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La riforma del Premierato è innanzi tutto una riforma costituzionale, quindi, banalmente parlando, andrà a modificare la Carta, in particolare la parte seconda, cioè quella riferita all’Ordinamento della Repubblica.
È necessario sin da subito far una precisazione: i fautori della riforma sostengono che c’è una netta separazione tra la prima e la seconda parte della Costituzione, tale per cui i principi fondamentali non verrebbero intaccati. Si tratta da una puerile supposizione in quanto non si tratta di una “divisione” ma di una “suddivisione”. Questo cosa comporta? Che non è possibile toccare la seconda parte della costituzione (quella dei poteri) senza toccare la prima (quella dei diritti). “Una costituzione non consiste in una serie di articoli più o meno ben allineati, e neppure in un complesso di uffici e di istituti giuridici, ma è invece una totalità di vita associata, un organismo vivente”. Così scriveva Costantino Mortati ne “La costituente” del 1945.
Difatti come scrisse il costituzionalista calabrese, “l’esercizio di un diritto presuppone un’organizzazione del modo di manifestazione della volontà del suo titolare”.
In particolare la riforma del premierato andrà ad incidere in maniera compressiva sull'articolo 49 della Costituzione: "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale".
Questo per diversi motivi: la riforma del Premierato non porterà, come scritto nel disegno di legge n. 935, ad una valorizzazione "del corpo elettorale" nella "determinazione dell'indirizzo politico della Nazione" ma ad una polarizzazione del potere politico ai gruppi/gruppo di maggioranza di cui il premier sarà l'espressione nell'Esecutivo.
Ne consegue che il cittadino vedrà compresso il suo diritto di "concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale" in quanto è assai improbabile che un candidato premier possa essere eletto senza il sostegno di una forza politica consistente.
Si tratta quindi della pretesa di imporre una linea maggioritaria ad un Paese che, carte storiche alla mano, è sempre stato frammentato a livello politico. È illusorio pensare di creare una ricetta istituzionale che non tengan conto dei collegamenti con le dinamiche sociali.
Per questo l'Assemblea Costituente preferì un sistema di tipo proporzionale innalzando il Parlamento a luogo di confronto e compromesso, in modo che tutti avessero la possibilità di concorrere per la determinazione della linea politica.
Se una società civile è fortemente dissolta non sarà in grado di erogare in maniera efficiente la legittimazione, per questo si cercò il compromesso e il sistema proporzionale.


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Da "monista" a "dualista"

Il Parlamento è l'organo centrale nelle democrazie moderne, caratterizzato da un assetto "monista", dove esiste un solo organo con legittimazione autonoma: il Parlamento stesso. Quest'ultimo viene eletto direttamente dal corpo elettorale, il quale esprime la sua sovranità attraverso il diritto di voto, conformemente alla Costituzione.
Con il Premierato il nostro sistema perderà questo assetto riqualificandosi come "dualistia": cioè avremmo la carica che presiedete il Consiglio dei Ministri e il Parlamento entrambi legittimati dal voto popolare.
Non è un problema da poco, anzi, è la miscela perfetta per scatenare delle instabilità istituzionali, sopratutto se, come emerge dal ddl "le votazioni per l'elezione del Presidente del Consiglio e delle Camere avvengono contestualmente".
Perché questo?
Al seggio elettorale saranno quindi date tre schede (Camera, Senato e premier): in base alle drammatiche divisioni politiche all'intento del Paese poc'anzi accennate potrebbe accadere che il premier eletto si potrebbe trovare ad avere la maggioranza in una camera ma non nell'altra.
Un'eventualità che innescherebbe immediatamente una crisi non di Governo, ma istituzionale. La Costituzione ha previsto parametri estremamente stretti per la formazione dell'esecutivo nell'articolo 94, che prevede: "Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere".
Si tratta di una formula imperativa, "deve", quindi se dopo le elezioni una delle due camere non avrà una maggioranza in sostegno al candidato premier si dovranno indire nuove elezioni, cioè il Presidente della Repubblica dovrà procedere allo scioglimento delle Camere.
Inoltre potrebbe verificarsi un'altra possibilità, questa volta sotto il profilo politico: che sia la stessa maggioranza a non condividere la scelta del premier eletto.


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Palazzo Chigi, sede del Consiglio dei Ministri


Cioè un organo di rilievo costituzionale - quel'è il Parlamento - eletto tramite voto popolare farà 'guerra' ad una carica prevista anch'essa dalla Costituzione (cioè il Presidente del Consiglio dei Ministri) ed eletta direttamente dal corpo elettorale.
Il contraccolpo si scaricherà su tutta l'organizzazione dello Stato e sulla cui risoluzione sarà chiamata ad esprimersi la Corte Costituzionale nell'ambito di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
Ulteriori criticità emergono dalla formula (pagina 15) che modifica l'articolo 92 della Costituzione: "Il Presidente del Consiglio dei Ministri è eletto nella Camera nella quella ha presentato la sua candidatura", si legge nel ddl. Questo apre la porta alla possibilità che alla fine delle votazioni si potrebbero avere due premier, uno per ogni camera, e con le relative maggioranze.
Alla luce di questo si può considerare falso l'enunciato del ddl che si professa di garantire una maggiore stabilità.
Con l'assetto dualista sussiste il rischio di uno stravolgimento dell'ordine 'topografico' della Costituzione. I padri costituenti vollero mettere all'inizio della seconda parte della Costituzione "Il Parlamento", proprio per sottolinearne l'importanza e la centralità.
Ne consegue che la Carta non prevede 'solo' la centralità dell'assemblea parlamentare, ma arriva addirittura a difenderla dai tentativi di revisione profonda intrapresi senza un omogeneo consenso.


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Quirinale, sede del presidente della Repubblica


Il capo dello Stato

"Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale" recita l'articolo 87 della Costituzione. I costituenti avevano pensato ad una figura diplomatica più che ad una figura egemonica e che oscilla tra la funzione di garante costituzionale e quella di organo governante. La Costituzione Italiana, al suo articolo 83, istituisce il Presidente della Repubblica come figura distinta e autonoma dal governo, attribuendogli una serie di poteri specifici.
Questi includono la nomina del Presidente del Consiglio, lo scioglimento anticipato delle camere, il rinvio delle leggi, e la nomina di alte cariche dello Stato.
Le sue prerogative, in base al ddl n.935, verrebbero limitate in maniera lapalissiana solo per quanto riguarda l'elezione dei senatori a vita: "Il secondo comma dell'articolo 59 della Cost. è abrogato".
Tuttavia ad un attento esame sono presenti altri squilibri: il premierato aprirebbe la strada ad un sistema bicefalo caratterizzato dallo squilibrio tra un premier eletto direttamente dal popolo con una forte legittimazione politica e un Presidente della Repubblica eletto dal Parlamento, con minore legittimazione ma con forti poteri di intervento.
In riferimento al potere del Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere va ricordato che nel caso in cui il Parlamento non sia in grado di formare una maggioranza di qualsiasi tipo si procede ad uno scioglimento di tipo "funzionale": in questa ipotesi il decreto presidenziale di scioglimento nella sostanza "certifica" la volontà delle forze politiche di potere anticipatamente fine alla legislatura.
Perciò, se in ultima istanza, la decisone è riconducibile alle forze politiche in campo (maggioranza e premier) dovrebbe parlarsi di una sorta di autoscioglimento.
Anche i questo caso si nota una compressione sostanziale dell'articolo 88 della Costituzione.
Possiamo affermare che oggi siano presenti le condizioni per rendere effettiva ed efficiente la partecipazione popolare? Possiamo ritenere che chi governa persegue tale scopo? Possiamo dire che le attuali proposte di riforma del sistema costituzionale, della parte seconda, vadano nel verso dell’apertura alla partecipazione?
A discapito dei reclami sembra invece che il senso della mutazione costituzionale sia inverso: una chiusura oligarchica e piramidale.

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