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La Suprema Corte il 23 marzo ha annullato l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Firenze che aveva confermato i decreti di perquisizione nei confronti dei familiari del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano.
Nello specifico le perquisizioni erano state eseguite la mattina del 27 ottobre scorso a Palermo, Roma e Rovigo nell'ambito dell'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia della Procura di Firenze sulle stragi mafiose del 1993 in cui sono indagati, con l’accusa di strage in concorso con Cosa nostra, lo stesso ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi e il suo storico braccio destro, Marcello Dell’Utri. L’indagine è stata coordinata dall’allora procuratore capo di Firenze, Giuseppe Creazzo, e dagli aggiunti Luca Turco e Luca Tescaroli ed ha l’obiettivo di accertare l’esistenza di presunti mandanti occulti delle stragi mafiose che hanno sconvolto l’Italia, in particolare l’attentato a Maurizio Costanzo a Roma e la strage di via dei Georgofili a Firenze del maggio 1993, la strage di Milano a via Palestro e le bombe alle Basiliche di Roma nella notte tra il 27 e 28 luglio 1993.
La Cassazione, come riporta il Fatto Quotidiano in un articolo a firma di Marco Lillo, ha accolto quindi le tesi dell’avvocato Mario Murano, difensore di Benedetto e Nunzia Graviano. Secondo il legale le perquisizioni andavano annullate perché nulla lega oggi Nunzia e Benedetto al fratello Giuseppe, a parte il vincolo di sangue.
I due fratelli del boss di Brancaccio non sono indagati ma, come riportato dal Fatto, sono stati perquisisti poiché secondo il Tribunale del Riesame "è emersa la necessità di riscontrare le dichiarazioni rese da Giuseppe Graviano in ordine alla partecipazione finanziaria di Quartararo Filippo, nonno del Graviano, e di altri esponenti della mafia palermitana alle attività economiche di Silvio Berlusconi, che sarebbe stata sancita da una scrittura privata in disponibilità di soggetti di cui il Graviano non ha fornito le generalità, ma riconducibili al suo ambito familiare. Tali rapporti costituirebbero antefatto rispetto alla strategia che ha portato all’esecuzione delle stragi”.
Per capire le ragioni dell'annullamento ordinato dalla Cassazione bisognerà attendere le motivazioni.




Il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano


Le origini dell’inchiesta fiorentina
L’inchiesta era stata aperta nel 2017 a seguito delle intercettazioni eseguite per 14 mesi, dal febbraio 2016 ad aprile 2017, in cui è stata registrata la voce del capomafia Giuseppe Graviano dalle microspie mentre parlava con il camorrista Umberto Adinolfi durante l’ora d’aria nel carcere di Ascoli Piceno: "Berlusca mi ha chiesto questa cortesia... per questo c'è stata l'urgenza. Lui voleva scendere... però in quel periodo c'erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa". Graviano continuava a parlare dei suoi presunti rapporti con Berlusconi, alludendo all'intenzione dell'imprenditore di entrare in politica già nel '92: "Berlusconi - proseguiva Graviano - quando ha iniziato negli anni '70 ha iniziato con i piedi giusti, mettiamoci la fortuna che si è ritrovato ad essere quello che è. Quando lui si è ritrovato un partito così nel '94 si è ubriacato e ha detto 'Non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato'. Pigliò le distanze e ha fatto il traditore". Le invettive contro l'ex premier, colpevole di averlo abbandonato, non si contano: "Tu lo sai che mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta... alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso... e tu mi stai facendo morire in galera senza che io abbia fatto niente". "Ti ho portato benessere, - è uno degli sfoghi - 24 anni fa mi arrestano e tu cominci a pugnalarmi". "Al Signor Crasto (cornuto, ndr) gli faccio fare la mala vecchiaia", continuava Graviano. "Sa che io non parlo - aggiungeva - perché sa il mio carattere e sa le mie capacità... pezzo di crasto che non sei altro, ma vagli a dire com'è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste". Il capo mafia ha parlato anche delle stragi, alludendo al fatto che dietro le bombe del '93 non ci fosse Cosa nostra: "Poi nel '93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia. Allora il governo ha deciso di allentare il 41 bis, poi è la situazione che hanno levato pure i 450". Il riferimento è alla decisione, presa nel novembre del '93, di revocare il carcere duro per 450 boss mafiosi. I pm palermitani avevano interpretato al tempo le parole di Graviano come la dimostrazione che tra le condizioni messe da Cosa nostra alle istituzioni per fare cessare le stragi c'era un allentamento del carcere duro.
Graviano, poi, aveva ricordato il periodo al 41 bis trascorso a Pianosa: "Pure che stavi morendo dovevi uscire e c'era un cordone, tu dovevi passare nel mezzo e correre. Loro buttavano acqua e sapone". "Andavano alleggerendo del tutto il 41 bis... se non succedeva più niente, non ti toccavano, nel '93 le cose migliorarono tutto di un colpo". Quindi rammenta la reazione dell'allora premier Ciampi, dopo le bombe di Milano nel luglio del '93: "Quella notte si sono spaventati, temevano il colpo di Stato e lui (l'allora premier Ciampi, ndr) se n'è andato subito a palazzo Chigi assieme ai suoi vertici. Loro non volevano nemmeno resistere, avevano deciso già di non resistere al colpo di Stato". Inoltre durante una serie di udienze tenutesi davanti alla corte d’Assise di Reggio Calabria tra il gennaio e il febbraio del 2020, Graviano aveva detto, rivolgendosi a Lombardo: "Se lei andrà ad indagare sull'arresto condotto nei confronti di Giuseppe e Filippo Graviano scoprirà i veri mandanti delle stragi. Scoprirà chi ha ucciso il poliziotto ucciso insieme alla moglie, Agostino. Scoprirà la verità su tante cose. Però i carabinieri devono dire la verità".
E poco dopo aveva lanciato un altro messaggio sibillino. Prima riferendosi al plurale a 'imprenditori di Milano' e poi, su richiesta di specifica del pm Lombardo, al singolare: "C'era un imprenditore di Milano che aveva interesse che le stragi non si fermassero. Chi me lo ha detto? Me lo ha riferito nel carcere di Spoleto (tra il 2006 ed il 2007) un altro detenuto napoletano. Si evince dalle intercettazioni ma non mi chieda di dire il nome perché non farò nessun nome. Non mi sembra corretto e rispetto le confidenze che ho". Accuse tutte da dimostrare, che per l’avvocato Niccolò Ghedini erano “palesemente diffamatorie”, anche se non si è poi avuta notizia di una denuncia da parte del legale dell’ex premier. A sentire “Madre natura”, come lo chiamavano i suoi sodali, il rapporto tra la famiglia Graviano e Berlusconi sarebbe stato tenuto da suo cugino Salvatore, la cui moglie è stata perquisita oggi. “Io casco latitante - aveva detto in aula - quindi la situazione la comincia a seguire mio cugino Salvatore”. A un certo punto, però, il mafioso delle stragi avrebbe chiesto al futuro leader di Forza Italia di regolarizzare la situazione relativa agli investimenti del nonno a Milano: “Noi dobbiamo entrare scritti che facciamo parte della società. Noi vogliamo essere partecipi, però questa cosa si andava procrastinando”, aveva raccontato Graviano a Reggio Calabria, facendo intendere che la condizione “occulta” dell’investimento doveva essere poi regolarizzata. “I nomi di quei soggetti non apparivano”, ha aggiunto Giuseppe Graviano in aula, riferendosi al fatto che i presunti soci occulti dell’imprenditore di Arcore non comparissero nelle partecipazioni societarie. “Ma c’era una carta privata che io ho visto, la copia di mio nonno la ha mio cugino Salvatore Graviano”. Una frase che, più di altre, sembrava essere un vero e proprio messaggio o anche un’indicazione: il capo mafia ha sostenuto che ci fossero delle prove. Ed è stato proprio questo il motivo delle perquisizioni scattate quella mattina di ottobre.

Fonte: ilfattoquotidiano.it

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