La questione è troppo seria e complessa per derubricarla a semplici “falsità” di Avola.
Ciò che dice Maurizio Avola (nel libro “Nient’altro che la verità”) sulla strage di Via D’Amelio appare falso ad occhio nudo, ma bisogna andare oltre e domandarsi cosa ci sia dietro l’ennesimo (tentato?) depistaggio.
Inizio con la vergogna di chi, fra le tante grossolane falsità, ha dovuto persino leggere che Avola non voglia “parlare male di quei poveretti addetti alla sicurezza” del giudice Borsellino e che sono stati aiutati dalla loro “disorganizzazione”.
Parlare male? Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli (oltre ad Antonio Vullo, mai ripresosi da quel drammatico pomeriggio) meritano rispetto.
Ma oltre a questa mancanza di rispetto, c’è dietro tanto altro.
Innanzitutto chi ha voluto sfruttare la notorietà di Santoro. Perché diciamoci la verità, se questo libro lo avesse scritto un volto poco noto nessuno ne parlerebbe. E nessuno gli avrebbe dedicato una prima serata in tv.
Ed allora vorrei partire dalla pagina - sempre significativa - dei ringraziamenti del libro. Uno, su tutti. Il legale di Maurizio Avola, Ugo Colonna, viene ringraziato perché “animato da una rara passione civile”. Perché questo ringraziamento così pomposo? Ha qualche merito nella “confessione” del suo assistito Maurizio Avola? (Ricordando che è sempre lui, da 27 anni - cioè dal primo pentimento del killer - l’avvocato).
E poi ancora: apprendiamo, ad esempio, che Cosa nostra sia stata in grado, da sola, di: ideare, programmare, realizzare le stragi. Tutte. Persino la strategia delle bombe “in continente”. Insomma, non esiste nessuna “entità esterna”, nessun “terzo livello”. Nessuna trattativa fra pezzi deviati dello Stato e la mafia. Nulla di nulla. Ma allora perché Avola dice di essersi spaventato dal “depistaggio di stato” che coinvolgeva Scarantino? E non pongo domande, per carità di patria, sulla palese mancanza nel libro dell’informazione sul “braccio ingessato” di Avola, verificata - e sottolineata - dalla Procura di Caltanissetta nel comunicato stampa odierno.
A questo punto la domanda non è più “perché Avola abbia detto ciò”, e probabilmente neanche “perché abbia taciuto per 27 anni” (dalle parole dei Pm nisseni, sarebbe ovvio: “Semplicemente perché ha mentito adesso”) ma a chi convenga che Avola dica ciò.
Conviene per caso agli imputati del processo “Trattativa” la cui sorte verrà decisa, fra non molto tempo, dalla Corte d’Assise d’Appello di Palermo?
Oppure: perché tentare di screditare la credibilità - quella sì dimostrata - dei collaboratori di Giustizia Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina? E così facendo - come leggo da ieri sera dalla penna di qualche esasperato garantista - chiudere definitivamente i conti con i pentiti, tutti, spalancando le porte alla dissociazione? Lo ricordo per i più distratti: proprio una delle richieste del “papello” ed anche, ça va sans dire, uno dei requisiti rilanciati dai Graviano - sì, proprio loro - per uscire finalmente dall’incubo dell’ergastolo ostativo senza collaborare con la Giustizia.
Ed ancora: perché sottolineare che “Nino Di Matteo, che è l’ultimo arrivato, non muove obiezioni” con il capo dell’allora procura di Caltanissetta, Tinebra, in relazione alla vicenda - più volte chiarita dallo stesso Di Matteo - del “pupo vestito” Scarantino?
Oppure ciò che per la prima volta ritroviamo nel libro solo a pagina 374. Quel famoso rapporto “mafia-appalti”. Quella definitiva riabilitazione per Mori e Subranni.
Ed allora quanta ragione ha Salvatore Borsellino quando dice che si cerca di “tirare fuori lo Stato deviato da questa e da altre stragi per ridare una verginità a chi l’ha perduta da tempo”.
E comunque un risultato è sicuramente raggiunto: il caos informativo. Esattamente ciò che serve in questo momento a chi vuol far vedere il dito e non la luna.
Tratto da: facebook.com/borrometi.paolo/posts/323964042431956
Foto © Imagoeconomica
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