Nell’intervista al capo redattore di ANTIMAFIADuemila, i motivi che indicano la presenza di una regia occulta dietro le scelte di Cosa nostra
La trattativa Stato-mafia c'è stata ma “per fini solidaristici” e “per la salvaguardia dell’incolumità, la collettività nazionale e la tutela di un interesse generale e fondamentale dello Stato” attraverso un’iniziativa “improvvida e costellata da sconcertanti omissioni ma, giustificata dalla tutela dell’incolumità pubblica”; un concetto tecnicamente accattivante che spiega l’ipocrita tendenza di chi solitamente adopera il motto: “fate quello che dico ma non quello che faccio”.
Ad ogni modo, con queste parole i giudici della Corte d’Assise di Palermo hanno infatti assolto Marcello Dell’Utri per “non aver commesso il fatto”, così come gli ufficiali dei Carabinieri Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni perché “il fatto non costituisce reato”, scagionando per questo gli imputati da ogni accusa di minaccia a corpo politico dello Stato.
Di questo e per questo, Aaron Pettinari, caporedattore di ANTIMAFIADuemila, ospite del programma di approfondimento Visione TV, commenta le motivazioni che accompagnano la sentenza sulla trattativa Stato-mafia; una notizia che giunge all’attenzione del grande pubblico anche attraverso una sintomatica disattenzione mediatica che, da anni in tandem con la politica, persevera nei riguardi della lotta alla mafia.
Tutti bravi con le terga altrui
“Ci sono diversi elementi che ci fanno pensare che Cosa nostra non fosse da sola, sia nelle stragi del ‘92 che in quelle del ‘93. - ha sottolineato Pettinari - “Chi ha suggerito a Cosa nostra di cambiare obiettivo? Dai magistrati, dalle forze dell’ordine e dai politici che inizialmente si volevano colpire, qualcosa cambia e si decide di colpire i monumenti. Come faceva Riina a sapere degli Uffizi, dei Georgofili, di via Palestro, oppure, del significato di San Giorgio in Velabro e San Giovanni in Laterano?”.
Difatti, come ha sottolineato il caporedattore di ANTIMAFIADuemila Aaron Pettinari, mentre i luoghi di culto venivano colpiti dalle bombe (San Giorgio in Velabro e San Giovanni in Laterano, ndr), durante quello stesso periodo aumenta la scorta per il servizio di sicurezza prestato ai due presidenti delle Camere Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini; circostanza confermata anche da una nota riservata del Sismi del 29 luglio del ’93, trasmessa dal Cesis nel 2002 al pubblico ministero di Firenze Gabriele Chelazzi e, successivamente, depositata agli atti del processo della trattativa Stato mafia.
Insomma, una dichiarazione di guerra da parte della mafia che i Ros dei Carabinieri Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni, senza alcuna comunicazione alla magistratura e in barba all’ordinamento giudiziario, così come si evince dalla sentenza sulla trattativa Stato-mafia, provano a mettere in atto attraverso un astruso tentativo di collaborazione con l’ala moderata di Cosa nostra per arrestare Totò Riina.
“Tutto questo è stato fatto per evitare le stragi, - ha sottolineato Pettinari con riferimento alla trattativa -, tuttavia, il ‘falso storico’ viene alla luce nel momento in cui viene arrestato Riina e le stragi non si fermano”.
Un “falso storico” che, a distanza di trent’anni, continua ad operare attraverso quelle menti raffinatissime di cui parlava Giovanni Falcone. Loschi e laboriosi personaggi che molto probabilmente, oggi come ieri, continuano ad operare nel tentativo di sabotare la cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro, fiduciario di segreti scomodi soprattutto per i fautori di quel patto avvenuto tra mafia e una parte deviata dello Stato.
Questo e molto altro nell’intervista di Visione Tv ad Aaron Pettinari, il quale, partendo dalla sentenza della Corte d’Assise di Palermo, spiega i motivi che si celano nel dialogo avvenuto a “suon di bombe” tra la mafia ed uno Stato che, oggi come allora, dimostra di essere impegnato a tutelare innanzitutto se stesso e, pazienza se lungo la strada che conduce ad “un’improvvida iniziativa” qualcuno perde la vita perché dilaniato dal tritolo.
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