31° anniversario dell’assassinio di Falcone, di sua moglie e degli agenti di scorta (in un Paese surreale)
“Sistemi per battere la mafia ci sono, soprattutto politici. Anzitutto tagliare il rapporto voti-partiti, eliminare cioè il rapporto più grosso tra mafia e potere politico”. “Oggi ogni mafioso è un grande elettore che tende alla strumentalizzazione del potere politico. Riciclare i miliardi dell’eroina non è semplice: c’è bisogno dell’aiuto politico”.
Giovanni Falcone*
Palermo, Italia. Anno 2023, 31° anniversario della strage di Capaci: il ricordo di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e degli agenti Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Cambio scena.
Che inizi il circo Barnum! In realtà è da qualche settimana che è iniziato (o forse non è mai finito): probabilmente si è ringalluzzito all’indomani della sentenza della Cassazione al processo sulla trattativa Stato-mafia. Ma quale trattativa criminale?! Questo è il Paese dove si può trattare con tutti, mafiosi e non; anche se poi continuano a scoppiare le bombe e muoiono i magistrati, le loro scorte, e poi ancora inermi cittadini, uomini, donne e bambini anche piccolissimi. E allora via alla santificazione di Mario Mori, paragonato a una sorta di “vittima parallela” a cui chiedere scusa.
Ma certo, devono chiedere scusa (a Mori e ai suoi soci) tutti quelli che sono morti per colpa delle “bombe del dialogo”, e anche chi ha lottato fino all’ultimo giorno della sua vita per avere verità e giustizia su quelle bombe da uno Stato che non le vuole concedere. E allora largo alle mistificazioni “a lingue unificate” dei grandi media abilissimi a occultare, in questo caso un dato oggettivo: la trattativa c’è stata, ed è stata sancita da sentenze passate in giudicato sulle stragi del ‘93. Quel “dialogo” tra mafia e Stato ha rafforzato la convinzione in Cosa Nostra che le stragi pagassero e che fossero un’arma potentissima da utilizzare per ricattare lo Stato. Già in primo grado i giudici della Corte d’Assise di Firenze avevano messo nero su bianco che la trattativa “indubbiamente ci fu e venne quantomeno inizialmente impostata su un do ut des”, arrivando a scrivere che “l’iniziativa fu assunta da rappresentanti dello Stato e non dagli uomini di mafia”.
“L’iniziativa del Ros – si leggeva nella sentenza di Firenze – aveva tutte le caratteristiche per apparire come una ‘trattativa’; l’effetto che ebbe sui capi mafiosi fu quello di convincerli, definitivamente, che la strage era idonea a portare vantaggi all’organizzazione”.
La strage di Capaci © Shobha
Successivamente la Corte di Appello di Firenze era stata ulteriormente esplicita: “Si può dunque considerare provato che dopo la prima fase della c.d. trattativa, avviata dopo la strage di Capaci, peraltro su iniziativa esplorativa di provenienza istituzionale (cap. De Donno e successivamente Mori e Ciancimino), arenatasi dopo l’attentato di via D’Amelio, la strategia stragista proseguì alimentata dalla convinzione che lo Stato avrebbe compreso la natura dell’obbiettivo del ricatto proprio perché vi era stata quella interruzione”. “D’altra parte - proseguivano i giudici - l’oggettivo ammorbidimento della strategia di contrasto alla mafia” consistente nel mancato rinnovo di oltre trecento provvedimenti di 41 bis “ben poteva ingenerare la convinzione della cedevolezza delle istituzioni, anche perché nel frattempo si avvicendavano sulla scena politica nuovi interlocutori oggetto di interesse da parte dell’apparato mafioso i cui referenti furono individuati in Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri”.
Cosa serve ancora per svegliarci e prendere posizione? Più che altro per scuotere le nuove generazioni da questa anestesia generale che mira a occultare, mistificare, e financo giustificare l’orrore del biennio stragista ‘92/’93 nel nome di una “ragione di Stato”. Ma quale Stato? Quello ipocrita e colluso che sfila all’Aula Bunker di Palermo ogni 23 maggio assieme a tanti servi sciocchi (che cerca anche di infiltrarsi nelle manifestazioni in via D’Amelio ogni 19 luglio), e poi tutti i restanti giorni dell’anno rema contro la lotta alla mafia? Quello che depone corone di fiori davanti alla stele di Capaci?
Francesca Morvillo e Giovanni Falcone
“Non siete ‘Stato’ voi, ma siete stati voi”, recita l’azzeccatissimo titolo della manifestazione di oggi pomeriggio – in antitesi alle passerelle ufficiali – che vedrà riunita la parte sana di un Paese che pretende verità e giustizia sulle stragi di Stato. Solamente un paio di giorni fa, in occasione della manifestazione “Giovanni Falcone. La vera storia della trattativa e delle stragi dello Stato-mafia’’, sono state pronunciate, da parte di tutti i relatori, parole forti, chiare, inequivocabili. Con un unico filo conduttore: “Trattativa ci fu. Nessuna sentenza cancella i fatti, neanche la Cassazione”.
Ma che sfrontati, come si permettono di disturbare il manovratore! Fate parlare piuttosto gli avvoltoi, i mezz'uomini, gli ominicchi, i pigliainculo e i quaquaraquà! Che in questo periodo storico abbondano, invitati in tutti i salotti televisivi e osannati nei principali quotidiani.
Pessimismo cosmico? Nessuna speranza? No. Tutto questo disfattismo non può essere concesso a un nemico subdolo pronto a sferrare il colpo di coda. Addolorati, certo. Magari stremati nell’anima per come si è ridotto il nostro Paese, con il timore della possibilità di nuove bombe rivolte a chi cerca la verità. Ma pessimisti cronici mai. Così come ci insegna l’indimenticabile Letizia Battaglia mentre rispondeva a Franco Maresco in un fitto dialogo, raccolto a più riprese tra il 2016 e il 2019 – appassionato e senza sconti per nessuno – racchiuso nel libro “La mia Battaglia”** (Ed. Il Saggiatore).
“Sono addolorata - replicava Letizia - ma non pessimista. Io credo nella lotta, nella possibilità della lotta. Intanto possiamo sperare di sceglierci i politici migliori per questa nostra terra, per questa Italia, perché è da lì che partono le cose. La nostra disgrazia parte da Roma e anche da tutto il resto dell’Italia. Perchè siamo rimasti soli. (…) Io ci credo che possiamo farlo, io non posso finire la mia vita senza credere (…) Non voglio morire così, senza credere che Palermo possa diventare una città felice. Questo mi interessa: che la gente sia felice, non che la gente se ne vada o che si lamenti sempre”. E se Maresco rifletteva amaramente sul fatto di essere scoraggiati di fronte ad una realtà oscena, Letizia non aveva dubbi. “Scoraggiarsi? Certo, io penso che tutti quelli che vogliono giustizia, verità, bellezza, siano molto scoraggiati. Personalmente non so veramente cosa fare. Se ci sono appelli li firmo, se c’è da andare a una manifestazione ci vado, anche se il mio corpo è diventato fragile. Però non basta. Certo è terribile. Dopo trent’anni c’è ancora un giudice solitario che viene isolato (Nino Di Matteo, ndr), come furono isolati Falcone e Borsellino. E questo si ripete in una città che è ancora troppo indifferente”. “La coscienza antimafia non sta nelle celebrazioni – ribadiva con vigore –. Sta nei comportamenti, nel vissuto, nelle scelte che si fanno, nello stare da una parte invece che dall’altra, nel capire perché e come avvengono certe cose”.
Ripensando a quello che era avvenuto dopo gli eccidi Letizia rispondeva con una profonda consapevolezza sui motivi per cui improvvisamente si erano interrotti.
Letizia Battaglia al sit in di Scorta civica in sostegno del pool Trattativa © ACFB
“Dopo le stragi non ci furono più omicidi eccellenti. E io lo so perché, tutti lo sappiamo. Perché si misero d’accordo mafia e Stato. Non ammazzateci più e noi vi diamo qualcosa in cambio. Oggi c’è un giudice – minacciato di morte, autentica e vera – che sta processando lo Stato. Sai cosa vuol dire processare lo Stato? E’ una cosa enorme. Si chiama Nino Di Matteo, questo giudice, e io gli sono grata. E’ un’altra di quelle persone a cui sono grata, perché lui alimenta la mia speranza. Perchè lui indica lo Stato: ‘Tu, Stato, sei colpevole perché hai avuto contatti con la mafia’. E se lui lo indica, noi forse possiamo liberarci dalla mafia. Perchè se la politica non facesse affari con la mafia, noi saremmo liberi. Di cento, mille mafiosi te ne puoi liberare. E’ che non ti puoi liberare di tutta la corruzione, di tutte le connivenze che alimentano la mafia”.
Dal canto suo Maresco insisteva nel chiedere a Letizia come potesse sperare ancora. “Io non posso togliermi di dosso la speranza, non posso smettere di credere che qualcosa in qualche modo cambierà”. Per poi aggiungere con convinzione: “Penso che la mia speranza sia piena di dubbi. Penso che me la invento la speranza, perché lo so che le cose vanno male, però non voglio smettere di fare la mia piccola parte”.
Giovanni Falcone nei corridoi del palazzo di Giustizia di Palermo © Shobha
L’ideatore e co-autore della mitica “Cinico Tv” chiedeva alla grande fotografa palermitana se alla fine, dopo tante battaglie, avessimo perduto. Implacabile era stata la sua risposta: “Abbiamo straperduto! Però abbiamo ancora la forza di andare avanti. Ecco, sì, abbiamo perduto. Però io non posso accettarlo. Non posso accettare di perdere le speranze. Per questo faremo ancora grandi cose. Grandi e piccole cose, ma le faremo!”. Per poi evidenziare: “Andiamo di nuovo nelle strade e ricominciamo a contestare veramente”.
Maresco le chiedeva infine quale fosse il segreto di questo suo entusiasmo.
“L’entusiasmo... che ti devo dire? Io ho sempre detto che voglio morire viva e questo è quello che mi porta avanti: voglio morire viva, capito?”.
© Shobha
*Tratto dall’incontro del regista Giuseppe Ferrara con Giovanni Falcone, avvenuto il 6 gennaio 1983 alla presenza di Giuseppe Tornatore, in vista della preparazione del film “Cento giorni a Palermo”.
**Le conversazioni tra Franco Maresco e Letizia Battaglia racchiuse nel libro "La mia Battaglia” (Ed. Il Saggiatore)" nascono nel 2016 da un desiderio e una richiesta di Letizia Battaglia. Al museo Maxxi di Roma stavano preparando una sua grande personale, ma lei non voleva che ad accompagnarla fossero le rituali presentazioni o cataloghi. Allora chiese a Franco Maresco di girare un breve documentario, che prese poi il titolo La mia Battaglia. Le registrazioni furono fatte in due giorni in cui vennero raccolte ore e ore di conversazione, e solo una piccola parte fu montata per il video dedicato alla mostra”.
Foto di copertina © Original Shobha
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