di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari - Video integrale - Foto
Il Pg Scarpinato parla di "questione sociale" e della "predazione sistemica" dei colletti bianchi

Oggi in tutta Italia si è celebrata l'apertura dell'Anno giudiziario. In quel di Palermo uno degli interventi più attesi, immediatamente dopo la relazione del Presidente della Corte d'Appello MatteoFrasca, era sicuramente quello del consigliere togato Antonino Di Matteo. Tre anni fa, dopo aver vissuto per 18 anni il ruolo di sostituto procuratore nel capoluogo siciliano, si era trasferito a Roma, prima alla Procura nazionale antimafia poi, dallo scorso ottobre, eletto come membro dell'organo di autogoverno della magistratura. Un intervento che è andato oltre il solito cliché di rappresentanza istituzionale: “Questo è il distretto che ha sopportato sulle sue spalle l'urto più immediato della violenza mafiosa e le innumerevoli insidie delle complicità politiche e istituzionali di Cosa nostra". "Da questi uffici - ha ricordato dopo aver citato il lungo elenco di magistrati uccisi dalla mafia - pur fra mille difficoltà e resistenze anche interne, è partita, nella immediatezza delle stragi del 1992, una splendida reazione, che nella consapevolezza che la lotta alla mafia è condizione essenziale di libertà e democrazia, ha trasformato Palermo nell'avamposto del contrasto alla criminalità organizzata. Questi uffici hanno, per molto tempo, rappresentato un insostituibile punto di riferimento, anche sociale e culturale, per quella parte del Paese che non si rassegna al predominio di metodi predatori e correttivi nella gestione del potere. Spero che Palermo abbia la volontà e la capacità di continuare a rappresentare l'esempio trainante di una giurisdizione che non ha paura di estendere ai potenti il controllo di legalità”.
E poi ancora ha lanciato un appello rivolgendosi direttamente ai colleghi: "Avete la grande responsabilità di sconfiggere la tentazione, sempre strisciante, dell'oblio e dell'appiattimento alle logiche del quieto vivere e del falso e solo formale efficientismo burocratico. Sono certo che quello spirito del 92 che animò la riscossa contro il sistema mafioso venga gelosamente custodito nell'animo di ogni magistrato. Sono certo che saprete soffocare sul nascere il pericolo di un ritorno al passato, un ritorno a quegli opachi contesti nei quali trovano terreno fertile stragi e delitti eccellenti”.



Rivoluzione etica
Ma Di Matteo non si è fermato a queste considerazioni. Come da lui ricordato quello passato non è stato un anno come gli altri per la magistratura. Ed il riferimento, chiaramente, non può che essere ai fatti emersi con l'inchiesta di Perugia e che ha visto il coinvolgimento di magistrati e membri del Csm. Fatti che "ci devono indignare ma non ci possono sorprendere. Non possiamo permetterci di essere ipocriti, rappresentano uno spaccato, una fotografia nitida, ma pur sempre parziale, di una grave patologia che rischia di minare l'intero sistema di autogoverno della magistratura”. Quello delle correnti, secondo il consigliere togato del Csm, "da ossatura della democrazia e portatrici di idee e modelli sono diventate ambigue articolazioni di potere dedite alla propria autoconservazione. Una malattia che si è diffusa come un cancro, con la prevalenza di logiche di clientelismo, appartenenza correntizia o di cordata, di collateralismo con la politica. Logiche perverse che hanno allontanato il Csm dalla funzione immaginata dal legislatore costituente e sono state alimentate, fuori dal Csm, dal comportamento di molti magistrati sempre più pervasi dal male oscuro del carrierismo e impegnati in una folle corsa al conseguimento di incarichi direttivi".
Proprio l'inchiesta di Perugia secondo il magistrato palermitano rappresenta "l'occasione per ripartire prima che altri cambino le regole comprimendo valori come quello dell'indipendenza". Ma per voltare pagina non bastano nuove norme, o il solo impegno del Csm, ma serve "una svolta radicale nell'etica individuale e di corpo della magistratura. Se si continua a ritenere accettabile ciò che è sempre avvenuto, come se sempre dovesse avvenire, se non ci sarà una rivalsa forte e diffusa dell'etica, non potremo mai uscire dal 'cul de sac' nel quale siamo precipitati".

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Nino Di Matteo © Giovanni Paparcuri


Questione sociale
Particolarmente interessante e lucido anche l'intervento del Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato. Un'analisi a 360° non solo sulla mafia come fenomeno criminale, ma sull'emergenza sociale che attraversa il Paese e che inevitabilmente genera un "circuito perverso" tra "criminalità mafiosa e illegalità diffusa" che si avvitano "in una spirale che si autoalimenta".
Vi è dunque una "questione sociale" che va necessariamente affrontata.
Nel suo intervento Scarpinato ha sottolineato come la Sicilia oggi sia "la regione con il tasso di povertà maggiore in Italia, il 40,7%, contro la media nazionale dell'11". E non è un caso che "proseguendo nell'analisi delle tipologie di reati che caratterizzano il territorio del distretto, si disegnano progressivamente i contorni di una geografia del crimine tipica dei paesi sottosviluppati ed una significativa crescita dell'area della illegalità nei settori più colpiti dalla crisi economica". Un esempio è l'inchiesta sui cosiddetti "Spaccaossa". Il Procuratore generale ha ricordato come le indagini abbiano "aperto uno squarcio sulle drammatiche condizioni di vita, sulla estrema miseria in cui nella Sicilia dell'anno giudiziario del 2020 versa una moltitudine di persone talmente disperate da fare la fila per farsi rompere le ossa in cambio di pochi spiccioli. Da un punto di vista meramente statistico questa vicenda è solo un numero tra i tanti nel totale delle migliaia di reati di truffa consumati nel distretto di Palermo".

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Il Pg Roberto Scarpinato © ACFB


Scarpinato ha continuato parlando di "illegalità di sussistenza", e di "minaccia di applicazione di sanzioni penali che resta priva di efficacia". Un altro passaggio dell'intervento è stato dedicato alla stretta connessione tra criminalità mafiosa e corruzione.
Secondo il magistrato tra passato e presente "persiste tuttavia una inquietante e perniciosa continuità" ovvero una "predazione sistematica delle residue risorse pubbliche praticata con le più diverse forme corruttive e l'abuso di potere, da parte di una pletora di colletti bianchi appartenenti alla classe dirigente". "Al termine della lettura delle relazioni redatte dai Procuratori della Repubblica del distretto sul versante criminale dei reati contro la Pubblica amministrazione - ha aggiunto Scarpinato - si ha quasi la sensazione di uno Stato accerchiato, contemporaneamente impegnato a difendere la linea Maginot della legalità su due fronti. Da una parte il difficile e impegnativo fronte esterno del contrasto alla criminalità mafiosa, alla criminalità comune e alla illegalità di massa. Dall'altra l'insidioso fronte interno della neutralizzazione dell'attività criminale posta in essere da una pletora di soggetti che occupano postazioni strategiche all'interno del circuito istituzionale e che all'ombra discreta di ovattati uffici pubblici, di salotti bene e di logge massoniche coperte, sono dediti a strumentalizzare i ruoli e poteri pubblici di cui sono investiti per arricchirsi predando le risorse pubbliche e contribuendo così a perpetuare ed aggravare il sottosviluppo".

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La cerimonia di inaugurazione dell'Anno Giudiziario 2020 tenutasi a Palermo presso l'aula magna della Corte d'Appello © Giovanni Paparcuri


E poi ancora ha proseguito: "Se l'illegalità dei piani bassi della piramide sociale è alimentata dalla crisi economica, il proliferare di quella dei piani alti è stata invece sin qui alimentata dalla stratificazione di una legislazione che nel tempo e in vari modi ha abbattuto ai minimi termini il rischio ed il costo penale per i reati dei colletti bianchi, come dimostra il fatto che solo lo 0,3% dei detenuti appartiene a tale categoria sociale".
Anche il traffico di stupefacenti rappresenta un segnale non indifferente di questa emergenza. "I clienti abbienti acquistano la cocaina - ha ricordato il Procuratore generale - Coloro che non se la possono permettere si accontentano del crack - la c.d. coca degli ultimi - una droga sintetica formata da un mix di pochi cristalli di cocaina bicarbonato e acidi in grande quantità, che si vende per pochi euro e che ha effetti devastanti sulle cellule cerebrali. L'espansione progressiva del mercato del crack - circa 1500 dosi vendute ogni giorno - è un ulteriore indice di emersione dell'economia criminale del sottosviluppo".
Secondo Scarpinato "la recente approvazione della legge 'Spazzacorrotti' e la riforma del regime della prescrizione segnano una inversione di tendenza che non si sa ancora se destinata a stabilizzarsi o a essere ridimensionata, tenuto conto che su tali temi è in corso da mesi uno scontro politico ad altissima intensità che mette a rischio la tessa tenuta del governo nazionale".
Nel frattempo però è necessario prendere coscienza che "un dibattito che non si interroghi anche sui concreti esiti sociali dell'amministrazione della giustizia e sulle cause strutturali che perpetuano il crimine rischia di divenire solo autoreferenziale, solo un discorso di apparato". Per il Pg "le statistiche giudiziarie che hanno un'eloquenza esplicativa dei complessi problemi della giustizia in buona misura apparente, dicono molto sulla produttività ma nulla o poco sulle strutturali cause sociali che continuano a generare e perpetuare nel tempo una quota rilevantissima di reati". Ecco perché "forse è arrivato il tempo di rimodulare questa cerimonia. La questione giustizia è inestricabilmente connessa con la questione sociale e il dibattito non può essere solo fra tecnici".

Foto di copertina © Imagoeconomica

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