Londra chiede garanzie per il fondatore di Wikileaks: “No alla pena di morte se estradato negli Usa”
La giustizia britannica ha concesso un ultimo tentativo al giornalista e attivista australiano Julian Assange di poter sfuggire all'estradizione negli Usa, dove ad attenderlo ci saranno fino a 175 anni di carcere per la violazione dell’Espionage Act: una legge statunitense del 1917 pensata per punire chi condivide informazioni sensibili con il nemico. Di quest’ultimo spiraglio di libertà, che potrebbe salvare il fondatore di Wikileaks da morte certa oppure da una sofferenza lenta e atroce, ne hanno parlato durante una recente diretta streaming il giornalista e direttore de ilfattoquotidiano.it, Peter Gomez, insieme a Stefania Maurizi, la giornalista che ha seguito il caso Assange fin dal suo inizio.
Il fondatore di Wikileaks è stato accusato dagli Stati Uniti di aver diffuso documenti riservati del Pentagono e del Dipartimento di Stato, che contengono informazioni imbarazzanti che dimostrano i numerosi crimini commessi dagli Usa in Afghanistan e in Iraq, insieme a molte altre pratiche segrete, come l'attività di spionaggio portata avanti dalla CIA attraverso un programma di hackeraggio pensato per controllare telefoni e televisori al fine di utilizzarli come dei microfoni in grado di spiare e carpire informazioni. In attesa di essere estradato, nel 2019 Assange è stato rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, il penitenziario più duro del Regno Unito e luogo di detenzione per i terroristi ritenuti tra i più pericolosi al mondo. Ma, nelle scorse ore, l’Alta Corte di Londra ha deciso di concedere al noto giornalista la possibilità di presentare un nuovo ricorso contro la sua estradizione negli Stati Uniti. Inoltre, i giudici londinesi hanno anche chiesto al governo americano di fornire, entro le prossime tre settimane, delle garanzie solide in grado di dimostrare che, se estradato, i diritti di Assange saranno rispettati e, soprattutto, che non venga applicata la pena di morte.
“Questa sentenza - ha spiegato Maurizi - dice che gli Stati Uniti hanno tre settimane per proporre delle garanzie”. Tra queste, quella che assicura “che Assange non verrà condannato alla pena di morte se estradato. E questo, ad oggi, gli Usa non l’hanno mai garantito. Hanno fornito soltanto delle garanzie sul fatto che Assange non sarà rinchiuso all’interno della prigione più estrema degli Stati Uniti, come quella dove si trovano i boss della famiglia Gambino e dalla quale non è mai evaso nessuno. Hanno assicurato - ha proseguito la giornalista - che Assange non verrà sottoposto al regime carcerario più estremo degli Usa: il regime ‘SAM’; ben più duro del nostro 41bis. A meno che, una volta arrivato negli Stati Uniti - ha sottolineato la giornalista del Fatto Quotidiano - non faccia qualcosa per cui le autorità penali decidano di assegnarlo a quella tipologia di regime carcerario”.
Esclusa, per il momento, anche la possibilità che Assange, una volta estradato, possa usufruire del “First Amendment”: il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti che consente, tra le altre cose, di praticare la libertà di stampa e di parola. “Lui non ne gode - ha spiegato la giornalista - perché è un cittadino straniero, pertanto, non può godere degli stessi diritti costituzionali. Tra le persone che hanno più volte ribadito questo concetto, anche l’ex capo della CIA, Mike Pompeo”. Purtroppo, “a parte il First Amendment non c’è altra protezione dal tipo di reato che gli viene contestato”. E aggiunge: “La Corte ha concesso ad Assange la possibilità di ricorrere in appello perché la sua carcerazione rappresenta anche una minaccia per la libertà di stampa”. Ovvero, “all’articolo 10 della Convenzione per i diritti umani”.
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