Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Omissioni e falsità anche sulla separazione delle carriere e il decreto Salvaladri

“Giustizia ultimo atto. Da Tangentopoli al crollo della magistratura” edito da 'Guerini e Associati' è l’ultimo libro dell’ex pm Carlo Nordio. Ancora una volta l’ex procuratore di Venezia a distanza di qualche mese dal convegno di Italia Viva alla Leopolda ha attaccato il consigliere togato Nino Di Matteo a sostegno della sua tesi sulla separazione delle carriere. L’ex pm è andato oltre arrivando ad elogiare il decreto Biondi, anche detto 'Salvaladri'.
Purtroppo il principio per il quale una menzogna se ripetuta tante volte diventa una verità non funziona: una falsità, per quanto incensata, rimarrà sempre tale.
Ma andiamo per ordine.
Nordio ha scritto che “per capire la necessità della separazione delle carriere basta fare un esempio. Nel processo della cosiddetta trattativa Stato-mafia tutta l’impostazione accusatoria è stata costruita dal dottor Di Matteo. La Corte d’Assise l’ha smontata radicalmente, assolvendo il generale Mori e gli altri imputati di questo fantomatico reato. Orbene, se i due giudici togati di questa Corte un domani fossero valutati ai fini della promozione, chi si troverebbero a decidere presso il Csm? Proprio (anche) il dottor Di Matteo che a quel punto si troverebbe a giudicare i suoi ex giudici. Nessuno dubita dell’imparzialità di un membro del Csm. Ma qualsiasi persona di buon senso converrà che questa situazione è quantomeno anomala, per non dire irragionevole o addirittura demenziale.
Quanto al timore che il Pm cada sotto il controllo politico del governo, non se ne vede la consequenzialità logica. Può benissimo restare autonomo e indipendente, diventando quello che dovrebbe essere, cioè l’avvocato dell’accusa, più o meno come nel sistema britannico”.
L’ex pm Nordio, arrampicandosi sugli specchi, sembra essersi scordato, ancora, che dalla lettura del dispositivo della Corte d'assise d'appello di Palermo si evince che l'esistenza della trattativa, in sé e per sé, non si può mettere in dubbio. La trattativa tra uomini dello Stato ed esponenti di Cosa nostra c’è stata, ma non costituisce reato, tanto che Mori è stato assolto perché "il fatto non costituisce reato", ma non viene messo in dubbio quell'interlocuzione tra uomini dello Stato ed il sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino.  E come è sancito da altre sentenze definitive è certo che quel dialogo avviato “per fermare le stragi” (come dissero gli stessi carabinieri) rafforzò il convincimento di Cosa nostra che le stragi pagassero.
“L’iniziativa del Ros - si legge nella sentenza di Firenze - (perché di questo organismo si parla, posto che vide coinvolto un capitano, un vicecomandante e lo stesso comandante del Reparto) aveva tutte le caratteristiche per apparire come una 'trattativa'; l’effetto che ebbe sui capi mafiosi fu quello di convincerli, definitivamente, che la strage era idonea a portare vantaggi all’organizzazione (trattativa Ciancimino, nda)”. Lo stesso Nordio nel libro parla di “assoluzione generale” dimenticandosi che rimane ancora da capire il ruolo riconosciuto al medico di fiducia di Totò Riina, Antonino Cinà, condannato a 12 anni di reclusione, appunto, per il reato di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato. E poi ancora, Nordio in soldoni ha scritto che potrebbe verificarsi la situazione in cui dei membri del Csm potrebbero ritrovarsi a giudicare i loro stessi colleghi con cui hanno lavorato nell’ambito di un processo. Tuttavia la sua osservazione non tiene conto della componente laica del Consiglio Superiore della Magistratura. Sempre rimanendo nell’ambito del processo Trattativa, cosa potrebbe accadere se il giudice che in primo grado ha condannato Marcello Dell’Utri (ex senatore di Forza Italia assolto in secondo grado) si ritrovasse ad essere giudicato proprio (e anche) da quei membri laici in quota Forza Italia?
Una situazione a dir poco paradossale.

Le evidenti contraddizioni di Nordio
E al paradosso si accompagna l'assurdo di certe sue considerazioni frutto di un'ideologia politica che giunge fino ai meandri bui della destra più estrema.
Basti pensare che, dopo l’attacco alla sede della Cgil, si era schierato contro lo scioglimento di Forza Nuova, mentre lo scorso giugno, durante l’audizione in commissione Giustizia del Senato sul ddl Zan, era persino giunto a definire la pedofilia un “orientamento sessuale”.
Con certe prese di posizione, come si può prendere in considerazione ogni pensiero sul referendum sulla giustizia, voluto da Lega e Radicali?
Ovvio che il centrodestra applaude, al punto da essere messo all'interno della rosa dei nomi di Fratelli di Italia come candidato alla presidenza della Repubblica. E anche qualcuno tra le schiere della Lega e di Forza Italia sarebbe stato “favorevole”. Ma alla fine ha prevalso la linea governativa.
E l’ex magistrato Nordio non si è scomposto di un millimetro. Schierato ed allineato alla politica di regime che oggi ha un solo nemico da colpire: la magistratura. O forse si dovrebbe dire una certa magistratura.
Nel suo libro parla del quesito referendario della ‘separazione delle carriere’ tanto caro a Forza Italia, un partito il cui co-fondatore Marcello Dell’Utri è stato condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa ed è tutt’ora indagato a Firenze assieme al fondatore stesso Silvio Berlusconi (uomo che ha pagato la mafia come dicono le sentenze) per le stragi del 1993. Secondo Nordio un magistrato “può benissimo restare autonomo e indipendente, diventando quello che dovrebbe essere, cioè l’avvocato dell’accusa, più o meno come nel sistema britannico”. A parte la ovvia contraddizione - poiché negli Stati del Commonwealth il pubblico ministero non è indipendente nell’esercizio delle sue funzioni ma dipende unicamente dell’esecutivo - è interessante notare come Nordio abbia ignorato totalmente le sentenze che riguardano Dell’Utri, Berlusconi e tutto quello che è stato scritto dai giudici di primo e secondo grado in merito al processo trattativa Stato - mafia. Ad ogni modo il centro destra, Forza Italia in testa, vorrebbe quanto prima ridurre i pm a meri esecutori della volontà dell’esecutivo. Il magistrato Nino Di Matteo a Piazza Pulita aveva già toccato il punto della separazione delle carriere ricordando che lo stesso Licio Gelli - il maestro venerabile della loggia massonica P2 - ne aveva contemplato l’attuazione nel suo piano di Rinascita Democratica. Inoltre aveva ribadito che un pm staccato dall’ordine giudiziario diventerebbe un “accusatore a tutti i costi”, la “longa manus delle forze di polizia nel processo”.
E quando Formigli aveva replicato che in altri Paesi in cui vige una democrazia è presente la separazione delle carriere, il consigliere togato ha ribattuto a sua volta con quesiti semplici: “In questi Paesi il pubblico ministero che dipende dall’esecutivo quante volte è riuscito a fare inchieste sul potere? Su una gestione illecita del potere, sul potere politico, sulla grande corruzione? Sui grandi fatti che hanno riguardato l’eventuale commistione tra interessi criminali e interessi politici?”.
La risposta è nei dati di fatto: mai, o quasi.  Forse è proprio questo che vorrebbero raggiungere quegli ambienti della politica di destra “moderata” che più volte ha strizzato l’occhiolino all’ex magistrato Nordio.

In difesa della legge “Salvaladri”
Per Nordio il decreto legge Biondi emanato il 13 luglio 1994 durante il governo Berlusconi “era una sacrosanta affermazione del principio di presunzione di innocenza consacrato dalla Costituzione” aggiungendo che “il decreto Biondi prevedeva che per alcuni reati, certamente gravi ma tali da non vulnerare l’incolumità pubblica e privata, la carcerazione preventiva dovesse avvenire nella forma degli arresti domiciliari”. “Se Tizio - si legge - falsifica bilanci e utilizza fatture per operazioni inesistenti commette certo un reato grave, ma per evitare che reiteri il reato o inquini le prove non è indispensabile segregarlo dietro le sbarre: la detenzione domiciliare è più che sufficiente. Se invece si tratta di un rapinatore, o di un agitato sanguinario, il rischio che esca di casa e ritorni, magari armato, ad aggredire qualcuno è molto più reale, e purtroppo al carcere non c’è alternativa”. Nel suo libro il magistrato omette, volontariamente o meno, che quel decreto stava per far uscire dal carcere anche numerosi capimafia oltre che a tagliare le gambe ai pm che indagavano sulla criminalità organizzata: infatti il decreto prevedeva, anche per i delitti di mafia, che il giudice, prima di applicare la custodia in carcere, dovesse cercare e illustrare le esigenze cautelari, prima date per scontate. In più restringeva ulteriormente la possibilità di arresto preventivo in caso di pericolo di fuga: non bastava più il “concreto pericolo che l’imputato si dia alla fuga”, ma occorreva provare che l’indagato “stia per darsi alla fuga”. Come se non bastasse, sottobanco, sarebbero state inserite disposizioni che favorivano Cosa Nostra come quella norma che obbligava i pm a svelare le indagini per mafia dopo tre mesi, di fatto vanificandole. Ma anche di queste cose i Nordio di turno preferiscono non parlare limitandosi a ripetere sempre le stesse cose. Ma come detto poc’anzi i fatti rimangono tali e continuare a ricordarli è un diritto - dovere per tutti coloro che credono nella democrazia, nella libertà di informazione e in una certa magistratura: quella con la schiena dritta, per la quale la legge è uguale per tutti, anche per i rappresentanti del Potere politico, economico e finanziario.

Foto © Imagoeconomica

ARTICOLI CORRELATI

Nino Di Matteo e Carlo Nordio, i fantasmi del palcoscenico 
di Saverio Lodato

Le fandonie di Nordio sulla trattativa Stato-mafia

Di Matteo: ''La classe dirigente del nostro Paese vuole punire certi magistrati''

Referendum giustizia, Tescaroli: ''Pm indicati come responsabili dei mali della giustizia''

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos