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I magistrati: "Non forniva il nominativo della fonte che aveva informato il giornalista Giuseppe D’Avanzo"

L'ex procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini è indagata dalla Procura di Firenze per false informazioni al pm aggravate. La notizia è stata anticipata dal "Fatto Quotidiano". Secondo i magistrati fiorentini, l'ex pm oggi in pensione, durante l'interrogatorio del 14 dicembre del 2021, quando fu sentita in procura insieme con i colleghi di Caltanissetta nell'inchiesta sulle stragi mafiose del 1993, avrebbe taciuto ai magistrati informazioni di cui sarebbe stata in possesso. In particolare, su una fonte riguardante le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia su Silvio Berlusconi.
L’ex procuratore aggiunto, quindi, non è accusata di aver mentito ma di avere taciuto quel che sa.
Alla magistrata venne chiesto di chiarire un passaggio del suo libro 'La stanza numero 30' (ed. Feltrinelli) in merito ad una confidenza ricevuta dal giornalista Giuseppe D’Avanzo, poco prima della morte nel 2011, sulla fonte che nel 1994 le aveva permesso un grande scoop - e con lui anche ad Attilio Bolzoni, firma storica di 'La Repubblica' - bruciando però un’inchiesta che puntava a ricostruire le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi sui flussi di soldi versati dal gruppo Berlusconi alla mafia.
I magistrati di Firenze, ha riportato il "Fatto", hanno convocato Ilda Boccassini il 14 dicembre 2021 per chiederle chi fosse ‘la fonte’ di D’Avanzo che lui stesso le svelò. I procuratori aggiunti Luca Turco e Luca Tescaroli hanno riportato che “taceva ciò che sapeva intorno ai fatti sui quali veniva sentita”. “Non forniva il nominativo della fonte che aveva informato il giornalista Giuseppe D’Avanzo, secondo il racconto che quest’ultimo le aveva fatto in un colloquio privato”. Ilda Boccassini ha ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini dove le viene contestato “l’articolo 371 bis comma 1 in relazione all’articolo 384 ter del codice penale”.
Entro venti giorni dovrà farsi sentire con il suo avvocato per evitare la richiesta di rinvio a giudizio.


Le dichiarazioni di Salvatore Cancemi

Cancemi aveva rilasciato il 18 febbraio 1994 all'allora giovane pm applicata a Caltanissetta Ilda Boccassini delle dichiarazioni relative ai contatti tra i clan e Marcello Dell’Utri, “emissario” di Silvio Berlusconi. Il boss era reggente del mandamento di Porta Nuova ed era stato il primo a parlare dell’esistenza di contatti tra Totò Riina e “persone importanti” non affiliate a Cosa nostra: a riferirglielo, aveva sostenuto, era stato Raffaele Ganci, boss della Noce e fedelissimo del capo dei capi.
Boccassini, nel suo libro ‘La Stanza numero 30’ ha raccontato quando aveva interrogato Cancemi: “Nei precedenti verbali lei ha riferito di aver saputo da Raffaele Ganci che Salvatore Riina avrebbe avuto un incontro con persone importanti prima che venisse ucciso il giudice Falcone. Personaggi che avrebbero garantito a Riina la revisione dei processi. Conferma queste circostanze?”.


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Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi


“Ho il dovere di riferire queste circostanze, che io ho vissuto in questi anni da protagonista - aveva risposto il boss - Nel 1990 o 1991, in questo momento non riesco a essere più preciso, Ganci Raffaele mi disse che Salvatore Riina voleva parlarmi, ci incontrammo nell’ormai famosa villa di Girolamo Guddo. Riina cominciò parlando di Vittorio Mangano, persona che peraltro non era molto gradita allo stesso Riina perché in passato Mangano era vicino a Stefano Bontade. Riina mi disse di riferire a Mangano che non doveva più interferire nel rapporto che lo stesso aveva instaurato da anni con un tale Dell’Utri, collaboratore di Silvio Berlusconi, perché da quel momento i rapporti con il Dell’Utri li avrebbe tenuti direttamente Riina. Quest’ultimo precisò che, secondo gli accordi stabiliti con Dell’Utri che faceva da emissario per conto di Berlusconi, arrivavano a Riina 200 milioni l’anno in più rate, in quanto erano dislocate a Palermo più antenne (questa è l’espressione che usò Riina, ma ovviamente si riferiva a emittenti private)”. Cancemi aveva aggiunto che quei soldi arrivavano in più “rate da 40-50 milioni. Queste rate venivano consegnate non so da chi a Pierino Di Napoli, reggente della famiglia di Malaspina, compresa nel mandamento La Noce”.
La Procura di Caltanissetta, come scritto nel libro, affidò le indagini ad una squadra di Carabinieri coordinati dall’allora capitano Sergio De Caprio, detto Ultimo che pedinarono Pierino Di Napoli, tornato a Palermo nel novembre 2020 dopo un lungo periodo di detenzione a San Gimignano.
La Cassazione nel processo Dell’Utri del 2014 svaluterà quelle dichiarazioni in parte de relato di Cancemi come “complessivamente prive di un’autonoma significatività probatoria”.
Ricordiamo che l'interrogatorio era avvenuto a febbraio del 1994, cioè un mese prima delle elezioni politiche che vennero vinte da Forza Italia. Tuttavia il 20 e il 21 marzo del 1994 su Repubblica i giornalisti Bolzoni e D’Avanzo pubblicano i contenuti del verbale di Cancemi segnando la fine delle indagini.
In forza di questo l'esito di quelle indagini furono cruciali per il futuro politico dell'Italia.

Foto © Imagoeconomica

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