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Dieci condanne all’ergastolo, una di 25 anni di prigione ed un’assoluzione. Dopo circa quattro anni di processo, è questa la sentenza del Tribunale Orale Federale 1, de La Plata, rispetto ai vari sequestri e sparizione di persone, ed al caso conosciuto come la “Notte delle Matite”, uno degli episodi della repressione argentina più terribili. Tanto che ne è stata realizzata un’opera cinematografica che ha permesso che quei fatti venissero tramandati di generazione in generazione. 47 anni fa questa terribile storia - una delle tante - iniziava quando la repressione portò al Pozzo di Banfield un gruppo di studenti della secondaria di La Plata.
Sopravvivranno solo in tre - Pablo Díaz, di 65 anni, Emilce Moler e Gustavo Calotti - che nei giorni scorsi erano presenti in aula nel momento in cui il Tribunale ha dettato le rispettive condanne. L'operativo repressore si portò a termine a settembre del 1976. In quella data ci fu una retata dopo una protesta studentesca e la maggioranza degli adolescenti - di 16 e 17 anni - che furono sequestrati delle loro case, finirono privati della libertà in uno dei centri clandestini, e di costoro, salvo Díaz, Moler e Calotti, nient'altro si seppe, allungando l'elenco di desaparecidos della dittatura militare, imprenditoriale ed ecclesiastica che regnò a prezzo di morte e torture, dentro il territorio argentino.
È stato il magistrato Ricardo Basílico a fare lettura al verdetto sui crimini commessi nelle brigate di Banfield, Quilmes, Lanús e San Justo.
Sicuramente, Pablo Díaz ha dovuto ricordare ognuna delle scene di quei giorni di orrore, quando si trovava "risucchiato" vicino ai suoi compagni di militanza.
Dietro una sessione di cinque ore, nella sala si sente dire a Pablo Díaz: "Ora dobbiamo sapere dove stanno. Voglio sapere dove stanno i ragazzi". Un richiamo legittimo, fatto 47 anni dopo che quelli "ragazzi" fossero sequestrati, torturati e scomparso.
Durante il processo, iniziato ad ottobre 2020, hanno deposto davanti al tribunale numerosi testimoni dettagliando che cosa accadde con le oltre 600 vittime che furono rapite nei centri clandestini della provincia di Buenos Aires, tra le quali i giovani studenti di La Plata, mediaticamente conosciuti anche come i prigionieri della "Notte delle Matite”.
Questi sono gli imputati condannati: Federico Antonio Minicucci, Capo di Reggimento di Fanteria Meccanizzata 3 di La Tablada,; Guillermo Domínguez Matheu (Capo di Attività Psicologiche del Distaccamento di Intelligence 101 di L'Argento); Jorge Héctor di Pasquale (Capo della Sezione di Operazioni Speciali del Distaccamento di Intelligence 101 di La Plata); Carlos María Romero Pavón (Capo di Riunione Interna del Distaccamento 101 di La Plata); Roberto Balmaceda (Capo di Controintelligence del Corpo di Attività Speciali del Distaccamento 101 di La Plata); Jaime Lamont Smart, ex ministro di Governo, Juan Miguel Wolk, Capo della Divisione Delitti contro la Proprietà e della Divisione Delitti contro le Persone e della direzione di investigazioni Zona Metropolitana, Jorge Antonio Bergés (medico della polizia); Horacio Luis Castillo (Commissario); e Carlos Gustavo Fontana (unione tra il Distaccamento 101 ed il Battaglione di Intelligence).
Poi ci sono i 25 anni di carcere per Alberto Julio Canditi (integrante del Distaccamento 101 che opportunamente fu estradato dall'Uruguay); mentre Enrique August Barre - numero due nel Pozzo di Banfield - è stato assolto.
Ad eccezione di Di Pasquale (detenuto nell'Unità 34 di Campo di Maggio) tutti i repressori menzionati godono di reclusione ai domiciliari.
Il Tribunale Orale Federale 1, intorno a questi condannati, che non sono stati presenti in aula, ha disposto la realizzazione di studi per determinare se ci sono le condizioni per trasferire i condannati in prigioni statali. La decisione si terrà il 5 Luglio. Nella stessa data la procura deciderà di ricorrere contro l’assoluzione di Enrique Augusto Scopa.
Non c'è tempo limite per fare giustizia, specialmente quando sono delitti di lesa umanità. Ed i repressori, per il solo fatto di sapersi condannati, devono assumere che tutto il peso della legge è caduto sulle loro spalle, facendo frantumi di quell'obbrobriosa impunità, con la quale sono stati beneficati in tutti questi anni.
Ogni testimonianza è stata un contundente colpo a quell'impunità; a quel repressore che qualche volta ebbe l'idea che nessuno gli domanderebbe ragione sui suoi atti; a quell'argentino che non dubitò un istante - abbracciato al potere, e nel suo rispettivo posto nell'apparato repressore - ad essere funzionale ad un piano genocida.
Questo giorno di condanne per i crimini nei centri clandestini della Provincia di Buenos Aires, e per la “Notte delle Matite” riassume - attualmente - che ci sono giudici e magistrati che ancora fanno onore all'onestà nell'esercizio della loro professione e della loro funzione pubblica. Ancora a passo di lumaca, nell'Argentina, i processi giudiziali per farsi giustizia dopo la dittatura, si realizzano, dentro un sistema che per il momento, ancora coi contrattempi generati dalla cultura dell'impunità - rannicchiata ai responsabili del terrorismo di Stato - continua a mantenere incolume e vivo, lo spirito di dare punizione a coloro che fecero parte dell'apparato repressore.
È solo sperare che ci siano più condanne. Condanne ai repressori che stanno magari, in mezzo a noi. Ma al di sopra di essi ci sono occhi attenti che stanno osservandoli. Osservando con pazienza e con la certezza che non ci sarà una pace per bandirla, se non c'è giustizia.
La giustizia che dobbiamo a tutti ed ognuno dei desaparecidos, dell'Argentina, e dell'Uruguay. Perché in entrambi i margini del Río de la Plata, ed al di là delle sue frontiere: in Paraguay, Cile e Brasile, il Piano Condor fece stragi. E molti, in molti modi.
Ora è il tempo di fare giustizia. Immediatamente. Già. Perché è in corso una vera corsa contro il tempo. Lo dubita? Io no.

Foto: per gentile concessione della sottosegretariato di Diritti umani della Provincia di Buenos Aires

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