Scoperte connessioni tra gruppi criminali cinesi e la 'Ndrangheta che hanno utilizzato un meccanismo di riciclaggio di denaro sporco proveniente dal narcotraffico. Questo meccanismo coinvolgeva negozi d'abbigliamento cinesi a Roma, che in realtà erano coperture per "lavanderie", ovvero operazioni di riciclaggio. A rivelarlo è 'Panorama' in un'inchiesta che conferma ancora una volta le connessioni tra la mafia calabrese e il Dragone. Già un'importante indagine condotta dal procuratore Giuseppe Amato a Bologna aveva rivelato collegamenti tra gruppi criminali cinesi e la 'Ndrangheta. Un collaboratore di giustizia calabrese, Gennaro Pulice, aveva precedentemente menzionato l'esistenza di un sistema di riciclaggio sfruttato dai capi mafiosi attraverso transazioni nell'industria dell'acciaio, inviando i proventi su conti in Cina. Questo sistema sembrava essere stato in atto fin dal 2013. Le sue dichiarazioni avevano condotto gli inquirenti a Milano, dove si riteneva che avessero riciclato i loro guadagni i Greco di San Mauro Marchesato, Crotone, e i Grande Aracri di Cutro. Dall'inchiesta di Panorama emerge che i negozi di abbigliamento, secondo la rivista, avevano una filiale in via Turati 132 (Roma) e via Napoleone III, civico 76. Il proprietario, Wen Kui Zheng, sostengono gli inquirenti, avrebbe "una sorta di cassa depositi e prestiti, attiva in un tortuoso circuito con sedi sparse sul territorio nazionale e dipendenti da una holding con base in Cina". Nella sede di via Turati, un flusso costante di persone si dirigeva verso la cassa, creando l'illusione di un'attività incessante grazie agli innumerevoli depositi di denaro. Si stima che il volume di scambi raggiungesse i 95 mila euro mensili, tutti in contanti. Molti clienti abituali sono stati identificati e sorprendentemente la loro occupazione principale era quella di corrieri finanziari. Questi individui, tutti di origine cinese, lavoravano esclusivamente per due famiglie, gli Zheng e i Lin. Le verifiche dei loro precedenti avevano rivelato vari sequestri in aeroporto, prevalentemente a Fiumicino, che nel periodo tra il 2017 e il 2021 avevano totalizzato 53 milioni di euro. Fino a poco tempo fa, questi sequestri sembravano eventi isolati e non correlati. Adesso, però, gli investigatori della Guardia di Finanza stavano collegando i punti. L'unico vincolo previsto sarebbe stato "garantire", evidenzia chi indaga, "l'incognita provenienza delle somme e l'anonima identità dei legittimi titolari". Una sorta di segreto bancario alla cinese. I soldi non erano tracciabili, perché coperti "da fittizie operazioni commerciali". Ma il trasferimento all'estero era solo virtuale. I contanti depositati nella cassa dei broker, in realtà, non lasciavano fisicamente l'Italia. All'estero era trasferito solo il valore nominale. Il denaro poi tornava ai trafficanti tramite corrieri di valuta. Gli investigatori avevano scoperto che Zheng era conosciuto come "Luca il cinese", un nome citato 577 volte nell'ordinanza di 260 pagine con cui il gip di Roma, a inizio ottobre ha arrestato 22 persone. Ma che, ha scoperto Panorama, è sotto la lente dei magistrati anche in Calabria. La rete di attività a Roma sembrava essere parte di un quadro più ampio. Partito da Reggio Calabria, Santo Flaviano era in viaggio con 500.000 euro in contanti da "ripulire" all'estero. La destinazione era l'Esquilino. La somma, che era nascosta nel vano posteriore di una Fiat 500 appartenente alla vedova di un uomo assassinato in un attacco della 'Ndrangheta a Reggio Calabria, venne sequestrata. Gli investigatori sospettavano che il denaro potesse avere legami con il "contesto criminale calabrese".
Fonte: Panorama
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