Il commento dell'ex procuratore generale di Palermo alla legge che vieta la pubblicazione di ordinanze di arresto
“Se il motivo è di tutelare la privacy dell’indagato perché esiste la presunzione di innocenza, allora dovremmo arrivare al punto di vietare pure la pubblicità dei dibattimenti, perché la presunzione di innocenza esiste fino alla sentenza definitiva in Cassazione. In realtà, dietro il feticcio della tutela della privacy, elevato a valore supremo sull’altare del quale sacrificare il diritto all’informazione, si cela ben altro. Più che del giudizio penale hanno terrore del giudizio della pubblica opinione che deve essere tenuta all’oscuro degli affari sporchi dei colletti bianchi”.
Sono state queste le parole di commento dell'ex procuratore generale di Palermo e oggi senatore Roberto Scarpinato sull'approvazione dell'emendamento presentato dal deputato Enrico Costa che vieta la pubblicazione delle ordinanze di arresto in forma integrale o per estratto fino al termine delle indagini.
Ieri sera la maggioranza di destra più i deputati di Italia Viva e Azione hanno votato a favore di una legge che di fatto strozza il diritto all'informazione: è vietata la ‘pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari, ovvero fino al termine dell’udienza preliminare’, recita il nuovo emendamento presentato da Costa.
In tutto 160 voti favorevoli, contro 70 contrari: hanno votato “no” Movimento 5 Stelle, Partito Democratico e Alleanza Verdi e Sinistra. Tra i voti favorevoli vi sono stati quelli di Forza Italia con i deputati Pietro Pittalis e Tommaso Calderone. Per dovere di cronaca ricordiamo che entrambi sono firmatari di un disegno di legge che prevedeva di multare i giornalisti come se fossero dei narcotrafficanti nel caso ci fosse stata la pubblicazione di atti non più coperti da segreto.
Nell'intervista, pubblicata da 'il Fatto Quotidiano', l'ex magistrato ha anche parlato del Zanettin - Bongiorno: l'ennesimo attacco alle indagini da parte della maggioranza di centrodestra. Ieri, in commissione Giustizia del Senato, è stato rinviato il voto sulle modalità di sequestro di cellulari e altri dispositivi elettronici. In teoria, per coniugare il diritto alla privacy con le esigenze delle indagini, ma nei fatti, metterebbe a repentaglio migliaia di inchieste anche per un reato come la corruzione, per la quale la classe politica ha sempre provato a spuntare gli strumenti dei magistrati.
L'ex procuratore generale palermitano ha affermato, a tale riguardo, che "la maggioranza ha colto il pretesto della tutela della privacy per introdurre un doppio regime. Pertanto, nei casi in cui vengono sequestrati documenti nella forma digitale, il pm non può neppure visionare il materiale. Prima deve dare avviso a tutte le parti coinvolte che si procederà a un esame congiunto del contenuto: una paralisi delle indagini in una fase cruciale che dà tutto il tempo all’indagato di far sparire altre prove. Inoltre, immagini se per ogni foto, per ogni chat, per ogni pizzino 'elettronico' di Matteo Messina Denaro fosse stato necessario prima di convalidare il sequestro aprire un contraddittorio con la sua difesa. È un vero e proprio regalo alle mafie e a tutte le forme più gravi di criminalità professionale. Per di più si realizza, in realtà, una grave violazione della privacy: con il contraddittorio il contenuto dello smartphone sarà messo in piazza dinanzi a una decina di persone".
Per inciso il problema della privacy e la difesa della segretezza delle indagini sono stati temi già trattati dall'ex procuratore generale palermitano, il quale aveva proposto a riguardo un disegno di legge di cui abbiamo già scritto: il focus del dll non erano solo le intercettazioni, ma anche l'acquisizione di dati per esigenze investigative (per reati come stalking o reati in materia di sostanze stupefacenti) disposta su dispositivi elettronici quali smartphone, personal computer, tablet et similia, sequestrati dall'autorità giudiziaria.
Tale introduzione normativa aveva lo scopo di lasciare intatte le esigenze di indagine unitamente all'esigenza di tutela della privacy dell'indagato.
Lo avrebbe fatto attraverso una struttura 'ibrida' tra il procedimento di sequestro, le disposizioni relative all'acquisizione dei dati del traffico telefonico e delle comunicazioni elettroniche, nonché quelle attinenti alle intercettazioni.
In concreto il procedimento prevedeva 'la richiesta, da parte del pubblico ministero di autorizzazione del sequestro al giudice per le indagini preliminari qualora sussistano gravi indizi di reato sufficienti, per quanto concerne i delitti di criminalità organizzata; lo stesso pubblico ministero, nei casi di urgenza, può disporre il sequestro subordinando la convalida ad un momento successivo. Una volta effettuato il sequestro il pubblico ministero ne ordina la copia su adeguato supporto con una procedura che ne garantisca l'immodificabilità e la genuinità del materiale acquisito rispetto agli originali presenti nel dispositivo'.
L'ex magistrato ha spiegato che "per contemperare le esigenze di segretezza delle indagini con la tutela della privacy, in caso di sequestro di smartphone avevo proposto che la copia dell’intero contenuto dello smartphone venisse immediatamente segretata, conservandola nello stesso archivio digitale ove si custodiscono le intercettazioni e che il pm restituisse all’indagato entro 72 ore tutto il contenuto dello smartphone non utile per le indagini, fermo restando il suo diritto di ricorrere al Riesame o instaurare un successivo contraddittorio dinanzi al gip in caso di sequestro di messaggistica".
In un mondo sempre più digitalizzato uno smartphone è un contenitore di informazioni altamente sensibili, anche se di natura diversa dalle comuni intercettazioni: "La differenza non è la natura dei documenti sequestrati, ma il loro supporto. Nel primo caso è cartaceo, nel secondo caso è digitale. Logica vorrebbe che si applichino per il sequestro norme analoghe in entrambi i casi", ha detto Scarpinato.
Tuttavia è una logica che non sembra trovare spazio nel panorama dei partiti di governo.
Fonte: ilfattoquotidiano.it
Foto © Imagoeconomica
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