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L’ex pm si interroga sul dichiarato del pentito: “C’è da capire con chi ha avuto contatti durante e dopo il carcere”

“E’ singolare la coincidenza per cui Avola ora sembri voler smontare processi e inchieste che hanno svelato apparati dello Stato responsabili nella Trattativa e nello stragismo”. Antonio Ingroia, già procuratore aggiunto di Palermo e “padre” dell’inchiesta sulla Trattativa Stato-mafia, risponde così a Il Fatto Quotidiano in merito alle recenti e quantomeno controverse dichiarazioni del collaboratore di giustizia catanese Maurizio Avola, intervistato da Michele Santoro nel suo ultimo libro. L’ex pm e oggi avvocato utilizza un termine che molti nel mondo dell’antimafia - dai parenti delle vittime, a magistrati e giornalisti - hanno pronunciato vedendo, tra le altre cose, Avola confessare di aver dato l’ultimo ordine per uccidere Paolo Borsellino: “Singolare”. E i motivi per definire tutta la questione come “singolare” sono diversi. Li illustra Antonio Ingroia. Gaspare Spatuzza quando decide di parlare riferisce di avere come motivazione il travaglio per aver appreso della detenzione di innocenti. Ma Avola appunto perché ora decide di parlare?”, si chiede Ingroia. “Io non voglio pensar male, ma questa sua sicurezza sull’assenza dei Servizi segreti in via D’Amelio, proprio mentre sta per arrivare a conclusione il processo Trattativa Stato-mafia, non può che insospettirmi ulteriormente”. L’avvocato parla quindi degli anni in cui da magistrato si è occupato di Avola (responsabile di circa 80 omicidi, tra i quali quello di Pippo Fava di cui si è autoaccusato). “Ho considerato all’inizio la collaborazione di Avola particolarmente preziosa, perché in alcuni processi rilevanti in cui è stato sentito proprio sul crinale dei rapporti tra la politica e Cosa nostra (penso al processo Dell’Utri, all’indagine sistemi-criminali e allo stesso processo Trattativa Stato-mafia) è risultato attendibile dai riscontri successivi alle sue dichiarazioni. Ma - spiega Ingroia - nel percorso in cui ho interrogato Avola negli anni mi sono anche imbattuto in alcune dichiarazioni sorprendenti poi rivelatesi se non incredibili, quanto meno smentite dall’attività di riscontri da me disposta”. Dichiarazioni non credibili come ad esempio quella in cui al processo Dell’Utri nel '98 Avola riferì “già di un attentato organizzato contro Antonio Di Pietro, commissionato da ambienti politico-finanziari alla Cosa nostra catanese. L’attentato sarebbe stato deliberato nel settembre 1992 all’hotel Excelsior di Roma dai boss catanesi Marcello D’Agata ed Eugenio Galea, con il boss messinese Rosario Cattafi, spiega l’avvocato. “Ma la richiesta ai mafiosi fu avanzata, riferì Avola, dal banchiere Francesco Pacini Battaglia. Io aprii un fascicolo per verificare se ci fosse fondatezza della notizia di reato. Ma non trovai alcun riscontro positivo, anzi nessuna traccia nell’albergo e nella data indicata delle persone nominate, che neppure stavano a Roma”. Dubbi e perplessità avvalorate “anche dal ruolo che Avola assegna a Matteo Messina Denaro, un ruolo di primo piano improvvisamente acquisito appunto da Messina Denaro, che da quel che so non è mai emerso precedentemente con responsabilità organizzative nella strage di via d’Amelio. È chiaro che oggi Messina Denaro sia il latitante numero 1 e che quindi mettere il suo nome significhi assicurarsi richiamo e risonanza”, spiega Ingroia. All’ex magistrato viene chiesto quindi qual è la sua opinione in merito al pentito catanese. “La mia opinione? È stato dentro e fuori dal programma di protezione… credo che ogni tanto abbia esigenza di ritornare alle luci della ribalta attraverso dichiarazioni eclatanti”, dice Ingroia. “Per questo motivo, compreso questo aspetto, cominciai a utilizzarlo con le pinze. Più di recente ha ripetuto la storia dell’attentato a Di Pietro in un dibattimento del processo Trattativa Stato-mafia, ma ripeto, i miei riscontri già eseguiti nel 1998 non lasciavano adito a dubbi. Inoltre, da quanto ho letto sul comunicato della Procura di Caltanissetta in merito alle dichiarazioni di Avola che si possono leggere sul libro di Santoro e che sono state rilasciate anche ai magistrati nisseni, le mie perplessità sono confermate dai loro riscontri negativi”. In conclusione Antonio Ingroia risponde alla domanda “madre” di tutta la vicenda Avola-Santoro e quindi delle dichiarazioni dell’ex boss: si tratta di un depistaggio?. “Se c’è depistaggio, e non discuto la buona fede dei giornalisti Michele Santoro e Guido Ruotolo, non sono in grado di dirlo”, dice l’avvocato. “Ma posso dire che il sospetto è legittimo e che queste dichiarazioni hanno di per sé un effetto depistante. Bisogna capire con chi Avola ha avuto contatti durante la detenzione (terminata nel gennaio 2020, ndr) e subito dopo”. Parole che fanno riflettere, e non poco.

Foto © Imagoeconomica

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