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Secondo il Wall Street Journal il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti sta valutando se consentire al fondatore di Wikileaks Julian Assange di dichiararsi ''colpevole di cattiva gestione di informazioni riservate'', ovvero l'ammissione di una colpevolezza ridotta. Si aprirebbe così la possibilità di un accordo che potrebbe portare al rilascio di Assange dal carcere di massima sicurezza di Belmarsh a Londra dove è detenuto dal 2019 senza aver subito alcun processo in spregio dei diritti umani. L’editore australiano è vittima di una persecuzione legale senza precedenti a causa della richiesta di estradizione negli Stati Uniti in cui dovrebbe affrontare un processo per aver pubblicato migliaia di documenti militari e dispacci diplomatici riservati di Washington che hanno smascherato, tra gli altri, crimini di guerra Usa commessi in Iraq e Afghanistan. Il 21 febbraio scorso gli avvocati James Lewis e Claire Dobbin, che hanno rappresentato gli Stati Uniti durante un'udienza dell'Alta Corte di Londra, hanno affermato che il giornalista australiano aveva ''messo a rischio delle vite" diffondendo documenti statunitensi riservati e per questo motivo dovrebbe essere estradato per affrontare la giustizia americana. Accuse infondate che mirano a delegittimare la figura e il lavoro svolto da Assange e Wikileaks. La moglie del giornalista, Stella Assange, ha più volte detto che “se verrà estradato negli Stati Uniti Julian morirà”. Da anni lei si sta battendo con ogni mezzo per impedire che questa vicenda possa ripiegare verso un triste epilogo. Sono centinaia le manifestazioni, gli eventi e le premiazioni a cui ha preso parte in nome di Julian per difendere la libertà di informazione, di espressione e il diritto inviolabile dei cittadini ad essere informati. "La sua salute sta peggiorando, fisicamente e mentalmente - ha detto la moglie dell'attivista in occasione della conferenza stampa antecedente alle recenti udienze dell’Alta corte di Londra svoltesi a febbraio -. La sua vita è in pericolo ogni giorno in cui rimane in prigione”. 

Foto © Imagoeconomica

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