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Muore Henry Kissinger. Stratega e servo fedele dell’élite americana, fu responsabile di oltre tre milioni di morti dal Vietnam al Cile 

“E’ finalmente morto un criminale di guerra amato dalla classe dirigente statunitense”. Rolling Stone, il famoso mensile statunitense di musica, politica e cultura di massa, ha titolato così la notizia della morte di Henry Kissinger. Una scelta editoriale che probabilmente scatenerà polemiche, ma difficile da biasimare. Del resto, quando Bin Laden - nemico numero uno dell’Occidente - venne ucciso dai Marines ad Abbottabad, il trattamento riservatogli dagli altri tabloid americani (“preso il bastardo”, “marcisci all’inferno”, titolarono) fu di lunga più severo rispetto a quello riservato ieri a Kissinger dalla rivista. Stiamo parlando di due criminali, ma a confronto, per spietatezza, il capo di Al Qaeda non era un’unghia di quest’ultimo. Ora veniamo alla cronaca. Il marionettista della politica estera americana e internazionale è spirato mercoledì nella sua casa in Connecticut alla modica età di cento anni. Un secolo di vita. Di famiglia ebrea, nel 1938, quando aveva 15 anni, fuggì insieme ai genitori da Fürth, in Germania, a New York prima della “Notte dei Cristalli”. Quando il giovane Heinz divenne Henry negli Stati Uniti, pur mantenendo il suo forte accento tedesco, nessuno avrebbe potuto immaginare che da adulto sarebbe diventato uno degli uomini più ricchi ed influenti del Paese e che nell’arco di qualche decennio avrebbe avuto le mani in pasta nei peggiori massacri di Stato della storia contemporanea.
Nel 1943, all'età di 20 anni, Kissinger fu arruolato nell'esercito americano. Venne naturalizzato cittadino statunitense lo stesso anno. La conoscenza della lingua tedesca gli aveva aperto le porte per l’intelligence militare e venne mandato a Berlino Ovest assieme a una squadra di de-nazificazione. 
Dopo la guerra, Kissinger frequentò Harvard, laureandosi in scienze politiche nel 1950 e un dottorato di ricerca nel 1954. Mentre era ancora a scuola nel 1952, lavorò per il Psychological Strategy Board del governo degli Stati Uniti, formato dalla Casa Bianca nel 1951 per fare propaganda contro il comunismo a sostegno degli Stati Uniti e della “democrazia”.
Ciò accadde durante la “Guerra di Corea”, quando l’esercito americano uccise milioni di persone. In quell’invasione, la prima di tante dai “Trattati di Parigi”, Washington volle far capire al mondo di essere disposto a tutto - anche a costo di un nuovo conflitto globale - pur di estirpare il comunismo e vincere, da quel 38° parallelo che oggi divide la Corea del Nord dalla Corea del Sud, la Guerra fredda. A questo proposito, Henry Kissinger fu una manna dal cielo per l’establishment americana. Nel suo lavoro accademico, infatti, Kissinger riteneva che la legittimità dell’ordine internazionale richiedesse solo l’accordo delle grandi potenze e che la moralità fosse qualcosa di irrilevante. La sua filosofia cinica emerse già nel 1957 quando pubblicò il libro Nuclear Weapons and Foreign Policy in cui sosteneva che gli Stati Uniti dovrebbero usare regolarmente armi nucleari tattiche in guerra per garantire la vittoria. Non a caso il suo biografo, Niall Ferguson, ritenne che Kissinger sia stato “l’ispirazione per il Dottor Stranamore”, il colossal di Stanley Kubrick. Ultraliberale, anticomunista, repubblicano convinto, cinico, arrogante, suprematista, scaltro, calcolatore e xenofobo (tra le tante, chiamò “strega” la ex presidente indiana Indira Gandhi e definì gli indiani “popolo spazzino”). Questo era Henry Kissinger agli occhi del mondo. Ma dietro le quinte fu ben altro: il “deus ex machina” dei potenti d'oltreoceano. Lo storico della Yale University Greg Grandin, autore della biografia “Kissinger's Shadow”, stima che le azioni di Kissinger dal 1969 al 1976, un periodo di otto brevi anni in cui Kissinger fece si occupò della politica estera dei presidenti Richard Nixon e poi di Gerald Ford come consigliere per la sicurezza nazionale e segretario di Stato, hanno significato l’eliminazione di un numero compreso tra tre e quattro milioni di persone. Ciò include “crimini su commissione”, ha spiegato lo storico, come in Cambogia e Cile, e crimini per omissione, come dare il via libera allo spargimento di sangue dell’Indonesia a Timor Est; lo spargimento di sangue del Pakistan in Bangladesh; e l’inaugurazione di una tradizione americana di sfruttamento e poi di abbandono dei curdi. 

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Nguyen Phu Duc, emissario speciale del presidente sudvietnamita, il presidente Nixon ed Henry Kissinger


Guerra in Vietnam, preludio di 50 anni di esportazione della democrazia
L’imperialismo americano nella sua forma più prevaricatrice, la dottrina della “democratizzazione” delle non-democrazie (solo quelle ostili a Washington, ovviamente), ebbero il loro battesimo nel novembre 1968, nell’esatto momento in cui l’accademico Henry Kissinger varcò la cancellata della Casa Bianca per accettare l’incarico di consigliere alla sicurezza nazionale propostogli dal neo presidente Nixon. Da quel momento Kissinger visse per oltre mezzo secolo nel mondo che aveva creato. Gli esordi del “whatever it takes” Kissingeriano, quel cieco pragmatismo irrinunciabile che doveva favorire gli interessi di “Uncle Sam”, si ebbero con la guerra in Vietnam. Una guerra che infuriava da anni, in cui gli Stati Uniti ci finirono dentro con tutte le scarpe durante la presidenza Eisenhower nel ’54, e dalla quale il repubblicano Nixon, che vinse le elezioni con un programma di distensione internazionale, promise un’uscita rapida e “onorevole”. Kissinger fu chiamato proprio per questo scopo. Ciò che si dimentica, però, è che già nell’ottobre 1968, l’ex presidente Lyndon Johnson stava perseguendo la via della pace e a Parigi avviò negoziati con i comunisti del Vietnam del Nord. Durante i colloqui, Washington era pronta ad accettare di cessare i bombardamenti su Hanoi, la capitale del Vietnam del Nord, in cambio di concessioni che avrebbero fermato il conflitto decennale.
Nixon temeva profondamente che Johnson e i Vietminh raggiungessero un accordo prima delle elezioni perché questo avrebbe assicurato la vittoria del rivale Dem Hubert Humphrey in un periodo in cui negli States l’opinione pubblica chiedeva con forza il ritiro delle truppe.
Kissinger, ebbe accesso a quei colloqui e li usò per fornire informazioni alla campagna presidenziale di Richard Nixon con lo scopo di sfruttarle e manipolarle per assicurare la vittoria alle urne. Infatti, il giorno prima del voto, il Vietnam del Sud si allontanò inspiegabilmente dal tavolo delle trattative. Nixon, grazie a Kissinger, avrebbe interferito nei negoziati inviando un messaggio tramite l’aiutante di Nixon, Anna Chennault, all’ambasciata del Vietnam del Sud e poi al presidente Nguyen van Thieu. Il candidato promise maggiori concessioni ai sudvietnamiti se avessero aspettato a negoziare la pace fino a dopo l'elezione di Nixon. Pace che non venne più stipulata. Il risultato fu un coinvolgimento militare diretto di altri cinque anni. La pace venne firmata solo nel 1973 con il trattato di Parigi, con la mediazione di Kissinger. L’intesa - salvo alcuni aspetti secondari - fu la copia esatta di quella raggiunta durante la fine del mandato Johnson. In pratica Nixon e il suo stratega prolungarono inutilmente una guerra costata 30 miliardi di dollari ai contribuenti americani che si concluse con una sconfitta indecorosa, la morte di 58mila soldati e l’uccisione di 2 milioni di vietnamiti. Nonostante la reputazione terribile che accompagnò Kissinger dopo questo fallimento, già condivisa fra i suoi contemporanei, nel 1973 l’alto diplomatico vinse, con il rivoluzionario vietnamita Le Duc Tho il premio Nobel per la Pace per aver “messo fine alla guerra in Vietnam e ristabilito la pace”. Una premiazione ricolma di contraddizioni al punto che due dei cinque membri del comitato norvegese si dimisero in segno di protesta. 

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Viet Cong al confine con la Cambogia, 1964


La mente del “Condor”
Il 1973 fu anche l’anno del colpo di stato civile-militare-ecclesiastico in Cile. Il paese, al tempo guidato dal socialista Salvador Allende, leader di “Unidad Popular”, finì, insieme ad Argentina, Perù, Uruguay, Paraguay, Brasile, Bolivia, tra gli “artigli” del “Piano Condor”. Si trattava di un’operazione strategica di destabilizzazione pensata dalla mente eversiva di Kissinger e manovrata dalla Cia che prese avvio proprio sul modello dell’operazione “Phoenix” in Vietnam e pertanto atta ad estirpare la minaccia comunista, nemica assoluta degli interessi dell’impero americano. Questa volta non più in Indo-Cina, ma in Sud America, in quello che Washington ha sempre considerato il proprio cortile di casa. Kissinger, come si scoprì grazie agli “Archivi dell’orrore” disvelati in Paraguay nel 1992, fu la mente di questo piano segreto. L’obiettivo era instaurare regimi militari per strozzare sul nascere il sentimento comunista presente in America Latina e quindi avere intatta l’incredibile mole di interessi geopolitici ed economici che avevano gli Stati Uniti. Di conseguenza, socialisti, marxisti, dissidenti politici, attivisti e studenti vennero considerati minaccia della sicurezza pubblica ed eliminati tramite il terrorismo di Stato. Sparizioni sistemiche, torture, esecuzioni, stupri furono, per decenni, l’incubo dei Paesi del Cono Sud dell’America Latina dove affondarono gli artigli del condor.
Il Cile fu uno dei paesi, se non il Paese, più colpito. Nel 1970 dopo la vittoria alle elezioni di Salvador Allende con il partito socialista Unidad Popular, in America i vertici del governo Nixon si riunirono per decidere il da farsi. Il Cile di Allende avrebbe preso subito la strada del comunismo e quindi la fine delle loro ambizioni di carattere economico. Ma, soprattutto, il Cile di Allende sarebbe potuto essere d’esempio per altre nazioni del continente e del mondo. La stessa paura che nutrivano gli americani per l’Indocina per via della trazione comunista dei Vietminh. Era di primaria importanza per Washington rovesciare Allende ma un golpe nel 1970 in Cile non sarebbe stato facile realizzarlo. Si pensò dunque di lavorare ai fianchi Allende, come già si era tentato (senza successo) durante la campagna elettorale, che di lì a poco avrebbe dovuto ricevere la fiducia al Senato, attuando una destabilizzazione economica. Nixon, suggerito da Kissinger, fece investire 10 milioni di dollari a questo scopo. Bisognava “far prendere sopravvento all’economia”.

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Bulldog camminatore M41 della cavalleria corazzata cilena vicino al palazzo del governo durante il golpe del '73


Il piano consisteva nel sabotare i tentativi del governo tendenti alla rinegoziazione del debito cileno. Porre il veto alla concessione di prestiti da parte di quella che all’epoca era chiamata come “Banca Mondiale” come conseguenza delle politiche del governo Allende, scoraggiare gli investimenti di paesi terzi, oltre agli Stati Uniti naturalmente, sia privati che pubblici, disincentivare turismo e viaggi in Cile. E poi una sfilza di sanzioni se Allende avesse stretto alleanze commerciali con Cuba o Unione Sovietica, nemici giurati di Washington. Allo stesso tempo la Cia aveva creato una “forza esecutiva” (in pratica un gruppo militare) che aveva compiti di sabotaggio e di eliminazione sistematica di soggetti politici e istituzionali cileni con l’intento di far fuori l’opzione democratica nel Paese. Gli Stati Uniti cercarono di provocare al Cile di Allende una morte lenta intaccando il respiro economico del Paese e isolando il presidente Allende grazie alla complicità di mezzi di stampa collusi e all’eliminazione fisica e politica di alleati.
Uno di questi era Carlos Prats, uomo di fiducia di Allende che prese il posto del capo militare René Schneider (assassinato nel fallito tentativo di evitare l’investitura di Allende). Il generale Prats promosse la così detta "Dottrina Schneider", basata sulla difesa del principio di subordinazione dei militari al potere civile e sulla necessità della loro collaborazione con il governo. Dottrina chiaramente ostile alle intenzioni americane. Così anche Prats finì nel mirino della Cia. Nominato dal presidente socialista in persona prima ministro degli interni e poi ministro della Difesa, Prats fu infatti vittima di un attentato, poi fallito, nel giugno del ’73. Nei mesi successivi, poi, venne linciato mediaticamente, e venne allontanato. Al suo posto, Allende nominò il generale Augusto Pinochet. “Senza voler sopravvalutare il mio ruolo, ritengo che la mia uscita di scena rappresenti l’anticamera del colpo di Stato e del grande tradimento”, avvertì Prats. Non si sbagliò. L’11 settembre 1973 Pinochet tradì Allende, mise sotto assedio la capitale Santiago del Cile, fece arrestare tutti i componenti del governo e i membri del partito “Unidad Popular” e bombardò “La Moneda”, il palazzo presidenziale. Salvador Allende venne assassinato dagli uomini del generale, non si suicidò come ancora oggi molti ritengono. Kissinger riuscì nel suo piano di mettere fine al sogno di un nuovo Cile e distrusse la speranza di milioni di cileni che finalmente con Allende avevano avuto il primo presidente marxista democraticamente eletto della loro storia.


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Henry Kissinger e Augusto Pinochet


Dal golpe seguirono, con Pinochet al potere, 17 anni di spietato terrorismo di Stato fatto di sparizioni, torture, omicidi, esecuzioni, totalitarismo e violenza di ogni genere. Durante il regime morirono 3000 innocenti. Tutto questo con accertate responsabilità dell’amministrazione Nixon e di Henry Kissinger, profondo estimatore di Pinochet. “Hai reso un grande servizio all’Occidente rovesciando Allende”, disse al macellaio cileno nel ’76. Lo scrittore statunitense Gore Vidal a proposito del coinvolgimento americano nel colpo di Stato in Cile nel 1999 affermò: “Se Pinochet sarà processato canterà. E se ciò accadrà mi auguro che Henry Kissinger sia detenuto e processato per quello che ha fatto in Cile. Considero Henry Kissinger il più grande criminale di guerra in circolazione in questo momento nel pianeta”. Ma la parola di Vidal, purtroppo, non ha molto valore nel mondo di oggi. E Kissinger non ha mai pagato per le sue azioni.

Dove passa Kissinger non cresce più l’erba
Non solo Cile e Vietnam. Ogni Paese in cui l’ex segretario di Stato ha messo piede su mandato di Washington ha conosciuto la devastazione. "Dove passa Attila non cresce più l'erba”, si diceva del re degli Unni. Un detto che potrebbe essere riadattato al defunto stratega americano.

Cambogia: l’espansione della guerra voluta da Kissinger creò le premesse per il governo genocida dei Khmer rossi in Cambogia, che presero il potere da un regime militare sostenuto dagli Stati Uniti e uccisero un quinto della popolazione - due milioni di persone. I cambogiani erano stati spinti nelle mani del movimento comunista dalla campagna di bombardamenti a tappeto di Kissinger e Nixon, che uccise centinaia di migliaia di persone. Ad oggi, le persone continuano a morire a causa degli ordigni statunitensi inesplosi.


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Le truppe del Vietnam del Sud aspettano di essere prelevate dagli elicotteri in un villaggio all'interno della Cambogia


Argentina: diventato segretario di Stato del neo presidente Gerard Ford, nel 1976 Kissinger diede la sua benedizione alla dittatura neofascista argentina, che aveva rovesciato il governo della presidente Isabel Peron quello stesso anno. Il governo militare diretto da Jorge Rafael Videla, salito al potere quello stesso anno con un colpo di Stato, condusse una sporca guerra contro la sinistra, etichettando i dissidenti come “terroristi” sulla scia del Cile. Durante una visita in Argentina nel 1978, Kissinger adulava il dittatore Videla, lodandolo per i suoi sforzi nella lotta al “terrorismo”. “Se ci sono cose che vanno fatte, fatele rapidamente. Ma poi tornate ai procedimenti normali”. Una raccomandazione che la giunta seguì solo in parte: che le “cose” siano state fatte non c’è alcun dubbio, ma in maniera tutt’altro che rapida (il regime durò sette anni). Videla sarebbe poi diventato responsabile della sparizione (i famosi “desaparecidos”) di 30.000 oppositori. Durante il regime militare, che durò fino al 1983, morirono circa 10.000 persone.

Timor Est: nel 1975, Kissinger diede il via libera al presidente Suharto all’invasione indonesiana di Timor Est, un’ex colonia portoghese che si avviava verso l’indipendenza. Durante una visita a Giakarta, Kissinger e Ford raccontarono a Suharto, dittatore brutale e stretto alleato nella battaglia contro il comunismo, di aver compreso le sue ragioni, consigliandogli di farla finita in fretta. Il giorno successivo, Suharto arrivò con il suo esercito equipaggiato dagli Stati Uniti, uccidendo 200.000 timoresi orientali.

Bangladesh: nel 1970, i nazionalisti bengalesi in quello che allora era conosciuto come Pakistan orientale vinsero le elezioni. Temendo una perdita di controllo, il governo militare del Pakistan occidentale lanciò una repressione omicida. Kissinger e Nixon sostennero fermamente il massacro, scegliendo di non avvertire i generali di trattenersi. Motivato dall’utilità del Pakistan come contrappeso alla Cina e all’India filosovietica, Kissinger rimase indifferente all’uccisione di un numero compreso tra 300.000 e 3 milioni di persone. In una registrazione segreta espresse disprezzo per le persone che “sanguinano” e per “i bengalesi morenti”. 


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Aldo Moro @ Imagoeconomica


La Trilaterale e la minaccia ad Aldo Moro
La “realpolitik” attribuita a Kissinger superava la brutalità delle sue decisioni, prese con la volontà di dare agli Usa un ruolo di primo piano nello scacchiere mondiale. A qualsiasi prezzo, in qualsiasi circostanza. Del resto, Henry Kissinger fu uno dei tre fondatori della Commissione Trilaterale, istituita il 23 giugno 1973 insieme a David Rockefeller e Zbigniew Brzezinski. Si tratta di un'organizzazione semi-ufficiale che riunisce altissime personalità della finanza e della politica, docenti universitari, esponenti sindacali e giornalisti provenienti da Stati Uniti, Europa e Giappone con lo scopo apparente di incrementare la cooperazione tra questi paesi e il continente europeo. In realtà, però, la Commissione Trilaterale nasce per una conduzione discreta e silenziosa dell'economia e della politica occidentali nel mondo. Documento cardine della Trilaterale, divenuto poi un vero e proprio libro, è “La crisi della democrazia”, pubblicato in Italia con la prefazione del dirigente FIAT Gianni Agnelli, che parla di come gli “eccessi di democrazia” dei Paesi socialisti siano alla base dei malfunzionamenti dei sistemi occidentali odierni. In questo senso il “compromesso storico” promosso negli anni ’70 da Enrico Berlinguer, leader del più grande partito comunista d’Europa del tempo (il PCI) rappresentava una minaccia per questo sistema di potere. L’accordo prevedeva il tentativo di un accordo politico tra PCI e Democrazia Cristiana, guidata dall’on. Aldo Moro, per raggiungere posizioni di governo.
I Kissinger Cables, resi pubblici da WikiLeaks nel 2013, registrano infatti che la diplomazia Usa assisteva preoccupata e a tratti spazientita alle lotte interne della DC, che voleva invece vedere rigenerata contro un PCI che acquistava sempre più consensi, prestigio e legittimazione. Quando il 25 settembre del 1974 in qualità di ministro degli Esteri Moro si presentò all’allora segretario di Stato americano, da Kissinger avrebbe ricevuto la seguente intimidazione: “Onorevole lei deve smettere di perseguire il suo piano politico per portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente. Qui o lei smette di fare queste cose o lei la pagherà cara. Veda lei come la vuole intendere”. Il 16 marzo 1978 Aldo Moro venne sequestrato a Roma dalle BR, e non solo, il suo corpo venne fatto ritrovare il 9 maggio dello stesso anno dopo 55 giorni di prigionia. L'omicidio Moro rappresenta, tuttora, una delle pagine più misteriose della nostra storia repubblicana.

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L'ex segretaria di Stato dell'amministrazione Obama, Hillary Clinton ed Henry Kissinger


Con infamia e senza lode
In mezzo alla miriade di azioni bellicose condotte da Kissinger in tutto il mondo, aiutando i dittatori fascisti a salire al potere e sostenendo la supremazia bianca nelle colonie dell’Africa meridionale e in Palestina, gli viene anche riconosciuto il merito di aver perseguito la distensione con l’URSS e di aver aperto relazioni diplomatiche con la Cina. E in questo senso, sicuramente, può essere sicuramente considerato migliore della cloaca di ministri e diplomatici sanguinari che abbiamo.
Dagli Stati Uniti all’Italia, però, la stampa mainstream si sta crogiolando nella memoria beatificata e riabilitata di Kissinger. Una lode stomachevole. Sembra quasi che il sangue di oltre tre milioni di persone che goccia dalle sue mani  non sia motivo di ribrezzo e indignazione. L’impunità mediatica e politica che gli è stata assicurata gli ha permesso, una volta in pensione, di continuare a sussurrare all’orecchio dei successivi presidenti degli Stati Uniti e a sostenere le loro guerre, tra cui Ronald Reagan e George W. Bush. Nel 1982, fondò la sua società di consulenza, Kissinger Associates, con un elenco di clienti top secret, per consigliare società, lobbies, think tank, banche statunitensi ed europee e dittatori del Terzo mondo sostenuti dall’Occidente. Il suo ultimo patrimonio netto dichiarato era di circa 50 milioni di dollari.
I terrificanti trascorsi di Kissinger lo hanno reso caro a molti politici liberali statunitensi. I Clinton, Bill e Hillary, lo veneravano e partecipavano alle sue feste di compleanno. 
Nel 2016, l'amministrazione Obama gli aveva conferito un premio in suo onore per gli anni di "illustre servizio pubblico”. Nell'ultimo tempo è stato invitato spesso da diverse università liberali statunitensi, tra cui il Massachusetts Institute of Technology, Yale e la New York University, che ha celebrato il 45° anniversario della sua ricezione del premio Nobel.  
Nell’aprile 2018, Kissinger è stato ospite alla prima cena di stato di Trump alla Casa Bianca, insieme agli amici miliardari di Donald Trump. Si sarebbe pronunciato anche sulla guerra in Ucraina, sulla quale ha cambiato idea più volte, ora per 'appoggio a Kiev tout-court, ora per i negoziati con Mosca.
Il più feroce degli anti-Kissinger, Christopher Hitchens, nel suo libro “Il processo a Henry Kissinger” (2001), lo accusò esplicitamente di crimini contro l'umanità e reati "contro il diritto comune, consuetudinario o internazionale, compresa l'associazione a delinquere finalizzata a commettere omicidio, rapimento e tortura". Hitchens, tuttavia, non sembrava rendersi conto che Kissinger non era un anticonformista e che ciascuno di questi crimini avrebbe dovuto essere imputato più in generale al governo degli Stati Uniti, al Congresso, al Pentagono, al Dipartimento di Stato, a democratici e repubblicani. Nessuno escluso. Infatti, tutte le politiche omicide perseguite da Kissinger non si discostarono dalla politica estera americana né prima né dopo di lui. È ciò che spiega la sua popolarità tra l’élite imprenditoriale e intellettuale americana, sia tra i liberali che tra i conservatori. I crimini amorali e genocidi di cui si macchiò il potente segretario di Stato non sono più mostruosi dei crimini commessi dagli Stati Uniti sin dalla loro fondazione. Kissinger non era altro che il fedele ambasciatore dei padroni d'America che ha servito per cinquant'anni. Un servo con infamia e senza lode.

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