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Cara Cgil, caro segretario Landini, Vi racconterò di una esperienza nata da poco,  di un comitato, il comitato anticamorra per la legalità Disarmiamo Napoli, che mette insieme pezzi di società civile, buona politica, personalità della città, la Chiesa napoletana, il vescovo di Napoli e’ il primo sostenitore di questa esperienza. E poi le forze sociali. 

Vedo qui il segretario della Cgil della Campania Nicola Ricci, nel comitato ci sono anche gli altri sindacati. Ma non è questa la notizia. La Cgil da sempre è impegnata nella cosiddetta antimafia sociale. Consentitemi invece di sottolineare un’adesione che non pensavo così convinta. Quella della Unione degli industriali di Napoli. 

Noi pensiamo che la lotta alle mafie sia innanzitutto una battaglia per i diritti, per i diritti sociali e per i diritti civili. Ci sono quartieri della grande Napoli dove non si respira il profumo della libertà, dove la presenza dei guaglioni di malavita e’ asfissiante e pregiudica la libertà delle persone. Si, è così. Si ha paura di camminare per strada, tra gli spacciatori e i guaglioni di malavita. 

Pensate, la Camorra è nata prima del Regno d’Italia.
La continuità storica della camorra  è innanzitutto continuità sociale, continuità di un contesto economico e urbano, non è continuità di geni mafiosi. 

Si vuole intaccare seriamente questa continuità? Si può, è un’operazione umana e politica assolutamente fattibile. Ma occorre una radicalità di idee, di risorse e di strumenti, una fortissima collaborazione di strutture pubbliche e private, un comune sentire del governo nazionale e di quello locale, una sintonia tra tutte le agenzie formative di senso e di valori, dalla chiesa alla scuola, dalle università agli imprenditori. 

Noi oggi quando parliamo di camorra, di criminalità organizzata pensiamo sopratutto al dato più drammatico, alla criminalità minorile. Pensate che abbiamo 35 minori nelle carceri con l’accusa di omicidio. Da noi non esistono le baby gang. Da noi esistono le palestre di violenza, di apprendistato per entrare nel sistema criminale che sono le strade dell’area metropolitana di Napoli. 

Non potete immaginare  quanto sia stata importante sul fronte della legalità, la lotta contro i licenziamenti dei lavoratori della ex Whirlpool di Ponticelli, dell’area orientale di Napoli. In un quartiere dove si sequestrano più armi che in tutta la città di Napoli. Una lotta straordinaria, una volta tanto, vinta. In tutti sensi. 

Abbiamo evitato che si ingrossassero le fila del sistema criminale e siamo il primo esempio di una riconversione ecologica del lavoro. Dalle lavatrici alle componenti dei pannelli solari. 

E dunque il recupero dell’area Est di Napoli, il recupero di Scampia e di altri quartieri degradati delle periferie a una dimensione accettabile di vita sociale e urbana sarebbe una straordinaria e affascinante sfida per l’Italia. 

Sto parlando insomma di come pensiamo di affrontare la questione criminale e cioè intervenendo sul degrado con una serie di proposte per contrastare l’arruolamento nella camorra (sono censiti 180 clan) e contemporaneamente affrontando il tema della sicurezza urbana con il prefetto e le forze dell’ordine perché siamo testimoni di ciò che accade sui territori, noi siamo un po’ le antenne dei territori. 

Il comitato anticamorra per la legalità, Disarmiamo Napoli, nasce nello scorso autunno mettendo insieme le esperienze territoriali dei comitati di liberazione dalla camorra e aggiungendo forze e personalità che si sono aggregate con un passaparola. È stata la nostra risposta al decreto Caivano approvato all’indomani dei terribili fatti di cronaca, delle due ragazzine violentate nel parco Verde di Caivano. 

Siamo convinti che le passerelle dei ministri e della presidente del Consiglio, a cui abbiamo assistito nell’autunno del Parco Verde di Caivano, erano e sono il modo sbagliato di affrontare la questione criminale nella nostra area metropolitana.

Che senso ha fare un provvedimento ad hoc solo per una cittadina o per uno specifico quartiere di essa quando ciò che lì è avvenuto continua ad avvenire in tanti altri luoghi dove si presentano le stesse condizioni economiche e sociali, dove prevale l’uso della violenza come autoaffermazione e come unica via per accedere a un momentaneo benessere per sé e per la propria famiglia? 

Si possono perciò discriminare altri luoghi in condizioni similari solo perché alcuni episodi criminali hanno avuto e hanno maggiore mediaticità? E’ questo il criterio di valutazione in rapporto al problema della sicurezza pubblica?

Nelle cause della delinquenza vanno tenute in conto anche le scelte urbanistiche, l’omogeneità sociale, l’assenza di servizi sociali e culturali e soprattutto la concentrazione negli stessi luoghi di ceti sociali che non hanno lavoro né possibilità di trovarlo.

La criminalità non è solo un problema di ordine pubblico né tantomeno la si può paragonare a una catastrofe naturale, a un terremoto, a un’alluvione. Infatti, quando succede qualcosa di non prevedibile, si circoscrive il territorio interessato alla catastrofe, si fa il censimento dei danni e si stabiliscono le procedure per riparare quello che è stato distrutto. 

Quando, però, il disastro non è naturale, quando non è un avvenimento straordinario ma è solo il ripetersi quotidiano di fatti criminali in ambienti sociali e urbani dalle stesse caratteristiche, o in quartieri che si somigliano per qualità e quantità di reati, intervenire come se si trattasse di una calamità eccezionale espone a delle evidenti incongruenze. 

Il carcere per i genitori che non mandano a scuola i figli è tra le misure più inutili e più demagogiche mai adottate in materia, una specie di grida manzoniana, ignorando che chi evade l’obbligo scolastico è spesso membro di una famiglia con parenti già in carcere. 

Nei quartieri del disagio, della povertà educativa e culturale e materiale ci sono nonne che hanno trent’anni. Ci rendiamo conto? 30 anni e mamme di 15 anni. E le mandiamo in carcere? Genitori che non sanno fare i genitori. 

L’altro giorno sui giornali locali è uscita la notizia che gli effetti del decreto Caivano sui minori è un aumento degli arresti. Ogni mese 30 minori in più nelle carceri, questo vuol dire che li abbiamo già persi. 

Altro che carcere, abbiamo bisogno di assumere mille assistenti sociali per l’area metropolitana di Napoli, educatori, maestri.
È difficile da giustificare il fatto che laddove ci sono più problemi sociali, lì mancano gli assistenti sociali; laddove c’è più bisogno di scuola, più alta è l’evasione e la dispersione scolastica; laddove ci sarebbe più bisogno di lavoro stabile, lì si concentrano i lavori precari e in nero. È difficile da giustificare che non si provi neanche lontanamente ad arrestare la sequenza cause ed effetti, assistendo impotenti all’assoluta asimmetria tra bisogni e risposte. 

Non è vero che non c’è niente da fare, quel mondo non è inespugnabile. Ci vuole fatica, passione e tempo, ma si può fare. I ragazzi provenienti da ambienti camorristici non hanno esempi alternativi alla carriera dei padri o dei congiunti. La maggior parte dei giovanissimi che finiscono in galera o nelle carceri minorili sono già segnati da parenti che erano finiti a loro volta in carcere. È più comodo, e ci impegna di meno, sostenere che quello è un universo dai percorsi segnati. Ma se ci rassegniamo alla inamovibilità di quel segmento sociale anche il nostro (apparentemente lontano) ne sarà influenzato e condizionato.

A Caivano su 36 mila abitanti, i bambini della fascia 0-2 anni sono poco più di un migliaio ma i posti negli asili nido disponibili sono 22. 
Un quinto della popolazione di Caivano, quasi 7.500 persone, è rappresentato da bambine, bambini e adolescenti ma solo il 17% degli alunni della scuola primaria ha accesso alla mensa scolastica e solo il 30% può frequentare il tempo pieno.

È evidente che i bambini a Caivano crescono in una condizione di grave svantaggio educativo rispetto ai coetanei di altre città d’Italia.
Davanti a un problema così complesso che coinvolge tanti piani (sociale, culturale, etico, morale, ma anche sanitario) non ci possono essere soluzioni semplici.

E allora piuttosto che mandare in carcere i genitori di un bambino che non frequenta la scuola, come prevede il decreto Caivano, mandiamo a scuola anche i genitori.

Noi chiediamo che le risorse e i benefici previsti per Caivano siano estesi a tutti i comuni che hanno al loro interno quartieri costruiti dopo il terremoto del 1980. Si tratta di 17 comuni dell'hinterland dove sono stati trasferiti migliaia di cittadini in 21 quartieri-ghetto nelle stesse condizioni del Parco Verde di Caivano. 

Non può essere accettata una differenza di comportamento dello Stato per situazioni simili. Il tasso di violenza e di reati sono simili in tutti questi quartieri, rappresentando il peggiore risultato sociale delle politiche urbanistiche del post-terremoto. 

Fare tra le vittime del degrado una graduatoria discrezionale di importanza e' grave e va corretto al più presto. Chiameremo questa legge: Lotta al degrado in tutto l'hinterland napoletano. Anzi, lotta al degrado nelle periferie del nostro Mezzogiorno. 

Vorrei farvi capire come ci stiamo muovendo in questa nuova sfida.
Intanto andrebbe fatta la manutenzione nei quartieri di edilizia popolare di Napoli ma anche di Palermo. Dicevo prima che spesso non si è liberi di muoversi. Noi abbiamo questo fenomeno dell’occupazione abusiva degli alloggi popolari. C’è chi lo fa per necessità e ci sono le famiglie malavitose che spacciano anche sotto i palazzoni delle loro abitazioni. Chiediamo di censire e bonificare 
gli insediamenti di edilizia popolare. Ripristinare le legittime assegnazioni e liberare i locali occupati dalle famiglie della camorra. Diverso il percorso per gli inquilini morosi per necessità.  Così si può procedere alla chiusura delle piazze di spaccio con l’apertura delle piazze sociali con una serie di investimenti per rendere quei luoghi sani dal punto di vista sociale.
Non possiamo accettare che a Napoli si svolga un mercato delle armi come un normale mercato a cui possono accedere quasi tutti, a partire dai minori. Quando qualsiasi minore può comprare armi, vuol dire che lo Stato non ha il monopolio legittimo della forza. Tutti sanno dove e come comprare armi. Abbiamo scoperto che in una scuola minori figli di camorra e quindi minori compravano legalmente dei coltelli a 3.50 euro e li rivendevano ai loro coetanei a scuola a 10 euro. Fino a che questo mercato illegale resterà libero  sarà compromessa la fiducia nelle forze dell’ordine da parte dei cittadini.
E cara Cgil sappiamo bene così significhi lavoro nero, sfruttamento degli immigrati. Filiere di un sistema criminale del mercato del lavoro. Ecco allora che abbiamo bisogna dell’assunzione di ispettori del lavoro per censire e controllare le aziende che sfruttano i lavoratori e le lavoratrici senza contratti di lavoro e senza garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro. Spesso nel cosiddetto lavoro nero si nascondono le organizzazioni criminali.  

Concludo dicendo che noi oggi siamo a Palermo, nella scuola di Pio La Torre, esponente della Cgil, figura di primo piano del Partito Comunista italiano, figlio di questa terra. Ucciso dalla mafia. 
E se oggi possiamo dire che abbiamo fatto dei passi avanti nella lotta contro la mafia lo dobbiamo proprio a lui, a Pio La Torre, alla legge La Torre Rognoni, che ha introdotto per la prima volta nel codice penale il reato di associazione a delinquere su tipo mafioso e il sequestro e la confisca dei beni mafiosi. 

Ma voglio ricordare qui anche che su 14 magistrati ammazzati dalle mafie, ben 13 sono meridionali (tra cui 11 siciliani e 2 calabresi). Su 171 rappresentanti delle forze dell’ordine vittime di attentati o morti in scontri frontali con le organizzazioni mafiose, più dell’80% sono meridionali. 

In nessun altro frangente storico o nella lotta ad altri “nemici” dello Stato il peso degli uomini del Sud è stato così determinante come nella lotta alle mafie.
Certo, le mafie sono nate in Campania, in Sicilia e in Calabria, poi si sono consolidate in altre regioni d’Italia. Pensate ai provvedimenti di scioglimenti per infiltrazioni mafiose. Ebbene, hanno coinvolto 11 regioni, 280 comuni e sei aziende sanitarie provinciali. 

Quindi se il Sud ha prodotto le mafie, ha prodotto anche gli uomini che le hanno combattute; se la Sicilia è stata la regione protagonista della nascita e dello sviluppo della mafia più invasiva, è stata anche la regione che ha schierato alcuni dei suoi uomini migliori a contrastarla e a combatterla. Questa idea che i siciliani e i meridionali hanno solo subito le mafie e che anzi in massa le hanno sostenute attivamente non regge. Siamo nella città di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E concludo citando un altro grande palermitano, il capo dello Stato Sergio Mattarella: o si è contro le mafie o si è complici delle mafie. L’indifferenza aiuta le mafie.

*Intervento al Convegno Nazionale “Contro mafia e corruzione” organizzato a Palermo dalla CGIL nazionale il 29.4.2024

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