Lettera aperta
Potevamo aspettarci che nel trentennale delle stragi ne avremmo sentite di tutti i colori. Si avvicinano sempre di più i giorni della memoria della strage di Capaci e il tam tam mediatico è già ai massimi livelli. Sicuramente abbiamo visto e sentito interventi di rilievo, approfondimenti seri su ciò che è stato al tempo o su ciò che è stato con le indagini che hanno contribuito a svelare un pezzo di verità importante sulla strage che scosse un intero Paese. Ma al contempo abbiamo sentito, e stiamo sentendo, anche tante fandonie. Mi riferisco alle farneticazioni della giornalista e scrittrice Marcelle Padovani, tornata protagonista del battage mediatico proprio in vista di questo trentennale.
La signora Padovani, giornalista e scrittrice, è particolarmente nota per aver scritto con Giovanni Falcone il libro (bello ed importante) "Cose di Cosa nostra".
Oggi, anziché godersi la pensione, preferisce sparare "ca...." a mezzo stampa, dicendo cose che fanno male e sono profondamente ingiuste nel momento in cui, senza far nomi, parla di "magistrati-star" (le stesse accuse che venivano rivolte proprio a Falcone che si impegnava nel contrasto contro la mafia e il sistema criminale, ndr) con "smanie di protagonismo che finiscono col compromettere l’immagine di un’intera categoria".
Considerazioni che colpiscono anche i media che ne "enfatizzano la figura" e che "contribuiscono ad alimentare insulse teorie complottistiche".
Piccolo excursus sulla preparazione negli ultimi vent'anni della signora Padovani in materia di mafia.
Non l'abbiamo incontrata nei processi sulla strage di Via d'Amelio.
Se avesse seguito soprattutto il Borsellino ter, quello che ha portato alla condanna all'ergastolo dei boss della Cupola e di importanti capi di Cosa nostra, saprebbe che sono emerse prove rilevanti sui cosiddetti mandanti esterni. Lo stesso saprebbe se avesse seguito le inchieste e fosse stata presente ai processi sulla strage di Capaci, sul fallito attentato all'Addaura.
Un attentato, quest'ultimo, dopo il quale lo stesso Falcone disse testualmente al giornalista Saverio Lodato: "Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi".
Sappiamo, grazie alle rivelazioni di Saverio Lodato che Falcone considerasse come regista di quelle menti raffinatissime l'alto funzionario del Sisde, Bruno Contrada.
Ed oggi anche un altro amico di Giovanni Falcone, Pino Arlacchi, nel libro "Giovanni e io", edito da Chiarelettere, sull'attentato all'Addaura ricorda le dichiarazioni di Falcone ("sugli esecutori Falcone aveva idee molto precise. Non potevano che essere stati i delinquenti del Sisde").
E sempre Lodato raccolse altre considerazioni di Falcone su due massimi rappresentanti della lotta alla mafia a Palermo: l’ex capo della Mobile Arnaldo La Barbera e l’ex Alto Commissario Domenico Sica. “Di fronte a questi due nomi - ha raccontato Lodato lo scorso 6 maggio ad Atlantide - mi disse testualmente: ‘Sono venuti a Palermo per fottermi’”.
Tutti argomenti che devono essere affrontati e ricordati, se si vuole riannodare i fili del tempo e cercare di comprendere cosa si nasconde dietro ai fatti che si sono verificati nei primi anni Novanta e che ancora oggi restano attuali.
Grazie alla collaborazione dei cosiddetti "pentiti", tanto cari a Giovanni Falcone, così come la signora Padovani sa bene, uno squarcio è stato aperto sull'esistenza di mandanti esterni per la strage di via d'Amelio.
Basti ricordare le parole di Totò Cancemi, collaboratore di giustizia ed ex boss di Porta Nuova, che riportai nel libro intervista “Riina mi fece i nomi di…” (Massari Editore): “Riina è stato preso per la manina per fare le stragi” per poi aggiungere “Mi fece i nomi di Berlusconi e Dell’Utri”.
Affermazioni che rilasciò anche in dibattimento nel processo Borsellino Ter.
Ma evidentemente la signora Padovani certe dichiarazioni non le conosce.
Non è mai stata in udienza in uno dei processi su via d'Amelio. Non c'era al processo di Capaci o a quello per le stragi in Continente.
Non è mai andata al processo contro l'ex senatore Marcello Dell'Utri, condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa. Né è mai stata presenta ad una sola udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia.
Ci sono stati processi, inchieste, operazioni di polizia.
La ricerca della verità non si è mai fermata, con la ferma volontà di una parte della magistratura di andare fino in fondo e dare un volto a quei mandanti esterni che hanno chiesto, se non addirittura concorso all'esecuzione dell'attentato.
Noi, nei nostri limiti, abbiamo sentito, di presenza o tramite Radio Radicale, tutti questi processi che abbiamo citato.
Comprendiamo che la signora Padovani possa avere dopo tanti anni, la nostalgia di emergere nuovamente grazie ai mezzi di comunicazione. E possiamo anche comprenderlo, proprio perché parliamo dei trent'anni passati dalle stragi. Però non dica "fandonie" che offendono la memoria del suo amico Giovanni Falcone, quella di Paolo Borsellino e dei magistrati che hanno ereditato proprio le loro idee nella ricerca della verità e in questa lotta contro i sistemi criminali. Perché così facendo offende anche le idee di tanti cittadini italiani che quella giustizia la vogliono e la cercano. Con rispetto e determinazione.
Foto © Imagoeconomica
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