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Prevista entro fine anno la chiusura dell’indagine

Entro la fine dell'anno i pm di Firenze dovranno decidere se chiedere il processo o archiviare il fascicolo sui mandanti esterni delle stragi del 1993. L'indagine vede coinvolti Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi per il reato di strage, articolo 422 del codice penale aggravato dall'aver agevolato la mafia. Dell'Utri, ricordiamo, era già stato condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa (pena scontata).
I magistrati inoltre hanno ascoltato anche Ilda Boccassini per scoprire la fonte di una fuga di notizie che avrebbe favorito i due indagati. A dare la notizia è stato il quotidiano 'Domani' in un articolo a firma di Nello Trocchia.
L’inchiesta era stata aperta nel 2017 a seguito delle intercettazioni eseguite per 14 mesi, dal febbraio 2016 ad aprile 2017, in cui è stata registrata la voce del capomafia Giuseppe Graviano dalle microspie mentre parlava con il camorrista Umberto Adinolfi durante l’ora d’aria nel carcere di Ascoli Piceno: "Berlusca mi ha chiesto questa cortesia... per questo c'è stata l'urgenza. Lui voleva scendere... però in quel periodo c'erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa". Graviano continuava a parlare dei suoi presunti rapporti con Berlusconi, alludendo all'intenzione dell'imprenditore di entrare in politica già nel '92: "Berlusconi - proseguiva Graviano - quando ha iniziato negli anni '70 ha iniziato con i piedi giusti, mettiamoci la fortuna che si è ritrovato ad essere quello che è. Quando lui si è ritrovato un partito così nel '94 si è ubriacato e ha detto 'Non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato'. Pigliò le distanze e ha fatto il traditore". Le invettive contro l'ex premier, colpevole di averlo abbandonato, non si contano: "Tu lo sai che mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta... alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso... e tu mi stai facendo morire in galera senza che io abbia fatto niente". "Ti ho portato benessere, - è uno degli sfoghi - 24 anni fa mi arrestano e tu cominci a pugnalarmi". "Al Signor Crasto (cornuto, ndr) gli faccio fare la mala vecchiaia", continuava Graviano. "Sa che io non parlo - aggiungeva - perché sa il mio carattere e sa le mie capacità... pezzo di crasto che non sei altro, ma vagli a dire com'è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste". Il capo mafia ha parlato anche delle stragi, alludendo al fatto che dietro le bombe del '93 non ci fosse Cosa nostra: "Poi nel '93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia. Allora il governo ha deciso di allentare il 41 bis, poi è la situazione che hanno levato pure i 450". Il riferimento è alla decisione, presa nel novembre del '93, di revocare il carcere duro per 450 boss mafiosi. I pm palermitani avevano interpretato al tempo le parole di Graviano come la dimostrazione che tra le condizioni messe da Cosa nostra alle istituzioni per fare cessare le stragi c'era un allentamento del carcere duro.
Graviano, poi, aveva ricordato il periodo al 41 bis trascorso a Pianosa: "Pure che stavi morendo dovevi uscire e c'era un cordone, tu dovevi passare nel mezzo e correre. Loro buttavano acqua e sapone". "Andavano alleggerendo del tutto il 41 bis... se non succedeva più niente, non ti toccavano, nel '93 le cose migliorarono tutto di un colpo". Quindi rammenta la reazione dell'allora premier Ciampi, dopo le bombe di Milano nel luglio del '93: "Quella notte si sono spaventati, temevano il colpo di Stato e lui (l'allora premier Ciampi, ndr) se n'è andato subito a palazzo Chigi assieme ai suoi vertici. Loro non volevano nemmeno resistere, avevano deciso già di non resistere al colpo di Stato". Inoltre durante una serie di udienze tenutesi davanti alla corte d’Assise di Reggio Calabria tra il gennaio e il febbraio del 2020, Graviano aveva detto, rivolgendosi a Lombardo: "Se lei andrà ad indagare sull'arresto condotto nei confronti di Giuseppe e Filippo Graviano scoprirà i veri mandanti delle stragi. Scoprirà chi ha ucciso il poliziotto ucciso insieme alla moglie, Agostino. Scoprirà la verità su tante cose. Però i carabinieri devono dire la verità".
E poco dopo aveva lanciato un altro messaggio sibillino. Prima riferendosi al plurale a 'imprenditori di Milano' e poi, su richiesta di specifica del pm Lombardo, al singolare: "C'era un imprenditore di Milano che aveva interesse che le stragi non si fermassero. Chi me lo ha detto? Me lo ha riferito nel carcere di Spoleto (tra il 2006 ed il 2007) un altro detenuto napoletano. Si evince dalle intercettazioni ma non mi chieda di dire il nome perché non farò nessun nome. Non mi sembra corretto e rispetto le confidenze che ho". Accuse tutte da dimostrare, che per l’avvocato Niccolò Ghedini erano “palesemente diffamatorie”, anche se non si è poi avuta notizia di una denuncia da parte del legale dell’ex premier. A sentire “Madre natura”, come lo chiamavano i suoi sodali, il rapporto tra la famiglia Graviano e Berlusconi sarebbe stato tenuto da suo cugino Salvatore, la cui moglie è stata perquisita oggi. “Io casco latitante - aveva detto in aula - quindi la situazione la comincia a seguire mio cugino Salvatore”. A un certo punto, però, il mafioso delle stragi avrebbe chiesto al futuro leader di Forza Italia di regolarizzare la situazione relativa agli investimenti del nonno a Milano: “Noi dobbiamo entrare scritti che facciamo parte della società. Noi vogliamo essere partecipi, però questa cosa si andava procrastinando”, aveva raccontato Graviano a Reggio Calabria, facendo intendere che la condizione “occulta” dell’investimento doveva essere poi regolarizzata. “I nomi di quei soggetti non apparivano”, ha aggiunto Giuseppe Graviano in aula, riferendosi al fatto che i presunti soci occulti dell’imprenditore di Arcore non comparissero nelle partecipazioni societarie. “Ma c’era una carta privata che io ho visto, la copia di mio nonno la ha mio cugino Salvatore Graviano”. Una frase che, più di altre, sembrava essere un vero e proprio messaggio o anche un’indicazione: il capo mafia ha sostenuto che ci fossero delle prove.

I pm di Firenze hanno sentito anche Ilda Boccassini
Gli inquirenti fiorentini hanno chiesto all’ex procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini (oggi in pensione) chi era fonte  che nel marzo del 1994  aveva raccontato a Repubblica il contenuto di un verbale del pentito Salvatore Cancemi. A darne la notizia è stato sempre il ‘Domani’. Il quotidiano per il quale lavora Attilio Bolzoni, uno dei due giornalisti che aveva firmato lo scoop di Repubblica nel ’94. Cancemi aveva rilasciato delle dichiarazioni all’ex magistrato di Milano relative ai contatti tra i clan e Marcello Dell’Utri, “emissario” di Silvio Berlusconi. Il boss era reggente del mandamento di Porta Nuova ed era stato il primo a parlare dell’esistenza di contatti tra Totò Riina e “persone importanti” non affiliate a Cosa nostra: a riferirglielo, aveva sostenuto, era stato Raffaele Ganci, boss della Noce e fedelissimo del capo del capi.
I pm avrebbero potuto chiedere a Bolzoni l’identità della fonte di quella notizia ma il giornalista siciliano non l’avrebbe potuta rivelare senza violare il segreto professionale. L’altro autore di quella notizia era stato Giuseppe D’Avanzo, morto nel 2011. Per questo motivo la procura ha interrogato Boccassini, la quale, nel suo libro ‘La Stanza numero 30’ ha raccontato quando aveva interrogato Cancemi: “Nei precedenti verbali lei ha riferito di aver saputo da Raffaele Ganci che Salvatore Riina avrebbe avuto un incontro con persone importanti prima che venisse ucciso il giudice Falcone. Personaggi che avrebbero garantito a Riina la revisione dei processi. Conferma queste circostanze?”. “Ho il dovere di riferire queste circostanze, che io ho vissuto in questi anni da protagonista - aveva risposto il boss - Nel 1990 o 1991, in questo momento non riesco a essere più preciso, Ganci Raffaele mi disse che Salvatore Riina voleva parlarmi, ci incontrammo nell’ormai famosa villa di Girolamo Guddo. Riina cominciò parlando di Vittorio Mangano, persona che peraltro non era molto gradita allo stesso Riina perché in passato Mangano era vicino a Stefano Bontade. Riina mi disse di riferire a Mangano che non doveva più interferire nel rapporto che lo stesso aveva instaurato da anni con un tale Dell’Utri, collaboratore di Silvio Berlusconi, perché da quel momento i rapporti con il Dell’Utri li avrebbe tenuti direttamente Riina. Quest’ultimo precisò che, secondo gli accordi stabiliti con Dell’Utri che faceva da emissario per conto di Berlusconi, arrivavano a Riina 200 milioni l’anno in più rate, in quanto erano dislocate a Palermo più antenne (questa è l’espressione che usò Riina, ma ovviamente si riferiva a emittenti private)”. Cancemi aveva aggiunto che quei soldi arrivavano in più “rate da 40-50 milioni. Queste rate venivano consegnate non so da chi a Pierino Di Napoli, reggente della famiglia di Malaspina, compresa nel mandamento La Noce”.

Foto © Imagoeconomica

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