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È un programma pericoloso quello dell’ex pm di Venezia Carlo Nordio, indicato da Giorgia Meloni come prossimo ministro della Giustizia in caso di vittoria del centrodestra: giudici nominati dalla politica, la direzione delle indagini sottratta ai pm e data alla polizia, l’azione penale non più obbligatoria e l'eliminazione delle intercettazioni con la causale del 'risparmio'.

Un vero e proprio attacco alla Carta Costituzionale e ai “capisaldi posti a garanzia dell’indipendenza dell’ordine giudiziario dalla politica”, ha scritto l’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato sul ‘Fatto Quotidiano’.

“In nessun paese europeo di democrazia avanzata” - si legge - “si è verificata infatti la sequenza ininterrotta di stragi e di omicidi politici che ha segnato la nostra storia dal secondo dopoguerra agli anni '90, i cui mandanti e complici eccellenti sono rimasti occulti a causa dei sistematici depistaggi di apparati statali. Depistaggi proseguiti dalla strage di Portella della Ginestra del 1947 sino alle stragi politico-mafiose del 1992-’93, tanto da indurre il legislatore a ravvisare la necessità di introdurre nel 2016 nel Codice penale lo specifico reato di depistaggio”. E in “nessun paese europeo si registra, come in Italia, una presenza plurisecolare e pervasiva di mafie, alcune delle quali divenute componenti organiche di più ampi sistemi di potere mafiosi grazie a relazioni collusive e strutturali con soggetti appartenenti ai massimi vertici della nomenclatura politica, degli apparati statali e del mondo economico. In nessun altro paese europeo si registra la corruzione sistemica che ha caratterizzato la storia nazionale, un’eterna Tangentopoli dallo scandalo della Banca romana nel 1892 sino ai nostri giorni”. Ma nonostante queste premesse “il dott. Nordio auspica uno stravolgimento della Costituzione con un insieme di proposte che hanno un unico comun denominatore: invertire i rapporti tra politica e magistratura per assicurare l’assoluto predominio della prima sulla seconda”.

Scarpinato ricorda che “la necessità di cristallizzare a livello costituzionale i rapporti tra potere giudiziario e potere esecutivo, assicurando che il primo non risultasse dipendente dal secondo, fu imposta dal concorde ‘proposito delle forze antifasciste…di porre in essere tutti gli strumenti atti ad evitare il ripresentarsi di un regime liberticida ed antidemocratico’, come risulta dai lavori dell’Assemblea costituente. Solo grazie a tali cardini costituzionali la magistratura ha potuto assolvere i propri compiti, pagando anche un elevatissimo tributo di sangue, nella travagliata storia italiana che presenta vistose anomalie per il costante pericolo di regressione antidemocratica”.

Regressione che, nell’attuale fase storica è “riconosciuta da tutti gli studiosi, alcuni dei quali segnalano l’inquietante clanizzazione della politica, cioè la sua progressiva degradazione a competizione tra clan sociali, gruppi di interesse, ristrette oligarchie interessate solo ad autoperpetuarsi e a spartirsi le risorse collettive”.

È questa la direzione in cui vanno le proposte di Nordio: a partire “della nomina giudici non più per pubblico concorso (come previsto dall’art. 101 della Costituzione), ma per designazione governativa, nonché l’elezione popolare dei pubblici ministeri, con la conseguente mobilitazione di gruppi di potere, lobby e clan mafiosi per sostenere e finanziare l’elezione di pubblici ministeri graditi”.

Le conseguenze di queste proposte sono prevedibili se si pensa anche “al recente ritorno in campo, come protagonisti della politica e della scelta dei candidati per le elezioni, di personaggi condannati in via definitiva per collusione con la mafia”.


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L’ex pm di Venezia, Carlo Nordio


Togliere il potere di indagine ai pubblici ministeri e accantonare le intercettazioni
Carlo Nordio
ha proposto anche di sottrarre alla magistratura “il potere di dirigere le indagini (art. 109 della Costituzione), attribuendolo solo alle Forze di Polizia: un ulteriore coerente tassello per costruire una giustizia completamente asservita alla politica. Lo statuto professionale dei magistrati è caratterizzato da garanzie finalizzate a impedire indebiti condizionamenti (ad esempio, l’inamovibilità dall’ufficio e la progressione automatica in carriera salvo demerito), mentre gli appartenenti alle Forze di Polizia ne sono privi. Stante la diversità delle loro funzioni, essi sono inseriti in strutture gerarchiche a piramide i cui vertici sono i ministri dell’Interno, della Difesa e delle Finanze, espressione delle maggioranze politiche contingenti”.

“L’esperienza storica - si legge sul Fatto - è costellata di episodi di esponenti delle Forze di polizia retrocessi o trasferiti da un giorno all’altro, perché indisponibili a seguire direttive politiche dall’alto, o comunque sgraditi perché non malleabili. Basti ricordare, per il suo carattere emblematico, la subitanea retrocessione e il trasferimento nel 1992 di Rino Germanà, valoroso poliziotto vittima di attentato mafioso in cui rischiò la vita, mentre su incarico di Paolo Borsellino indagava sui rapporti tra mafia e politica”. Inoltre “l’esperienza storica dimostra come affidare la direzione delle indagini a una magistratura indipendente sia una garanzia per i cittadini contro il pericolo di abusi o deviazioni e depistaggi da esponenti infedeli delle Forze di Polizia”.

“Basti ricordare alcuni dei casi più eclatanti emersi solo grazie a tale garanzia costituzionale: dai depistaggi nelle indagini sulle stragi di Peteano (1972), Piazza Fontana (1969), Piazza della Loggia (1974), Bologna (1980), Via D’Amelio (1992), agli abusi delle Forze di Polizia e ai conseguenti depistaggi nelle vicende della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto al G8 a Genova (2001) e, più di recente, al caso di Stefano Cucchi”.

Abolire l’obbligatorietà dell’azione penale e l’immunità parlamentare
L’ex pm della laguna avrebbe l’idea di “abolire l’obbligo del pm di esercitare l’azione penale (art. 112), finalizzato a garantire l’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge (art. 3) che sarebbe compromessa da scelte politiche discrezionali”. “A dire il vero - ha scritto Scarpinato - vi è una norma della Costituzione di cui il dott. Nordio rimpiange l’abrogazione e di cui auspica il ripristino. Guarda caso si tratta del divieto per i magistrati di avviare qualsiasi indagine nei confronti dei parlamentari senza l’autorizzazione delle Camere di appartenenza, abrogato a furor di popolo nel 1993 per gli abusi della classe politica che su 1225 richieste di autorizzazione ne aveva respinte ben 963, creando uno scudo impunitario che aveva contribuito a fare incancrenire la corruzione. Proposta coerente con l’impegno profuso dal dott. Nordio nella campagna referendaria di giugno, che tra l’altro mirava ad abrogare la legge Severino anche nella parte della incandidabilità di condannati con sentenza definitiva per gravi reati come quelli di mafia e di corruzione”. In ultimo Nordio ha proposto anche “di risparmiare le spese di giustizia limitando le intercettazioni telefoniche e ambientali: evidentemente ignora che esse sono da tempo lo strumento principale per le indagini contro mafia e corruzione, e non solo hanno consentito allo Stato un efficace contrasto a tali forme criminali e di parassitismo sociale, causa di gravi danni all’economia, ma anche di sequestrare e confiscare ingentissimi patrimoni illegali di valore molto superiore ai costi delle intercettazioni”.

In democrazia si può discutere di tutto ma è evidente che le proposte dell’ex magistrato rispecchino i ‘desiderata’ di una certa classe politica.

Fonte: ilfattoquotidiano.it

Foto © Imagoeconomica

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