, avrebbe di fatto garantito contro il rischio del prevalere di impulsioni stragiste’. Chiosano i giudici: ‘Vi erano dunque indicibili ragioni di interesse nazionale a non sconvolgere gli equilibri di potere interni a Cosa nostra che sancivano l’egemonia di Provenzano. Un superiore interesse spingeva a essere alleati del proprio nemico per contrastare un nemico ancora più pericoloso’. Avete letto qualcosa su questa sentenza? Avete sentito un uomo politico, un ministro dell’Interno o della Giustizia, un Presidente del Consiglio o della Repubblica o qualcuno dibattere o semplicemente riflettere su questo dato?”.

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“In questo Paese l’argomento stragi, secondo molti, deve essere chiuso con le sentenze che già ci sono ed evitando che ora e in futuro ci siano magistrati che siccome hanno visto e conosciuto tutto quello che, c’è nei processi già celebrati, possano preoccuparsi di capire se assieme agli uomini di Cosa nostra nell’ideazione, nell’organizzazione e perfino nell’esecuzione abbiano avuto un ruolo altri soggetti e altri ambienti”.






Foto © Paolo Bassani

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