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Mentre Papa Francesco chiede il “coraggio di negoziare” una Pace e torna ad attaccare l’industria delle armi, ricordando a tutti che è sempre dietro ad ogni guerra e si “guadagna per uccidere”. Il nostro Paese, silente, partecipa al banchetto. E allora vale la pena ripetere ciò che ho già detto giovedì, in maniera provocatoria, al Teatro Garbatella di Roma, dove si è tenuta la presentazione del libro "Il Colpo di Spugna" (ed. Fuori Scena), che ho scritto assieme al sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo.
Mi piacerebbe che si sviluppasse un altro filone del giornalismo d’inchiesta in Italia, quello che riguarda un argomento considerato tabù. Quello delle industrie belliche italiane che producono e che vendono armi.
Non esiste da nessuna parte un elenco che ci venga a raccontare la lista della spesa in questi ultimi tre anni di guerra in Ucraina e di guerra in Medio Oriente, di quanto abbiano fatturato le industrie italiane in questo settore.
Io lo dico per una ragione molto semplice: qualche mese fa la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni disse che avrebbe fatto pagare alle banche gli extraprofitti. E alla fine non se ne fece niente. Ma perché non introdurre una tassa su una parte di questi profitti che si sono decuplicati in occasione di una calamità internazionale come l’esplodere di una guerra?
O noi dobbiamo accettare il criterio che il mercante di armi, o potremmo chiamarlo elegantemente il produttore di armi, possa arricchirsi?
Io credo che il ministro Crosetto potrebbe fare una battaglia di verità, lui da solo occupandosi di questa materia. Sicuramente non avrà conflitto di interessi quindi, a maggior ragione, alzi lui il velo su questo e proponga, a questo governo, di fissare una tassa, una-tantum, da pagare. Visto che ci si arricchisce in tempi di guerra. E questo sarebbe un bel filone del giornalismo investigativo che però non trova particolari sviluppi.
Ed oggi non lo può nascondere più nessuno. 

Rielaborazione grafica by Paolo Bassani

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