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di Giorgio Bongiovanni

L'Italia, la "Repubblica fondata sul lavoro" (così come è scritto nelle prime parole della nostra Carta Costituzionale), nonostante la crisi, l'inflazione, il forte tasso di disoccupazione, il debito pubblico, le guerre e le pandemie, continua ad essere una delle potenze economiche più importanti del Globo. Lo dicono i dati economici.
L'Italia è la settima potenza economica mondiale, con un Pil nominale pari a 1,93 trilioni di dollari.
Si trova ai vertici delle classifiche come ricchezza finanziaria anche grazie al patrimonio dei risparmiatori.
Una recente ricerca della Fabi, il sindacato autonomo dei bancari, ha dimostrato che a fine 2021 è stata superata la quota dei 5.256 miliardi euro per una crescita di quasi 1.700 miliardi (+50%) nell’ultimo decennio.
E sempre L'Italia, secondo le classifiche di Forbes, è nella "top ten" dei Paesi con più miliardari al mondo. Ben 52 miliardari (contro i 51 del 2021), valgono il nono posto in classifica, per un patrimonio complessivo fissato a 195 miliardi di dollari.
La ricchezza economica è accompagnata dalla ricchezza artistica, storica e culturale che, se fosse sfruttata nel modo migliore, porterebbe il Paese ad essere veramente ai primissimi posti del Pianeta.

La forza delle mafie
Un Paese così ricco non dovrebbe permettere l'esistenza di fenomeni come la corruzione e l'infiltrazione mafiosa, eppure entrambi continuano ad allargarsi in maniera spaventosa tra le pieghe dell'economia e della finanza.
Proprio uno studio della Banca d’Italia pubblicato a dicembre del 2021 aveva rappresentato come il volume d’affari delle mafie stimato superasse il 2% del Pil italiano. Parliamo di almeno 38 miliardi di euro l’anno (104 milioni al giorno).
Qualche anno addietro alcune stime di Confesercenti indicavano in 105 miliardi all'anno gli utili di un'eventuale Mafia Spa (che mette insieme gli affari di Cosa nostra, 'Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita).
Numeri spaventosi ben maggiori delle banche più ricche d'Italia, o società come Enel, Assicurazioni Generali o Luxottica o aziende come Exor.
Il giornalista de Il Sole 24 Ore, Gianni Dragoni, prima in un intervento nella trasmissione Servizio Pubblico, poi ad una nostra conferenza aveva evidenziato in maniera scientifica come l'ipotetica holding Mafia Spa potrebbe avere un valore ben superiore dell'intera Borsa italiana.
Ricordava sempre Dragoni che “Mafia Spa ha anche più utili di tutte le banche italiane insieme” e che potenzialmente, se quotata in borsa, “il valore di Mafia Spa potrebbe essere pari a 1.680 miliardi. Cioè quasi il triplo (2,85 volte) di tutte le 260 società italiane quotate in Borsa, che valgono complessivamente 587,6 miliardi. Come dire che, se si quotasse in Borsa, e quindi vendesse le sue azioni al pubblico, con il ricavato la Mafia potrebbe comprarsi tutta la Borsa di Milano”.
Numeri spaventosi che, seguendo la logica, rendono i boss della mafia ed i narcotrafficanti le figure di riferimento più ricche e potenti del mondo. Anche più dello statunitense Elon Musk, considerato in testa alla classifica dei miliardari con una fortuna di 219 miliardi di dollari.
Potenzialmente rispetto ai capi della 'Ndrangheta o di Cosa nostra, il patron di Tesla e SpaceX, sarebbe quasi un maggiordomo.
Le mafie, inserite all'interno di un Sistema criminale, sono perfettamente in grado di alterare una democrazia.
A noi lo avevano spiegato in maniera chiara il Procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri evidenziando la centralità del traffico di stupefacenti nella generazione di ricchezza ed il Procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo.





Lo scacco di Matteo Messina Denaro
I Governi che si sono succeduti negli ultimi trent'anni hanno dimostrato di non avere a cuore la risoluzione del problema.
Nella migliore delle ipotesi per superficialità, negligenza o ignoranza. Nella peggiore per complicità vera e propria, stilando trattative, patti e accordi con la mafia.
Perché solo così si può spiegare la dimensione di un fenomeno che esiste da oltre un secolo e mezzo.
Solo così si può capire perché, nonostante stragi e delitti eccellenti, non si è ancora provveduto a dare il colpo finale a questo cancro.
Solo così si può comprendere il motivo per cui l'ultimo boss stragista è latitante dal 1993.
L'ex procuratrice aggiunta di Palermo (oggi alla DNA) Teresa Principato aveva parlato di una rete occulta a sua protezione fatta di boss, faccendieri, politici, funzionari di Stato e persino membri della massoneria.
Quando si parla di Matteo Messina Denaro non si fa riferimento solo al capomafia di Castelvetrano, ma al vertice di Cosa nostra.
Un soggetto che è a conoscenza dei segreti nascosti ed indicibili del rapporto tra Stato e mafia.
Un uomo che è terminale dei rapporti tra Cosa nostra e la 'Ndrangheta, negli affari della droga e non solo. I suoi collegamenti arrivano fino al Canada e agli Stati Uniti, ma presumibilmente anche con il mondo arabo.
Ci sono delle ipotesi che portano ad un suo ruolo, magari anche per conto dello Stato, per evitare che altre organizzazioni terroristiche internazionali come l'Isis o Al Qaeda potessero falciare l'Italia così come era accaduto in Francia e negli Stati Uniti.
Una teoria che si era rafforzata quando nel processo 'Ndrangheta stragista aveva dichiarato in maniera netta che "grazie ad alcuni siciliani" dal '97 ad oggi sono stati evitati attentati terroristici di matrice straniera.
Anni fa addetti ai lavori avevano anche parlato di possibili contatti con il terrorismo islamico da parte della 'Ndrangheta per affari congiunti con l'Isis.
Svariate inchieste hanno evidenziato come la Sicilia, ed in particolare la zona del trapanese, sia stata teatro di grandi affari internazionali (traffico di armi, droga e rifiuti). E lo stesso si può dire per la Calabria e la zona del porto di Gioia Tauro.
Cosa nostra e 'Ndrangheta possono essere state le garanti della sicurezza del nostro Paese?
Ciò che è certo è che le due organizzazioni criminali viaggiano all'unisono. Proprio il Processo 'Ndrangheta stragista, che vede l'accusa rappresentata dal Procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, ha dimostrato come Cosa nostra e 'Ndrangheta fossero unite nella strategia stragista degli anni Novanta.
E poi ancora, più recentemente, ugualmente legate negli affari e nello sviluppo di attentati contro magistrati in prima linea nella lotta al Sistema criminale.

Messina Denaro e l'attentato contro il pm Nino Di Matteo
Dalla Calabria veniva l'esplosivo
acquistato dai boss di Palermo per eliminare il magistrato Nino Di Matteo.
Un attentato che, come rivelato dal collaboratore di giustizia Vito Galatolo, era stato ordinato da Matteo Messina Denaro a fine 2012, per conto di "amici romani".
Una condanna a morte avvalorata dalle parole del capo dei capi Totò Riina che direttamente dal carcere affermava di voler far fare all'ex sostituto procuratore di Palermo, oggi al Csm, "la fine del tonno".
Eliminare Di Matteo significa colpire il magistrato che più di tutti si è avvicinato alla verità sulle stragi svelando i rapporti tra mafia, politica, servizi segreti e massonerie deviate.
Un simbolo di quei pm con la schiena dritta (a cui si aggiungono Sebastiano Ardita, Giuseppe Lombardo, Roberto Scarpinato, Nicola Gratteri, Luca Tescaroli, seguiti da pochi altri) che non vogliono smettere di indagare su quelle pagine buie che hanno insanguinato il nostro Paese.

Lo Stato-mafia
Quel progetto di attentato deliberato dalla “primula rossa” di Castelvetrano è tuttora in corso secondo gli investigatori. E l'attenzione sul punto non può essere abbassata.
Ancor meno oggi in un momento storico in cui siamo in presenza di un Governo di stampo fascista e razzista che gode del sostegno di un partito che ha come leader un uomo (Silvio Berlusconi, ndr) che ha avuto "rapporti pluriennali con la mafia" e che ha tra i fondatori un uomo della mafia, ovvero Marcello Dell'Utri, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Come Presidente del Senato c'è un "picchiatore fascista" come Ignazio Benito Maria La Russa e come Guardasigilli c'è un ex magistrato come Carlo Nordio che vorrebbe cambiare la Costituzione e portare avanti progetti di riforme anti magistratura, intervenendo sulla "discrezionalità dell'azione penale", sulla "separazione delle carriere" ed una nuova "definizione dei poteri del pubblico ministero".
Con le loro "facce di bronzo" i nostri governanti osannano il nome di Paolo Borsellino, ucciso proprio da quei poteri che oggi condizionano ed indirizzano l'attuale azione di Governo, totalmente assente nella lotta alla mafia.
E mentre si parla di interventi per la riduzione dell'utilizzo delle intercettazioni, Matteo Messina Denaro resta a piede libero non vengono rafforzati gli strumenti per la sua cattura.
Maurizio De Lucia, il Procuratore capo della Procura di Palermo che coordina le indagini per la cattura del boss trapanese, ha denunciato nei giorni scorsi le gravissime carenze di organico che pesano sia sulla cosiddetta procura ordinaria che sulla direzione distrettuale antimafia.
Ha affermato De Lucia che "l’attuale numero dei magistrati componenti della Dda di fatto non consente di assumere iniziative strategiche nella gestione dei delitti commessi dalle organizzazioni mafiose". Inoltre si rischia "concretamente di ridimensionare il ruolo della Dda a semplice recettore di iniziative operate in via primaria dalla polizia giudiziaria".
Come tornare indietro di decenni sul piano investigativo.
Il 2 giugno, giorno della Festa della Repubblica, Matteo Messina Denaro festeggerà i suoi 30 anni di latitanza.
Lasciando sguarnite Procure e forze dell'ordine che si dedicano notte e giorno alla sua cattura lo Stato-mafia getta la maschera e mostra il suo volto, facendosi beffa dei martiri.





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