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Per la Pg Sava un solo rimpianto: "Se non fosse morto anche Aiello tra gli imputati, anello fra mafia e servizi

Noi oggi processiamo Gaetano Scotto ma, se non fosse morto, ci sarebbe qui un altro imputato, Giovanni Aiello. Anello di congiunzione, ancora una volta, fra il mondo di Cosa nostra e quel sordido ambiente dei servizi segreti deviati che sullo sfondo di questo dibattimento abbiamo messo in evidenza e in chiara luce”. A parlare è la procuratrice generale di Palermo Lia Sava che ieri mattina ha dato inizio alla requisitoria del processo Agostino davanti alla Corte d'Assise di Palermo, presieduta da Sergio Gulotta (giudice a latere Monica Sammartino), sulla morte del poliziotto Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio, uccisi in un agguato il 5 agosto del 1989. Gli imputati sono il boss dell'Acquasanta Gaetano Scotto, accusato di duplice omicidio aggravato in concorso, e Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento.
Un processo lungo, corposo, ricco di prove e testimonianze sui rapporti che Cosa nostra e i servizi segreti hanno avuto negli anni ’80 e ’90. Un procedimento che ha avuto inizio grazie all’intraprendenza dell’ex procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, e – soprattutto - alla tenacia di Vincenzo Agostino, padre dell’agente di polizia ucciso ormai 35 anni fa a Villagrazia di Carini dalla mafia, e non solo. Un gigante buono, dalla lunga barba bianca e i lunghi capelli che, sulle bare del figlio e della nuora, ha promesso di non tagliare fino a quando non otterrà verità e giustizia.
Ieri la Corte ha chiuso l’istruttoria dibattimentale, iniziando così l’ultimo capitolo di questo processo in primo grado. Un ulteriore passo verso il tanto atteso giorno da “Zu’ Vicè”, com’è chiamato Vincenzo all’interno della Questura di Palermo.

Il tempo è galantuomo, restituisce tutto a tutti
Siamo in presenza di una vicenda umana straziante, un fatto di mafia con inquietanti ed evidenti, direi evidentissimi, addentellati nella palude melmosa delle convergenze di interessi con settori deviati delle istituzioni, sui quali abbiamo fatto luce – ha detto Lia Sava nel suo intervento -. Proprio questo segmento procedimentale che vede imputato Gaetano Scotto costituisce il centro vitale di tale inequivocabile e inquietante convergenza. E Vincenzo Agostino presente a tutte le udienze di questo processo, come fu per il processo Madonia (boss del mandamento di Resuttana condannato all’ergastolo con la formula del rito abbreviato per l’omicidio Agostino-Castelluccio, ndr) ha la statura di un gigante tenace che in un giorno di agosto del 1989, allorché si accingeva a festeggiare il 18° compleanno della figlia (Flora, ndr), si è visto strappare un pezzo di anima quando vennero trucidati Antonino, Ida e il bambino che portava in grembo”. “Un eroe da tragedia greca” lo ha definito la Pg nell’aula bunker dell’Ucciardone. Una persona dinnanzi alla quale la Sava ha sentito “l’obbligo morale di chiedere scusa”. “Scusa per il troppo tempo trascorso dal 1989 ad oggi – ha detto -, perché 35 anni sono davvero tanti se passati senza una verità processuale che, se non è sufficiente a riparare dal dolore che non andrà mai via, serve per rendere giustizia”.


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Da sinistra: Vincenzo Agostino, Ida Castelluccio, Antonino Agostino e Augusta Schiera


Un delitto di mafia maturato anche in ambienti esterni a Cosa nostra
Addentrandosi nella ricostruzione di quel tragico 5 agosto 1989, la procuratrice generale ha evidenziato come, la procura generale di Palermo, per arrivare a ricostruire la responsabilità, e quindi cosa è accaduto e perché, ha dovuto “affrontare un percorso complesso, non scevro da insidie”. Per oltre trent’anni “a volte sono mancati elementi essenziali di conoscenza che solo la paziente attività di analisi investigativa compiuta dalla procura generale di Palermo ha permesso di rendere finalmente lineare”, ha sottolineato. Un lavoro non semplice, specie quando a complicare la ricostruzione dei fatti sono depistaggi, omissioni, inquietanti silenzi e false testimonianze.
Investigatori e colleghi dell’Agostino hanno fatto di tutto: soppresso documenti dello stesso rinvenuti in sede di perquisizione; hanno detto cose false; ed inoltre, sempre nell’immediatezza dei fatti, si è tentato di dare rilievo investigativo in maniera assolutamente illogica e senza nessun fondamento ad un movente passionale indirizzando i primi accertamenti verso qualcosa che è contro la logica", ha detto alla Corte. Non sono mancati nemmeno i "silenzi e le reticenze" utili a "nascondere oscure verità, verosimilmente collegate ad altri fatti di sangue che hanno scosso il nostro Paese, ad opera di Cosa nostra e di altri che hanno concorso a realizzarli”. Per raggiungere questi scopi, nel tempo "sono state diffuse notizie false e contraddittorie anche all’interno dell’organizzazione mafiosa", dove "inequivocabilmente si colloca l’omicidio Agostino-Castelluccio”.

Agostino-Castelluccio, un omicidio premeditato
Successivamente è stata la volta del sostituto procuratore generale Umberto De Giglio, che, come prima cosa, ha sottolineato che “le attività di Antonino Agostino sono centrali per comprendere il perché dell’omicidio. La sua attività ufficiale e non ufficiale”. Ecco, dunque, perché come prima cosa De Giglio ha fatto luce sul contesto in cui Agostino prestava servizio, quindi il Commissariato di San Lorenzo. Senza però dimenticare la figura di Ida Castelluccio, che va vista “non come un incidente di percorso”, bensì come “un bersaglio premeditato dai killer”. A prescindere della stessa dinamica, infatti, il pg ha evidenziato la “logica” con cui gli esecutori “hanno scelto il luogo e il momento in cui uccidere Agostino. Ovvero, quando non era solo, bensì in compagnia della moglie”. Dalla ricostruzione, infatti, appare evidente la “volontà criminale” con cui è stato commesso il duplice omicidio “eliminando la persona che custodiva alcune informazioni (evidentemente rilevanti, ndr), alcuni segreti, emozioni e inquietudini dell’agente Agostino, ovvero sua moglie Ida Giovanna Castelluccio. Possiamo affermare, dunque, che Ida rappresentava il punto di riferimento di Nino in quel periodo”. Inoltre, la giovane donna, da poco coniuge dell’agente di polizia, andava eliminata perché riconobbe gli assassini. “Io vi conosco, so chi siete”, disse loro prima di essere colpita fatalmente. Parole che contrastano, di fatto, quanto affermato dalla Corte d’Assise di Palermo il 5 ottobre scorso nel processo a carico del boss Madonia, secondo cui, pur ritenendo colpevole l’imputato di omicidio volontario di entrambe le vittime, abbia ritenuto “non premeditata l’uccisione di Castelluccio Ida Giovanna”.


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Il sostituto procuratore generale, Umberto De Giglio


Chi era Nino Agostino
Figlio di Vincenzo Agostino e Augusta Schiera, deceduta il 28 febbraio 2019, Nino Agostino era un agente di Polizia mosso da un profondo senso di giustizia. Valore in cui ha creduto fino all’ultimo. Per lui “il bene e il male rappresentavano due colori separati: bianco e nero”, ha detto De Giglio nel corso della requisitoria. Purtroppo, però, le tonalità di grigio nella Palermo degli anni ’80 e ’90, soprattutto negli ambienti investigativi, erano molto frequenti. E il commissariato San Lorenzo, nel suo essere un “ufficio particolare e unico”, oltre che “terreno fertile per coltivare ambizioni e iniziative anche al di fuori dei compiti e delle mansioni ufficiali”, né era una testimonianza.
Nino, infatti, svolgeva anche lavori diversi dall’ordinario. Aveva contatti con ambienti esterni al commissariato e negli anni ’80 ottenne informazioni di primissimo livello su alcuni soggetti appartenenti al Sisde che frequentavano i capi mafia di Cosa nostra nel covo di Fondo Pipitone – o Vicolo –, una traversa della zona dell’Acquasanta. Si tratta di un luogo chiave per Cosa nostra da dove “partiva tutto” secondo il pentito Galatolo. Qui, ha raccontato il collaboratore di giustizia nel corso del processo, “commettevamo omicidi, soppressioni di cadaveri nei fusti dell’acido, strangolamenti, riunioni e summit mafiose, incontri con uomini esterni a Cosa nostra”. In questo senso, Galatolo ha raccontato anche di aver visto “uomini dei servizi segreti come Bruno Contrada e Giovanni Aiello (alias “Faccia da mostro”, ndr), ma anche il Questore di Palermo Arnaldo La Barbera” oltre che gli agenti di Polizia Agostino ed Emanuele Piazza, che però frequentavano Fondo Pipitone per raccogliere informazioni sui latitanti. Persone, ricostruzioni e fatti che De Giglio analizzerà nelle prossime udienze, coadiuvato dal sostituto procuratore nazionale antimafia Domenico Gozzo.

Il Commissariato di San Lorenzo
Istituito nell’87 dopo l’omicidio del piccolo Claudio Domino, il commissariato di San Lorenzo serviva a dimostrare la presenza dello Stato nel territorio. Un presidio di legalità in una delle aree più delicate della città, anche se – in realtà – la sua competenza territoriale era vastissima e interessava diversi quartieri e mandamenti. Il commissariato aveva una peculiarità: non si limitava al lavoro tradizionale. Al suo interno, infatti, si svolgeva un’intensa attività di polizia giudiziaria. Fu il primo dirigente dell’ufficio, Elio Antinoro, a ricordare in questo processo – anche se con una testimonianza “criptica” - come lo stesso si avvaleva di giovani agenti a sua disposizione, che “poteva plasmare come meglio voleva, istituendo il commissariato come una forma di succursale di servizi segreti – ha sottolineato De Giglio -. Operava con infiltrati, agenti provocatori, confidenti, e rivoluzionando i compiti attribuiti al commissariato. Nessun commissariato all’epoca svolgeva questo tipo di attività. Metodi spregiudicati che portavano risultati e operazioni investigative di vario genere”. Al tempo Palermo era la città in cui c’era un omicidio di mafia al giorno. E quello di San Lorenzo “era divenuto una sorta di laboratorio in cui si sperimentava la commistione di metodo e la collaborazione tra polizia e servizi segreti”, ha detto il sostituto procuratore generale alla Corte. Ed è proprio in quel commissariato che Nino Agostino ha maturato la sua esperienza.


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Da sinistra: Vincenzo, Nunzia e Flora Agostino


Il ruolo dei servizi segreti
Quella dei servizi segreti – spesso catalogati come “deviati” – era un’ombra importante che già al tempo investiva il commissariato di San Lorenzo. La joint venture tra polizia e servizi si evince anche da alcuni dati conclamati come, per esempio, il “prezziario” indicato da alcuni testi auditi nel corso del processo. Delle vere e proprie liste dove venivano identificati, e diversamente prezzati, i principali latitanti di mafia ricercati. Elemento che portò alla entrata in campo di veri e propri “cacciatori di taglie” preposti alla loro cattura, come ha ricordato De Giglio in aula. Al tempo quando si parlava di servizi segreti a Palermo, in particolare il Sisde, il riferimento era univoco: Bruno Contrada.
De Giglio ha quindi evidenziato la peculiarità operativa del commissariato di San Lorenzo. Una sorta di "succursale dei servizi di sicurezza". Lo testimonia il commissario Saverio Montalbano raccontando del suo arrivo al commissariato San Lorenzo. Ma il dato si evincerebbe anche dal rapporto di Antinoro con Contrada e con i servizi segreti. È emerso nel processo, nell'audizione del capitano Grignani, che nel commissariato venivano diffusi "elenchi con le taglie per le catture dei latitanti”.
Sempre in merito ai contatti che può aver instaurato Agostino con i servizi segreti, appare "significativo" che "Bruno Contrada, il quale dal 31 maggio 1987 aveva assunto all’interno del Sisde il coordinamento del gruppo di ricerca latitanti, venne rimosso dal suo incarico tre giorni dopo l’omicidio Agostino: l’8 agosto ‘89". L'ex 007 all’epoca era un personaggio già "chiacchierato", ha ricordato De Giglio. Ritenuto tra molti una figura ambigua. "Tra questi anche dal giudice Giovanni Falcone il quale, nei giorni successivi all’attentato all’Addaura, confidò al giornalista de ‘L’Unità’ Saverio Lodato di pensare a Bruno Contrada quando parlò di ‘menti raffinatissime’ che avevano organizzato o comunque stavano strumentalizzando contro di lui quell’azione criminale”, ha aggiunto il pg.
Nel corso della sua testimonianza assistita in questo procedimento, Contrada disse che la sua rimozione fu disposta sostanzialmente in via precauzionale a seguito della pubblicazione nei giorni precedenti di un articolo di stampa denigratorio nei suoi confronti. “Rimane, però, questa coincidenza particolare tra l’omicidio Agostino e la rimozione dall’ufficio del Sisde che si occupava della ricerca di latitanti – ha commentato De Giglio -. In ogni caso il collegamento Agostino-servizi segreti costituisce un dato certo evidenziato e dimostrato anche da risultanze specifiche. Tra queste quella del collega di Agostino, Domenico La Monica, il quale il 2 gennaio 1993 depositò una relazione che ricostruiva un dialogo tra lui e Agostino in cui quest’ultimo fece riferimento ad Alberto Volo”. Volo era uno dei “confidenti” che Antinoro gestiva in prima persona nonché ex neofascista che amava definirsi "agente al servizio dello Stato". In quella conversazione, inoltre, “Agostino fece riferimento ai servizi segreti e disse di essere ‘al servizio di questi’, di ‘lavorare’ per loro”, ha detto De Giglio.


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Il sostituto procuratore nazionale antimafia, Domenico Gozzo


Alberto Volo, l’uomo cerniera tra mafia, servizi ed estrema destra
Definito in aula un “personaggio particolare”, Alberto Volo è stato l’uomo cerniera tra servizi segreti, destra eversiva e mafia. Nel 1989 era al centro dell’indagine di Giovanni Falcone sui “delitti politici”, in particolare quello dell’ex presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, ucciso il 6 gennaio 1980 nella centralissima via Libertà a Palermo. Volo era anche amico di Francesco Mangiameli noto esponente di Terza Posizione nonché soggetto in contatto con i Nar “GiusvaFioravanti e Francesca Mambro, “con i quali si era incontrato a Palermo per liberare dall’Ucciardone il terrorista nero Pierluigi Concutelli”, ha spiegato De Giglio. Inoltre, Alberto Volo era nel novero di persone borderline che frequentavano il commissariato San Lorenzo. In quegli anni l’estremista nero rappresentava una fonte estremamente importante e delicata. Dalle investigazioni svolte nell’ambito del procedimento, è emerso che Volo aveva collaborato con Giovanni Falcone con la mediazione del commissario di San Lorenzo Antinoro, nell’ambito degli “Omicidi Politici”. “Nel corso di queste attività collaborative di Falcone e Antinoro, al Volo era stato dato un servizio di protezione. Una scorta. Svolta da elementi del commissariato San Lorenzo di cui faceva parte Agostino. Quest’ultimo, dunque, per conto del commissario svolgeva un servizio di protezione di una fonte delicata e importante come il Volo. Emergeva, inoltre, che l’estremista era inserito nei servizi segreti”, ha detto De Giglio. Negli atti acquisiti era emerso subito un rapporto Agostino-Volo. Sentito la prima volta, infatti, “Volo aveva ammesso di conoscere Agostino perché accompagnava Antinoro presso la Scuola Alfieri”. Una scuola privata di cui era proprietario.
De Giglio ha poi fatto riferimento agli incontri riservati avvenuti presso la caserma Lungaro tra Giovanni Falcone e Nino Agostino. Incontri che evidenziano ulteriormente il rapporto stretto di collaborazione fra i due, ma anche la delicatezza del lavoro che verosimilmente stavano conducendo. “Agostino era entrato nel terreno ‘minato’ di Giovanni Falcone – ha detto De Giglio -. Nel suo piccolo Agostino si è trovato a combattere contro mafiosi e contro coloro che andavano a braccetto con i mafiosi. E ciò spiega la presenza in questa vicenda di un personaggio come Giovanni Aiello (“Faccia da mostro”, ndr). Il timore e la preoccupazione manifestate nelle ultime settimane di vita da Agostino dimostrano la piena consapevolezza dell’estrema pericolosità del mondo in cui, in qualche modo, aveva messo piede”. Per il sostituto procuratore generale, “l’eliminazione di Agostino rappresenta un drammatico preludio per Giovani Falcone”, nonché il prequel delle stragi che saranno compiute negli anni successivi. Il collegamento tra Agostino e il giudice Falcone “non può essere trascurato. Non è una cosa da poco”. È un dato "processualmente accertato”. Un fatto vero, ha spiegato De Giglio, “che poi verrà variamente deformato da tutte quelle voci che poi inizieranno a diffondersi, in ordine alle responsabilità di Agostino e di Piazza nell’esecuzione dell’attentato all’Addaura”.


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La Corte d'Assise di Palermo, presieduta da Sergio Gulotta (giudice a latere Monica Sammartino)

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