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Dalla riforma Cartabia a Nordio. Accertamenti. Da Renzi e la prof che lo filmò all’autogrill con l’ex 007, ai contatti per lo scoop sul ministro della Difesa

La fabbrica dei dossier s’è dissolta nel nulla (come il Fatto ha sempre sostenuto). Svanita la centrale dello spionaggio nell’antimafia, vaneggiata da alcuni quotidiani e una fetta della politica, possiamo analizzare quel che resta dell’inchiesta sul finanziere Pasquale Striano, accusato di accesso abusivo alle banche dati in concorso con i tre giornalisti del Domani Giovanni Tizian, Nello Trocchia e Stefano Vergine. Quel che resta è semplice: cercavano notizie e poi le pubblicavano. E la caccia alla loro fonte è andata a buon fine. Il punto è che le fonti per il giornalismo sono come l’aria: se spariscono loro, sparisce il giornalismo, quindi la notizia dovrebbe allarmare tutti i giornalisti – non solo i tre cronisti indagati – e anche i lettori. È un segno dei tempi: per capirlo va analizzata la storia dall’inizio.
Il 27 ottobre 2022 Tizian ed Emiliano Fittipaldi, direttore del Domani, firmano un’inchiesta intitolata: “Così il nuovo ministro della Difesa Guido Crosetto ha incassato milioni di euro da Leonardo”. Leonardo opera nel settore armamenti e Crosetto, ministro delle forze armate, in passato ha incassato notevoli compensi dall’azienda in questione. Non è gossip: la notizia ha un rilievo pubblico indubitabile. Crosetto ingaggia i sui avvocati: “Sono certo che le condanne in sede civile e penale siano l’unico metodo che direttori, editori e giornalisti possano intendere, di fronte alla diffamazione. Il mio è un obbligo istituzionale: difendere il Dicastero”.
Per essere diffamato, però, la notizia dovrebbe essere falsa, se non tutta, almeno in parte. E i cronisti non sono mai stati indagati per diffamazione: la notizia è vera. Però un esposto giunge ugualmente alla Procura di Roma: la notizia potrebbe essere stata ricavata da una banca dati riservata. Parte la caccia alle fonti. Crosetto incarna uno dei massimi poteri esistenti in Italia: governa l’esercito, la marina militare, l’Arma dei carabinieri. E di fronte a una notizia – vera, non falsa – si presenta in Procura per chiedere (nei fatti) di scoprire le fonti dei cronisti. Si dirà: c’è un malandrino che spaccia informazioni sensibili su un ministro e potrebbero finire anche in mani nemiche. Giusto. Ma a quel punto, più che denunciare in Procura, è più opportuno allertare i servizi segreti, più specializzati, ma con un leggero handicap: le loro informazioni restano riservate, diversamente dagli atti giudiziari che, prima o poi, diventano pubblici. Risultato: incastrata pubblicamente la fonte dei cronisti. Che peraltro aveva anche individuato, tra i soci di Crosetto in una serie di B&B (sicuramente a sua insaputa) gente legata alla criminalità organizzata. Ma di fronte alla “fabbrica dei dossier” questa notizia passa in secondo piano. È questo oggi il rapporto tra politica e informazione. Un caso isolato? No.
Nel 2022 Report viene a sapere che Matteo Renzi incontra l’ex 007 Marco Mancini in un autogrill e avvia un’inchiesta. La redazione riceve l’informazione, incluse le foto che immortalano la scena, da una fonte che chiede l’anonimato. Renzi deposita alla Procura di Roma – la stessa alla quale si rivolge Crosetto e trasmetterà gli atti a Perugia – un esposto: ipotizza di essere stato seguito, intercettato e ripreso illecitamente, in quanto parlamentare. Parte la caccia alla fonte di Report: viene individuata un’onesta insegnante (c’è una richiesta d’archiviazione) che voleva soltanto dare un contributo all’informazione pubblica. Invece di ricevere una medaglia per il suo senso civico finisce alla gogna.
Certo, l’azione penale è obbligatoria e dinanzi a una denuncia una procura deve indagare. Renzi nel 2019 denuncia l’Espresso alla Procura di Firenze per un’inchiesta che riguardava l’acquisto di una casa. Motivo è sovrapponibile a quello di Crosetto: rivelazione di un segreto bancario. La procura di Firenze non riscontra alcun reato e dopo mesi di indagini archivia. È ormai evidente l’insofferenza della classe politica per le notizie (vere).
D’altronde, il peggioramento della situazione è certificato dalle nuove norme, avviate con la riforma Cartabia e potenziate dal ministro di Giustizia Carlo Nordio. Non si possono più pubblicare, se non in sintesi, i contenuti delle ordinanze d’arresto. I cronisti (grazie alle norme promosse dal deputato Enrico Costa di IV) possono parlare soltanto con i capi delle Procure (che decidono quale notizia dare e quale no) attraverso conferenze stampa e comunicati. È questo il giornalismo che oggi auspica il potere. Tocca ai giornalisti (e non solo) reagire.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

Foto © Imagoeconomica

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