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Ah, le porte girevoli fra politica e magistratura. Scagli la prima pietra chi, sull’argomento, non ha scheletri nell’armadio. È rimasta solo l’ineffabile Marta Cartabia, ministra della giustizia, a voler lasciare intendere che il vulnus da cauterizzare, una volta per sempre, sia proprio quello delle cosiddette “porte girevoli”, fra magistrati e tentazioni politiche. Che, insomma, per avere una giustizia che funzioni, che sia “giusta”, rapida - come ci chiede l’Europa - una giustizia in qualche modo “calma e riposata”, sia sufficiente mettere museruola e guinzaglio ai pubblici ministeri troppo esuberanti.
Facciamo oggi questa riflessione in seguito allo spettacolo andato in onda in queste giornate di elezioni quirinalizie che si sono concluse con il rinnovo del secondo mandato a Sergio Mattarella, fatto che consideriamo - e chi ci legge non ha dubbi - una manna dal cielo, di qualità assai superiore a quella che si raccoglie ancora oggi nei boschi delle Madonie.
Dunque.
Che abbiamo visto in questi giorni?
Che la destra, incarnata da Giorgia Meloni, in splendida solitudine, man mano che i suoi presunti alleati se ne andavano per funghi o per farfalle (il Matteo Salvini con il retino in mano lo hanno visto tutti gli italiani), ha ritenuto di ancorare ciò che restava dei suoi astratti furori (di destra) alla figura massiccia e pesante di Carlo Nordio. Già proprio cosi.
Un ex magistrato distinto e per bene, diciamolo subito a scanso di equivoci. Ma, suvvia, pur sempre un magistrato, di destra. Magistrato di lungo corso, come è noto, essendo stato a suo tempo uno degli antagonisti più coriacei del "pool" dei suoi colleghi di Mani Pulite a Milano.
L’avere tenuto, da parte di Giorgia Meloni, la linea del Piave arroccata sul nome di Carlo Nordio, meriterebbe qualche riflessione ad alta voce da parte degli interessati, ma anche da parte degli opinionisti, cartacei e televisivi, che in queste ore non sanno più come raschiare il barile.
In altre parole: non è curioso che, quando il gioco si è fatto duro, e la Destra è stata costretta a esibire davanti agli italiani la sua “argenteria di famiglia”, sia persino tramontata la candidatura buona e gigantesca di Guido Crosetto, con trascorsi politici d’eccellenza, per lasciar posto a un altro candidato d’eccellenza, ma che con la politica niente avrebbe mai dovuto avere a che vedere?
Rifletta, su questo, Giorgia Meloni.
E si chieda se in quella candidatura di Nordio non facesse capolino, per quanto occultata da tutti, l’incapacità di trovare, in politica, quel “candidato patriota”, che a parole è facile a dirsi, ma, alla resa dei conti, in natura non si è mai manifestato.


i nemici della giustizia cop 2

E veniamo a Nino Di Matteo.
Il quale va detto, a differenza di Carlo Nordio, non è stato il cavallo di battaglia consenziente di qualcuno, men che mai “argenteria” da contrapporre all'"argenteria" avversaria.
Ma anche lui, per volere di uno strano spiritello che si è intrufolato nel palcoscenico dove andava in onda lo spettacolo quirinalizio, è finito nello spoglio di tante votazioni. Lasciamo perdere i mal di pancia di tanti conduttori televisivi e opinionisti seduti nel primo banco, che quasi voltavano la testa dall’altra parte ogni qual volta il presidente della Camera Roberto Fico scandiva il suo nome.
Son cose che si sanno, essendo il Nino Di Matteo, e non da ora, personaggio che rompe schemi e logiche di appartenenza in seno alla magistratura e in tante altre situazioni e circostanze. Inclusi gli scenari di un’antimafia parentale che pretenderebbe di esprimere il suo monopolio sull’antimafia dei cittadini.
Ma non divaghiamo.
Il fatto è che, a lanciare il suo nome nell’agone, è stata una pattuglia di deputati e senatori - si chiama “l'Alternativa” - e che proviene dalle fila del protostorico Movimento 5 stelle.
Perché lo hanno fatto?
Perché - anche loro - dovendo attestarsi sulla linea del Piave hanno scelto il nome di un magistrato tanto divisivo? Potremmo saperlo solo se gli opinionisti di cui sopra andassero da loro a porre la domanda. Aspettiamo.
Badate bene. Non stiamo facendo una questione di argenteria di destra e argenteria di sinistra.
Ci limitiamo a notare che, man mano che i fuochisti della politica lanciavano nella fornace della locomotiva candidati a getto continuo per incenerirli, i due fantasmi del palcoscenico, Di Matteo e Nordio, continuando a volteggiare, finivano con l’assurgere a una dimensione simbolica che, alla fine, avrebbe trovato il suo sacrosanto coronamento nella rielezione di Sergio Mattarella.
A proposito di quest’ultimo: occhio. Non abbassate la guardia, o voi lettori.
Un grande intellettuale di Sicilia (su La Stampa) ha appena dichiarato che quella di Mattarella era tutta una pantomima, che sin dall’inizio lavorava al “bis”, che quella degli “scatoloni” era un po’ una farsa, e che nell’animo, Mattarella, era e resta un democristiano “di sinistra”, e, per sovrapprezzo, persino un po’ “gesuita”.
All’intervistatore un po’ stupito, il grande intellettuale di Sicilia ha rivelato serafico: “Io faccio affidamento su quello che mi aveva detto Totò Cuffaro: solo perché non lo conoscete potete credere che ci sia un altro esito”.
Un altro Totò, con frequentazioni meno discusse del Cuffaro, avrebbe detto: “E poi dicono che uno si butta con i magistrati...”.

Foto originali © Paolo Bassani/Imagoeconomica

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La rubrica di Saverio Lodato

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