La domanda che resta aperta sull'attentato al Pm Di Matteo
Questo articolo, che riproponiamo ai nostri lettori, è stato scritto in data 02-10-2023
E' con grande attenzione che abbiamo letto, sulle pagine di La Repubblica nell'articolo di Lirio Abbate, le ultime dichiarazioni rilasciate ai pm di Palermo (il procuratore aggiunto Paolo Guido e i pm Piero Padova e Gianluca De Leo) lo scorso 7 luglio, dal boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro (oggi deceduto), in quello che è stato l'ultimo interrogatorio, prima di finire ricoverato e poi morire in ospedale.
Non un testamento ma l'ennesima beffa di un soggetto, che abbiamo definito serial killer al servizio dello Stato-mafia, nei confronti di tutti coloro che ancora oggi sono impegnati nella ricerca della verità.
In quattro interrogatori a cui ha accettato sottoporsi il capomafia non ha mancato di lanciare i suoi messaggi. Secondo quanto abbiamo letto, pur facendo capire di essere stato possessore di indicibili segreti, non offre spunti investigativi veramente rilevanti ed anzi, in alcuni momenti, così come era avvenuto con il memoriale di Giuseppe Graviano depositato nel processo 'Ndrangheta stragista, si ha la sensazione che dietro alle sue verità possano anche nascondersi clamorosi depistaggi.
In quel verbale del 7 luglio sembra quasi che Messina Denaro provoca (“Voi magistrati vi siete accontentati che il giudice Falcone sia stato ucciso perché ha fatto dare 15 ergastoli al Maxi processo?”) definendo la strage Falcone come "la cosa più importante, da dove nasce… quantomeno da dove nasce tutto". Al Procuratore aggiunto Guido, che chiedeva al boss di essere più chiaro, il boss risponde "le stragi, l'input". E poi ancora in un altro passaggio: "Ascolti, dottore Guido, e veda che quello che sto dicendo è verità… tutti questi, chiamiamoli pentiti, che hanno detto, sì, qualche pezzo di verità, e hanno fatto fare dei processi, va bene, ma ognuno ha portato acqua al proprio mulino. E per farlo dicono cose che possono essere reali e coincidere con quello che cercate voi o con quello che interessa a voi, ben venga, giusto? Ma ci sono cose, però, che, per esempio, nessuno è mai arrivato, perché a me sembra un poco riduttivo dire che a Falcone lo hanno ucciso per la sentenza del Maxi processo. Se poi voi siete contenti di ciò, ben venga, sono fatti vostri, ma la base di partenza non è questa… parlo di grandi cambiamenti".
Certamente l'intento dei pm di Palermo era far dichiarare all'ex primula rossa ciò che sapeva su quella terribile stagione. Lui è stato un protagonista assoluto di molti fatti che hanno riguardato quegli anni così come dei successivi.
Il pm Nino Di Matteo © Deb Photo
A nostro avviso sarebbe stato importante, tra una domanda e l'altra, dato che si parla di stragi, che fossero poste anche domande su argomenti più recenti, come l'attentato al pm Nino Di Matteo.
Certo, è chiaro che l'argomento poteva essere di competenza della Procura di Caltanissetta (allo stato non è dato sapere se i magistrati nisseni, che indagano sulle stragi del 1992, siano riusciti o meno a porre le proprie domande al boss trapanese), ma sarebbe stato di grande rilievo anche per comprendere proprio i legami che il capomafia avrebbe avuto nel recente passato.
Ci spieghiamo subito.
Nel 2014 il collaboratore di giustizia Vito Galatolo aveva riferito agli inquirenti del progetto di attentato nei confronti del magistrato. Un attentato che, secondo quanto riferito, sarebbe stato chiesto ufficialmente da Matteo Messina Denaro. Una lettera della Primula rossa sarebbe stata letta in una riunione tra alcuni capimafia (lo stesso Galatolo, Alessandro D'Ambrogio a capo di Porta Nuova e Girolamo Biondino, capo a San Lorenzo) nel dicembre 2012 in cui si spiegavano anche i motivi per compiere l'attentato ("Mi hanno detto che si è spinto troppo oltre”).
A quella riunione partecipò anche Galatolo, che poi diede la quota economica più consistente nell'acquisto, compiuto assieme agli altri capimafia, del tritolo acquistato dalla Calabria.
Secondo Galatolo, sulla cui attendibilità allo stato non risultano dubbi, Messina Denaro avrebbe anche messo a disposizione un artificiere per l'attentato che sarebbe stato "non di Cosa nostra". Chi era questo soggetto?
Possibile che nessuno abbia voluto approfondire l'argomento con il diretto interessato, arrestato dopo quasi trent'anni di latitanza?
Il collaboratore di giustizia, Vito Galatolo
Altro tema. Pochi mesi dopo il summit di cui ha parlato Galatolo, il 26 marzo 2013, un anonimo giunto alla Procura di Palermo preannunciava che “amici romani di Matteo (Messina Denaro, ndr) hanno deciso di eliminare il pm Nino Di Matteo in questo momento di confusione istituzionale, per fermare questa deriva di ingovernabilità”. Per fortuna, ad oggi, l'attentato non è stato eseguito ma, anche se l'indagine in merito è stata archiviata, i magistrati della Procura di Caltanissetta avevano parlato di un "progetto che è ancora in corso". Questi fatti gravi, con discussioni che avvenivano almeno fino al 2014-2015, vedevano al centro Matteo Messina Denaro, in particolare su grandi decisioni che avrebbero riguardato l'interesse di tutta Cosa nostra. Certamente il boss trapanese a certe domande, così come ha fatto negli interrogatori, avrebbe anche potuto far finta di nulla, o avrebbe anche potuto non rispondere. Ma avrebbe anche potuto offrire qualche spunto per far capire chi fossero quelle persone che "gli hanno chiesto" di organizzare l'attentato contro il sostituto procuratore nazionale antimafia Di Matteo. Che Messina Denaro fosse il detentore di indicibili segreti è un fatto noto. Un collaboratore di giustizia come Nino Giuffrè ha dichiarato che a lui sono stati consegnati i documenti segreti della cassaforte di Riina. Il capomafia trapanese partecipò attivamente alla strategia di attacco allo Stato messa in atto dalla mafia per indurre lo stesso a trattare. Lui era uno dei membri di quel gruppo di uomini d'onore che Riina, già agli inizi del ’92, aveva inviato a Roma per studiare le abitudini e i movimenti di Giovanni Falcone per preparare il suo omicidio nella capitale. Quel gruppo di fuoco fu improvvisamente richiamato in Sicilia e, visto il rapporto diretto che aveva con Riina, è immaginabile pensare che lui conoscesse il motivo di quel cambio di programma. Abbiamo anche ricordato in altre occasioni che nel periodo compreso fra la strage di Capaci e quella di via d’Amelio, Messina Denaro aveva trascorso diversi momenti in nord Italia con Giuseppe Graviano, già allora latitante, e poi coinvolto in prima persona nella strage di via d’Amelio. Ciò significa che Messina Denaro non poteva non sapere se Graviano, nel periodo delle stragi, avesse avuto o meno rapporti con l'allora imprenditore Silvio Berlusconi. Ora che è morto le risposte su questi fatti, almeno per i credenti, le dovrà dare al Padre eterno. Intanto, però, resta l'amarezza per l'ennesima occasione persa dei pm palermitani per fare un nuovo passo avanti verso la verità.
Rielaborazione grafica di copertina by Paolo Bassani
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