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Continua la requisitoria per il delitto mafioso del 5 agosto 1989 di Villagrazia di Carini

L’agente di Polizia Nino Agostinoera entrato in un contesto pericoloso”. Il Commissariato San Lorenzo, presso il quale prestava servizio, era ormai diventato una “succursale dei servizi segreti”. E nella Palermo degli anni ’80 e ’90 questo significava lavorare in un contesto torbido, difficile da capire. Voleva dire ritrovarsi in ambienti in cui bianco e nero non erano separati da un confine netto, ma si mescolavano in una scala di grigi senza capo né coda. Era “un calderone” come lo definì lo stesso Agostino. Ed è da questo assunto che ieri mattina il sostituto procuratore generale Umberto De Giglio è ripartito per continuare la requisitoria del processo Agostino davanti alla Corte d’Assise di Palermo presieduta da Sergio Gulotta (giudice a latere Monica Sammartino). Un procedimento che indaga sulla morte del poliziotto Nino Agostino, appunto, e della moglie Ida Castelluccio, uccisi entrambi in un agguato mafioso il 5 agosto del 1989. Sul banco degli imputati ci sono Francesco Paolo Rizzuto, sedicente amico d’infanzia dell’agente, accusato di favoreggiamento e il boss dell'Acquasanta Gaetano Scotto, accusato di duplice omicidio aggravato in concorso. Ed è proprio su quest’ultimo che l’udienza di ieri ha fatto luce. Sulla sua importanza nella catena di comando di Cosa nostra e, in particolare, il suo ruolo nel duplice omicidio Agostino-Castelluccio. “Al tempo c’era aria di contiguità fra mafia e istituzioni. E non è una suggestione. Ci sono elementi concreti che dimostrano come in quegli anni funzionari di Polizia e funzionari di altissimo livello dei servizi segreti avevano rapporti di collusione con la mafia”, ha detto De Giglio prima di passare la parola al sostituto procuratore nazionale antimafia Domenico Gozzo per fare il punto su Scotto.
Nino Agostino era un poliziotto, ma anche un cacciatore di latitanti. “Erano tempi difficili e ambigui, che si possono riassumere nella descrizione fatta dal collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo – ha detto De Giglio -: ‘Al tempo c’erano poliziotti che davano la caccia ai latitanti e poliziotti, che, invece, pagati da Cosa nostra, avvisavano i mafiosi dell’esistenza di coloro che cercavano i latitanti’”. L’agente Agostino era fra i primi ed era consapevole del contesto in cui si stava addentrando. Per questo motivo, nel tempo, maturò l’idea di allontanarsi da tutto, ma non fece in tempo. “Il complessivo quadro probatorio rende evidente la rete di rapporti che c’era tra il vertice del mandamento di Resuttana e alcuni esponenti delle istituzioni – ha aggiunto De Giglio -. Questa analisi consente di comprendere come l’agente Agostino, entrando in relazione con soggetti inseriti in alcuni punti di questa rete, abbia avuto la possibilità di venire a conoscenza di segreti scottanti. Ed è assolutamente plausibile, oltre che confermato dalla logica, quanto ci ha detto Vito Galatolo”.
Ovvero, che mentre Agostino faceva i suoi appostamenti fuori da Vicolo Pipitone (centro nevralgico della holding del mandamento mafioso dei Galatolo e dei Madonia), nello stesso entravano personaggi come Bruno Contrada (ex capo della Squadra Mobile di Palermo ed ex numero tre del Sisde, ndr) ed altri”.


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Domenico Gozzo


Agostino, i cacciatori di taglie e gli “spioni”
È stata poi la volta del sostituto procuratore nazionale antimafia Domenico Gozzo, il quale, prima di ricostruire il ruolo di Gaetano Scotto in questa vicenda, ha ricostruito un altro segmento importante sulla vera attività lavorativa di Nino Agostino: la caccia di latitanti. “Non si trattava di un'attività che Agostino svolgeva da solo – ha precisato Gozzo -. In questo processo, grazie anche alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, ma non solo, abbiamo raccolto prove autonome di fatti sulla vicenda dei cacciatori di taglie. I cosiddetti ‘spioni’, come erano chiamati negli ambienti mafiosi”. Gozzo ha così portato la Corte indietro nel tempo a quando, tra il maggio 1989 e il marzo 1990 vennero uccise tre persone oltre ad Agostino. Si tratta di Giacomo Palazzolo, Emanuele Piazza e Gaetano Genova.
Genova era un giovanissimo vigile del fuoco che il 30 marzo 1990 a Palermo venne sequestrato, interrogato e poi ucciso perché diede un'indicazione importante a Emanuele Piazza, collaboratore esterno del Sisde nonché cacciatore di latitanti assassinato il 16 marzo 1990). Grazie a Genova venne arrestato il latitante Giovanni Sammarco, che si trovava all'interno di un centro sportivo in cui il vigile del fuoco stava facendo alcuni lavori con la piccola impresa edilizia che mise in piedi come secondo lavoro. A ordinare l'eliminazione del giovane vigile del fuoco furono proprio i boss di Resuttana-San Lorenzo. Anche Giacomo Palazzolo era attivo nella ricerca di latitanti e, all’interno delle consorterie mafiose, era sospettato di essere un informatore della polizia. Tutti omicidi legati da un file rouge e una “serialità” che porta al mandamento mafioso di Resuttana. E quindi a Gaetano Scotto e Antonino Madonia.


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Nino Agostino e Ida Castelluccio


La vicenda dei cacciatori di taglie è centrale alla fine degli anni Ottanta, perché in quel periodo grazie all'attività del pool antimafia dell'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo “si riuscì ad ottenere una serie di condanne, anche se non ancora definitive - ha detto Gozzo -. Si passa da una fase in cui c'era un’imperante convivenza da parte di alcuni soggetti con Cosa nostra, a una fase, invece, in cui c'è una lotta nei confronti della mafia. In questo passaggio, però, alcune ‘scorie’ rimasero. Ovvero persone che, dall'interno dello stesso ufficio di Polizia in cui lavorava Agostino (il Commissariato San Lorenzo, ndr), lavoravano con soggetti dei servizi segreti o altri che colludevano con la mafia”. Una guerra "sporca” in cui i Madonia, per esempio, “conoscevano i nomi (dei cacciatori di latitanti, ndr) dal di dentro, dalla A alla Z – ha detto Gozzo leggendo un verbale di Giovanni Brusca -. E li prendevano tipo noccioline”. In questa guerra sporca si collocano le figure del boss dell’Acquasanta Gaetano Scotto e il boss del mandamento di Resuttana Nino Madonia. E quindi è indubbia l’esistenza di “un filo rosso che lega questi episodi omicidiari con l'omicidio dell'agente Agostino – ha precisato Gozzo -. Un filo rosso che riguarda la cattura dei latitanti, i rapporti poco chiari con le forze di intelligence, che riguarda notizie provenienti da ambienti istituzionali che permettevano a Cosa nostra di effettuare una vera e propria battuta di caccia contro chi volevano cacciare loro. Un filo rosso che conduce sempre al mandamento di Resuttana, perché i cacciatori di taglie Piazza e Agostino erano in contatto con fonti importanti, con gli ‘spioni’, secondo i mafiosi, che agivano esclusivamente ovvero anche sul mandamento di Resuttana e avevano rapporti con importanti uomini d'onore di questo mandamento”.


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Sergio Gulotta


Scotto è la “personificazione” dei motivi del duplice omicidio
A differenza di Nino Agostino che cercava i latitanti, “Scotto Gaetano è esattamente l'altra faccia della medaglia. Quella sporca”. Lo ha definito così Domenico Gozzo davanti alla Corte. Figura nevralgica all’interno del mandamento di Resuttana, Scotto era reggente della famiglia dell’Arenella-Vergine Maria nonché “responsabile del traffico di stupefacenti per Resuttana in contatto con i Fidanzati, i Bono, i Contrerà e i Caruana e in rapporti anche con esponenti istituzionali”, ha detto Gozzo. Una figura estremamente complessa posta da Antonino Madoniaa tutela dell’area grigia dei rapporti tra menti istituzionali di Polizia e associati di Cosa nostra”. “Da qualsiasi punto di vista la si guardi – ha aggiunto Gozzo -, la figura di Scotto si è rivelata essere la personificazione dei motivi di questo duplice omicidio”. Un piede nella consorteria mafiosa e uno fra le istituzioni, dunque, come testimoniato dal collaboratore di giustizia Francesco Onorato il quale, a processo, ha detto che “a Roma era stata costituita una ‘decina’ di Cosa nostra, che, tra le altre cose, doveva curare nella Capitale proprio i rapporti con i servizi segreti. A capo di questa ‘decina’ c'era proprio Gaetano Scotto”, ha evidenziato Gozzo.
Infine, c’è un terzo elemento che collega il duplice omicidio Agostino-Castelluccio a Scotto. Il boss dell’Acquasanta era anche una persona "in qualche modo conosciuta da una delle vittime, ovvero Ida Giovanna Castelluccio – ha precisato il sostituto procuratore nazionale antimafia -. In seguito alle indagini, infatti, Scotto è risultato essere un lontano parente acquisito della Castelluccio, coniuge di Nino Agostino, uno dei cacciatori di latitanti che, come abbiamo ricostruito, andava eliminato”.


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Al tempo dell’omicidio Agostino, fra i “complessi rapporti" di Scotto "con appartenenti delle istituzioni" vi erano “il capo di carabinieri dell'Acquasanta, il maresciallo Salzano; il dottor D'Aloisio dell’Alto Commissariato; e un poliziotto della scorta del dottor Giovanni Falcone, il Guttadauro". Questo colloca "indubbiamente Scotto al centro sia come mandamento sia per le relazioni personali dell'‘affaire’ che riguarda i rapporti tra l'associazione mafiosa e parte delle organizzazioni di polizia e dell’intelligence che è dietro a tutti gli omicidi dei cosiddetti cacciatori di taglie”. Alla fine della ricostruzione della figura di Gaetano Scotto, Domenico Gozzo ha fatto presente alla Corte come la figura del boss dell'Acquasanta "combaci perfettamente, nel campo assolutamente opposto, con quella di Nino Agostino che di questi cacciatori di taglie faceva parte e che, come risulta dagli atti, era in rapporto con almeno due di questi soggetti: Emanuele Piazza e Gaetano Genova, oltre che aver condotto indagini proprio nel territorio del Resuttana”. “Non stupisce dunque – ha continuato Gozzo - che la compianta signora Augusta Schiera (madre dell’agente Nino Agostino, ndr) abbia riconosciuto proprio nello Scotto la persona che aveva seguito il figlio Nino sino all’aeroporto di Catania, da cui lo stesso era partito con la moglie per il viaggio di nozze in Grecia. E non stupisce che diversi collaboratori riferiscano che Madonia Antonino abbia deciso di associare proprio lo Scotto a questa ‘impresa’: uccidere Agostino un poliziotto che dava fastidio, che minacciava il quieto vivere dei mafiosi e delle persone che con questi avevano rapporti”. “Chi più di Scotto aveva da perdere se fossero venute fuori le inconfessabili relazioni tra gli uomini delle istituzioni di associati mafiosi?”, ha concluso Gozzo rivolgendo la domanda alla Corte. La prossima udienza è calendarizzata per il 19 gennaio 2024. Data in cui si riprenderà la requisitoria partendo dalla figura di Nino Madonia, boss del mandamento di Resuttana.

Foto © ACFB

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