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Ai microfoni del Fatto i procuratori della Repubblica spiegano i pericoli che si annidano nell’emendamento Costa

Un numero crescente di procuratori della Repubblica si sta unendo al dissenso dei giornalisti italiani contro la legge bavaglio, l’emendamento approvato alla Camera il 19 dicembre scorso che vieta la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare. Il provvedimento, proposto da Enrico Costa di Azione, il partito politico guidato da Carlo Calenda, è stato infatti definito dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e dalla Federazione Nazionale Stampa Italiana (Fnsi), un divieto che rischia di far “calare il silenzio sulle inchieste più delicate e importanti che portano all’arresto degli indagati”. Le critiche sono arrivate anche dal procuratore di Pescara, Giuseppe Bellelli. Intervistato dal Fatto Quotidiano, ha definito il provvedimento proposto da Costa come un bavaglio alla stampa libera. “La storia ci racconta delle ‘lettres de cachet’ nell’Ancien Régime, dei desaparecidos dell’America Latina, quando gli arresti venivano tenuti nascosti - ha sottolineato il procuratore Bellelli -. Viene da domandarsi se sia un segno dei tempi il divieto, di antiche radici inquisitorie, di pubblicare un provvedimento del giudice, fonte primaria e ufficiale della notizia di un arresto. Per quale motivo si sottrae alla libera informazione un atto ufficiale che documenta la valutazione operata dal giudice sui gravi indizi di colpevolizza e sulle esigenze cautelari, se non per limitare od orientare la critica dell’opinione pubblica in favore o contro il provvedimento a seconda dei desiderata della maggioranza? Questo divieto, non solo non salvaguarda le esigenze processuali - ha spiegato Bellelli - ma non è neppure una tutela della presunzione di non colpevolezza, che invece trova salvaguardia proprio nel provvedimento del giudice che si vieta di pubblicare. La stampa libera sarà imbavagliata, limitare la possibilità di conoscere le motivazioni di un arresto renderà più facile sottoporre alla inquisizione mediatica, a seconda dei casi e degli interessi, l’arrestato oppure il magistrato”. Anche Roberto Rossi, il procuratore di Bari, ha dichiarato: “Il rischio è che l’unica fonte attendibile diventi il comunicato stampa del procuratore che, però, è una parte del processo e, in teoria, potrebbe omettere elementi a tutela dell’indagato. Poter pubblicare l’ordinanza inclusi stralci, che tengano conto di tutto, resta la soluzione migliore”. Umberto Monti, procuratore di Ascoli Piceno, ha spiegato che tra gli effetti della legge sul bavaglio potrebbe esserci anche una mancanza di trasparenza, che finirebbe per favorire l'assenza di un 'controllo' di natura pubblica rispetto all'operato della magistratura. “Le ordinanze non sono segrete e in presenza di un dimostrato interesse pubblico, anche per trasparenza, ben possono essere fornite alla stampa. Si tratta non solo di garantire il diritto all’informazione, ma anche un ‘controllo’ pubblico sull’operato della magistratura. Credo - ha proseguito Monti -  che non abbia alcun senso limitare il lavoro dei giornalisti: meglio che fargli fare riassunti soggetti a errori o fraintendimenti. La presunzione di innocenza non c’entra nulla”. Ai microfoni del Fatto è intervenuto anche il procuratore di Palmi (Reggio Calabria), Emanuele Crescenti. “Un giornalista deve fare il giornalista e noi il nostro lavoro - ha ribadito Crescenti -. Se un cronista ha una notizia ufficiale, non vedo come si possa mettere un bavaglio alla titolarità del giornalista di pubblicarla. Il divieto di pubblicare stralci integrali è un’assurdità. Si chiede di parafrasare? L’emendamento potrebbe anche passare, ma voglio vedere se qualcuno oserà mettere sotto processo un giornalista perché ha pubblicato un fatto vero”. Infine, anche Raffaele Tito, procuratore di Verona, ha ribadito l’inutilità di un divieto del genere. “Non comprendo esattamente la ragione dell’introduzione di questo divieto: le notizie sui fatti di cronaca giudiziaria, fortunatamente, usciranno lo stesso, solo che i cittadini invece di poter leggere con i propri occhi almeno una parte delle motivazioni, avranno contezza dei fatti solo in via mediata. Mi auguro - ha concluso Tito - almeno che questa indubbia limitazione alla genuinità del diritto di informazione verrà applicata indistintamente sia ove si tratti di reati dei cosiddetti colletti bianchi e sia ove si tratti di efferati femminicidi, sia quando l’imputato sarà un’autorevole persona pubblica e sia quando invece l’imputato sarà un semplice extracomunitario”.

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