Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Oggi ricorre il 44 esimo anniversario dell'omicidio del capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Durante la notte del 1980, giornata di festa a Monreale per la ricorrenza del Santissimo Crocifisso, il capitano Basile, mentre era di ritorno in caserma con la moglie Silvana e la figlioletta Barbara in braccio dopo i festeggiamenti cittadini, venne ucciso da tre sicari di Cosa nostra, subito arrestati dai carabinieri. Questa mattina, alle 10.15, si è svolta una cerimonia commemorativa presso la sede del gruppo carabinieri di Monreale, alla presenza del comandante della legione carabinieri "Sicilia", il generale di divisione Giuseppe Spina, del comandante provinciale, il generale di brigata Luciano Magrini e di una rappresentanza del personale dipendente, con la deposizione di un mazzo di fiori al busto dedicato al caduto. Subito dopo in corso Pietro Novelli, luogo dell'eccidio, alla presenza dei familiari del caduto, delle autorità civili e militari, il prefetto di Palermo, Massimo Mariani, insieme al generale Spina e al sindaco di Monreale, Alberto Arcidiacono hanno deposto una corona d'alloro davanti alla lapide commemorativa del capitano Basile. Nel corso del suo intervento, il generale Giuseppe Spina ha definito il capitano Basile vittima di un vile e feroce agguato mafioso nonché servitore dello Stato che si era opposto a cosa nostra accettando di mettere a rischio la propria vita e, citando le parole del Giudice Paolo Borsellino che testualmente disse: "Il Capitano Emanuele Basile è morto per quello che ha fatto e per quello che ancora avrebbe dovuto fare", ha sottolineato inoltre che ricordare il capitano Basile significa anche rinnovare il suo impegno, riproponendone il coraggio e la determinazione.


Il carabiniere ucciso dalla mafia

Emanuele Basile nacque a Taranto il 2 luglio 1949. Frequentò l'accademia Militare di Modena e si iscrisse alla Facoltà di Medicina, superando anche il test d'ammissione. Il sentimento della giustizia e della legalità lo spinse però ad entrare nell'Arma dei Carabinieri. Come prima Compagnia comandò quella di Sestri Levante (GE) e poi arrivò in Sicilia a Monreale nel settembre 1977, dove si occupò delle indagini sull’omicidio del capo della Squadra Mobile, Boris Giuliano, ucciso da Cosa nostra il 21 luglio del 1979. Seguendo le tracce di Giuliano, Basile scoprì l'esistenza di traffici di stupefacenti in cui era coinvolta la cosca dei Corleonesi, che a quel tempo era in piena ascesa. Come il capo della Mobile, anche Basile, grazie ad accertamenti bancari, comprese il nuovo business della mafia.


basile lapide davedb 2


Questo lo portò a comprendere anche i legami tra la cosca di Altofonte e quella corleonese. Le indagini portarono il carabiniere, il 6 febbraio 1980, ad arrestare i membri delle famiglie del mandamento di San Giuseppe Jato, rappresentato all'epoca da Antonio Salamone e Bernando Brusca, e alla denuncia di altri sodali tra cui Leoluca Bagarella, Antonino Gioè, Antonino Marchese e Francesco Di Carlo. Le attività delle cosche portarono Basile a formulare l'ipotesi che le famiglie facevano capo a Salvatore Riina. Infatti, lo scrisse nel suo ultimo rapporto del 16 aprile 1980 che poi nello stesso giorno consegnò, insieme al resto della documentazione, al giudice Paolo Borsellino. Basile, come Giuliano, fu tra i primi a capire il peso dell'intromissione del clan corleonese nel traffico di droga. Una “grave colpa” per i vertici di Cosa nostra che portò la commissione a decidere il suo assassinio il 4 maggio del 1980.


Un percorso di giustizia lunghissimo

I sicari furono arrestati poco dopo il delitto, mentre cercavano di far perdere le loro tracce. Si trattava di Armando Bonanno poi sparito con la “lupara bianca”, Vincenzo Puccio, ucciso in carcere a colpi di bistecchiera in ghisa e Giuseppe Madonia, figlio del boss di San Lorenzo. La vicenda giudiziaria dell’omicidio fu molto lunga e frastagliata. Il processo di primo grado, nonostante la testimonianza diretta della moglie Silvana, portò all'assoluzione dei tre che vennero scarcerati e inviati al soggiorno obbligato in Sardegna. La Corte d'Appello ribaltò l'esito della sentenza di primo grado condannando all'ergastolo gli assassini. Ma il processo fu annullato in Cassazione dal giudice Corrado Carnevale (soprannominato l'ammazza sentenze, ndr) per dei vizi di forma. La Corte d'Appello di Palermo, presieduta dal giudice Antonino Saetta (poi ucciso da Cosa nostra il 25 settembre 1988), condannò nuovamente i colpevoli all'ergastolo, ma la Corte di Cassazione annullò il processo per difetto di motivazione. Arrivati al settimo processo, insieme agli esecutori, finirono condannati anche i mandanti: Totò Riina, Michele Greco e Francesco Madonia, mentre furono assolti: Pippo Calò, Bernando Provenzano, Bernando Brusca e Nenè Geraci. Invece Giovanni Brusca ammise di aver collaborato nel progetto di omicidio.

Foto © Davide de Bari

ARTICOLI CORRELATI

Ricordando Emanuele Basile, il capitano che indagò sui traffici di Cosa nostra

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos