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Vullo, Agostino e Borsellino hanno commentato le manganellate contro la società civile a Palermo

Indignazione, rabbia, sgomento. Sono solo alcuni dei sentimenti espressi dai familiari delle vittime innocenti di mafia insorti contro il divieto imposto dalla questura di Palermo al corteo (regolarmente autorizzato) formato da associazioni, sindacati come la Cgil, comitati studenteschi e società civile che insieme agli attivisti del mondo dell’antimafia avrebbero voluto raggiungere l’Albero di via Notarbartolo, luogo simbolo delle celebrazioni della strage di Capaci. Commenti duri contro la repressione raccolti sulle pagine di Repubblica. “Non ho partecipato alla manifestazione perché mi trovavo a Capaci - ha detto l’ex agente di scorta Antonio Vullo, unico superstite della strage di Via d’Amelio -. Quello che è successo non è mai accaduto in tutti questi anni. Sono davvero stranito perché non si è data la possibilità di partecipare liberamente a una commemorazione che è di tutti”. E poi l’attacco alle passerelle politiche che da troppi anni si celebrano in memoria delle vittime di mafia. “Purtroppo, già da molti anni la commemorazione delle vittime della strage di Capaci si è trasformata in un momento più politico che cittadino. Questi eventi feriscono e fanno pensare parecchio sul nostro futuro”, ha aggiunto. Parole dure anche quelle di Salvatore Borsellino, fratello di Paolo Borsellino, secondo cui “l’obiettivo evidentemente è stato quello di evitare eventuali contestazioni ai politici presenti, come il sindaco Roberto Lagalla che non ha rifiutato l’appoggio ricevuto in campagna elettorale da personaggi come Cuffaro o Dell’Utri”. “E la cosa assurda – ha attaccato - è che Maria Falcone, se in un primo momento aveva rifiutato simili vicinanze, ha poi pensato bene di cambiare rotta fino al punto di invitare queste persone al suo fianco. Per convivere con questi ambienti e forse per non perdere i finanziamenti che riceve la Fondazione Falcone, è stato impedito a una parte dei palermitani di partecipare alla commemorazione. Sono indignato”. Arrabbiato anche Vincenzo Agostino, padre dell’agente Nino assassinato il 5 agosto ’89 assieme alla moglie Ida Castelluccio (incinta) dalla mafia (e non solo). “Se siamo arrivati a questo punto – dice – significa che siamo in una dittatura. Siamo ridotti a passerelle e basta. Fortunatamente io mi trovavo in un paesino vicino a Bologna dove sono stato accolto calorosamente dai ragazzi di una scuola. Sono loro che fanno la vera antimafia, non altri”. Infine, assieme ai familiari delle vittime, anche il segretario della Cgil siciliana Alfio Mannino ha denunciato duramente la repressione lasciando intendere che probabilmente, secondo lui, “l’improvviso cambio di programma rispetto agli accordi già presi con la Questura e confermati in mattinata” fosse dovuto alla presenza, “nella mattinata del 23 maggio a Palermo del ministro Matteo Piantedosi”. E che comunque, al di là dell’opinione personale, è oggettivo “che non c’erano motivi di sicurezza, né di ordine pubblico che giustificassero il blocco della manifestazione. Immagino che si sia deciso di parlare di opportunità per nascondere una voluta scelta politica”. Decisioni che preoccupano Mannino perché “si sta cercando di svuotare il movimento antimafia, riducendolo a un esercizio di memoria sterile che ignora totalmente il tema fondamentale dei rapporti fra mafia e politica”.

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