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Formigoni e il petrolio di Saddam
Il rapporto Usa che nega le armi di distruzione di massa conferma le assegnazioni di greggio a politici di mezzo mondo. Anche al presidente lombardo, che potrebbe aver indcassato da 1 a 10 miliardi di lire
di Gianni Barbacetto - 29 novembre 2004


Spazzatura. Per Roberto Formigoni, presidente della Regione Lombardia, le notizie sulle assegnazioni petrolifere a lui girate dall’Iraq di Saddam Hussein sono, semplicemente, «spazzatura». Così le aveva definite, quando, nel gennaio 2004, quelle notizie erano rimbalzate in Italia dopo essere state diffuse da un quotidiano iracheno. Ma ora sono state riproposte e precisate all’interno di un rapporto ufficiale americano: quello che certifica l’inesistenza delle armi di distruzione di massa, presentato ai primi d’ottobre al Congresso degli Stati Uniti dall’ispettore Charles A. Duelfer, responsabile dell’Iraq Survey Group.

Sono 1.200 pagine, di cui una trentina dedicate agli elenchi di chi avrebbe ottenuto petrolio durante il regime di Saddam. In questi elenchi, ricavati da documenti ufficiali del ministero del Petrolio di Saddam Hussein, compaiono grandi compagnie e piccoli trader petroliferi, ma anche singole persone ed esponenti politici di una cinquantina di Paesi del mondo. Tra questi, Roberto Formigoni, che avrebbe ricevuto da Saddam 24,5 milioni di barili: la più massiccia tra le assegnazioni fatte a soggetti italiani. È una storia di guerra, pace e petrolio che vale la pena di ricostruire.

Tutto nasce con «Oil for food», il programma delle Nazioni Unite varato per addolcire l’embargo all’Iraq voluto dagli Stati Uniti dopo la prima guerra del Golfo. Dal 1996 l’Onu permette al Paese di Saddam di commercializzare quote del suo petrolio, per procurarsi cibo e medicinali. Tutto avrebbe dovuto avvenire nella massima trasparenza e sotto il controllo delle Nazioni Unite, ma così non è stato. L’Onu stabiliva ogni sei mesi le quote di greggio commercializzabile, poi però era di fatto la Somo – l’agenzia petrolifera del regime iracheno – a stabilire a chi concedere le assegnazioni. A grandi compagnie come Agip, Elf, Total. Ai colossi russi e cinesi. Ma spesso erano amici del regime che venivano in questo modo «ringraziati» per la loro vicinanza politica. Il detentore delle assegnazioni, infatti, poteva rivendere i suoi contratti a trader compiacenti e riservati, spuntando di solito robusti margini di guadagno.

Come ti aggiro l’embargo. I conti sono presto fatti. Le assegnazioni irachene erano concesse a prezzi scontati rispetto alla quotazione del «brent» sul mercato petrolifero ufficiale. Secondo un’approfondita inchiesta del Sole 24 Ore e del Financial Times firmata insieme da Claudio Gatti e Mark Turner, lo sconto concesso dalla Somo oscillava dai 2 ai 10 centesimi di dollaro a barile. Dunque 25 milioni di barili (più o meno la quota che sarebbe arrivata a Formigoni) potevano fruttare dai 500 mila ai 5 milioni di dollari (da 1 a 10 miliardi di lire del vecchio conio). In più, il prezzo di vendita poteva crescere anche di molto rispetto al prezzo d’acquisto pagato alla Somo, grazie ai rialzi di mercato nei mesi successivi all’emissione dei contratti. Così il metodo delle assegnazioni finiva per alimentare un flusso finanziario poco trasparente che andava a creare due tipi di fondi neri, fuori dal controllo dell’Onu: il primo andava nelle tasche e nei conti riservati degli «amici dell’Iraq» a cui Saddam faceva arrivare i contratti; il secondo rimpinguava direttamente le casse del regime, che pretendeva una parte dei guadagni. Questi fondi venivano usati per aggirare l’embargo, anche con l’acquisto illegale di armi. Secondo una commissione del Congresso Usa, il regime di Saddam ha accumulato fondi neri per oltre 4 miliardi di dollari.

Tra le imprese che hanno ricevuto assegnazioni petrolifere (per la cifra record di 39 milioni di barili) c’è, del resto, la Italtech, una piccola società a responsabilità limitata con sede a Livorno, fondata da Augusto Giangrandi, italiano emigrato in Cile, amico del dittatore Augusto Pinochet e grande frequentatore dei palazzi di Saddam. L’attività principale di Giangrandi non è certo quella del petroliere: è, semmai, il traffico internazionale d’armi.

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