Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Indice articoli

barbacetto-gianni-web.jpg


di Gianni Barbacetto - gennaio 2009 -
Micromega
Le società offshore, i conti segreti, gli uomini dei Memores Domini, il nucleo d'acciaio di Comunione e Liberazione.
Protagonista Marco Giulio Mazarino De Petro, braccio destro di Roberto Formigoni
 

Sono il nucleo d'acciaio di Comunione e Liberazione: i Memores Domini «seguono una vocazione di dedizione totale a Dio vivendo nel mondo».
S'impegnano alla « contemplazione , intesa come memoria tendenzialmen te continua di Cristo», e alla « missione , cioè alla passione a portare l'annuncio cristiano nella vita di tutti gli uomini». Il fondatore di Cl, don Luigi Giussani, li ha voluti così, impegnati «a seguire una vita di perfezione cristiana» attraverso la pratica dei tre voti: «l' obbedienza , nel senso che lo sforzo spirituale e la vita ascetica sono facilitate e autenticate da una sequela; la povertà , come distacco da un possesso individuale del denaro e delle cose; la verginità , come rinuncia alla famiglia per una dedizione anche formalmente più totale a Cristo». Fanno vita in comune, condividendo appartamenti in cui vivono in gruppi da tre a dodici associati, e sono presenti in 32 paesi del mondo.

Il più noto dei Memores Domini vive in Italia e si chiama Roberto Formigoni: oggi presidente della Regione Lombardia e domani - a Dio piacendo - ministro della Repubblica e candidato alla successione di Silvio Berlusconi. Di Formigoni, Memores Domini e conti all'estero si parla in un processo che sta per arrivare a sentenza a Milano: quello su Oil for food , scandalo scoppiato nel 2004, quando sono emersi i fiumi carsici di tangenti che scorrevano all'ombra di quel programma delle Nazioni Unite nato per addolcire l'embargo all'Iraq di Saddam Hussein permettendo di scambiare oil , cioè petrolio, con cibo e medicine. Un'indagine americana ha certificato che, sotto Oil for food , Saddam assegnava contratti petroliferi a prezzi di favore in cambio di robuste mazzette impiegate per sostenere il regime. Poi, dopo l'invasione Usa, quei soldi sono finiti a finanziare la guerriglia e il terrorismo.

Coinvolti nel gioco, grandi compagnie e piccoli trader petroliferi, ma anche singole persone ed esponenti politici di una cinquantina di Paesi del mondo. Tra questi, Roberto Formigoni che, in nome della sua amicizia con il cristiano Tareq Aziz, braccio destro di Saddam, ha ricevuto contratti per 24,5 milioni di barili: la più massiccia tra le assegnazioni fatte a soggetti italiani. Poiché Formigoni non fa il petroliere, i contratti sono stati gestiti da aziende suggerite dal governatore: la Cogep della famiglia Catanese e la Nrg Oils di Alberto Olivi. Così una piccola impresa come la Cogep si è trovata di colpo a passare dalle autobotti alle petroliere. In cambio, secondo l'accusa, avrebbe pagato tangenti per 942 mila dollari in Iraq e 700 mila a mediatori italiani . La Nrg Oils avrebbe pagato invece almeno 262 mila dollari. Certo, la Cogep era già stata coinvolta nello scandalo dei petroli e i suoi titolari erano già stati condannati nel 1982 per contrabbando internazionale, ma i Catanese sono tra i fondatori della Compagnia delle Opere, l'associazione di imprese promossa da uomini di Cl, e questo è stato sufficiente per meritare la segnalazione di Formigoni a Saddam.

Sul capitolo italiano di Oil for food hanno indagato il sostituto procuratore di Milano Alfredo Robledo e una squadretta di investigatori della Guardia di finanza e dei Carabinieri (Virgilio Pomponi, Domenico Siravo, Antonio Amato, Giovanni Anchora, Giandiego Mercurio, Alfonso Mellone, Antonio Marotta) che hanno avuto elogi ed encomi internazionali per il contributo dato alle indagini su questo scandalo mondiale. Oggi sotto processo a Milano sono solo gli uomini della Cogep e l'intermediario tra Formigoni e gli iracheni, Marco Giulio Mazarino De Petro, mentre a Roma e a Genova saranno giudicati altri due tronconi dell'indagine. Ma questa vicenda, al di là degli aspetti giudiziari, ha sollevato il velo sulle attività finanziarie dei Memores Domini, che pure non sono oggetto di giudizio. Ha svelato il Codice De Petro, mostrando al mondo l'esistenza di società offshore, conti, transazioni, consulenti, mediatori, tutti riconducibili all'associazione dei Memores.

Il Codice De Petro ruota attorno a tre società estere chiamate Candonly e a una misteriosa fondazione di Vaduz di nome Memalfa. Protagonisti del Codice De Petro: Formigoni e i Memores del suo gru ppo, Alberto Perego, Fabrizio Rota, Alberto Villa, Mario Villa, Mario Saporiti. Rota è anche il capo della segreteria di Formigoni in Regione, oltre che ex amministratore della Socomir, una società partecipata dalla Cogep . Perego, commercialista, è stato l'organizzatore e il tesoriere della campagna elettorale di Formigoni. Loro negano tutto , sostengono di non avere nulla a che fare con società offshore e conti esteri. Le indagini di Robledo e della sua squadretta li smentiscono, ricostruendo la vera storia di Candonly e Memalfa.

Preghiere, petrolio ed elicotteri

La prima Candonly nasce nel 1991 a Dublino. «Mandante Sig. Alberto Perego», dice un memo riservato interno della Fidinam, notissima fiduciaria svizzera che lavora anche per Alberto Perego. Che cosa se ne fa Perego di una società irlandese? La usa come un comodo salvadanaio in cui far sparire all'estero i suoi soldini, assistito, appunto, dalla Fidinam. La prosa della Guardia di finanza è più spiccia: «Appare evidente che la Candonly Ltd fosse utilizzata dal Perego per trasferire al di là dei confini nazionali i proventi derivanti dai compensi percepiti per prestazioni professionali rese in Italia».

Nel 1995, una prima svolta: nell'anno in cui Roberto Formigoni viene eletto per la prima volta presidente della Regione Lombardia, a spartire con Perego il controllo di Candonly, 50 per cento a testa, arriva il segretario di Formigoni, Fabrizio Rota; e subito nei conti della società cominciano ad affluire i soldini di un'importante azienda italiana, la Alenia (gruppo Finmeccanica, sistemi radar e armamenti). Tra il 1995 e il 2001 Alenia versa a Candonly 829 mila dollari.

Perché Alenia paga Perego e Rota, cioè gli uomini di Formigoni? Non si sa. Una spiegazione cerca di darla il direttore dell'Alenia Giancarlo Elmi (sotto processo a Roma) che accenna a un "ringraziamento" per un appalto da 20 milioni di dollari nell'Iraq di Saddam Hussein, ottenuto da Alenia grazie a Formigoni. A un certo punto, racconta Elmi, si era messa di mezzo un'azienda francese e l'affare sembrava sfumare, ma «Formigoni intervenne a favore dell'Alenia con una lettera perentoria a Tareq Aziz». L'affare, però, è del 2000, mentre Alenia finanzia Candonly (cioè Formigoni, secondo quanto dice Elmi) fin dal 1995. Comunque l'affare alla fine non si realizza, perché gli americani bloccano tutto. Eppure i soldi restano nella cassaforte degli amici del governatore.

Nel 1997, nuova svolta: Candonly in quell'anno (pur con qualche sospetto di retrodatazione) passa nelle mani di Marco Giulio Mazarino De Petro, ex sindaco democristiano di Chiavari, ma soprattutto amico e consulente di Formigoni. Da quell'anno, parte il business petrolifero: Saddam e Aziz concedono succulenti contratti alla piccola Cogep, che subito "ringrazia" Formigoni versando sui conti della Candonly, dal 1998 al 2003, oltre 700 mila dollari . Come li giustifica De Petro? «Sono il compenso per la mia consulenza». Ma è difficile capire in che cosa sia consistita quella consulenza, visto che De Petro può esibire soltanto una relazione stilata nel 1996, tre paginette dalla sintassi difficile, in cui strologa di un «accordo petroil for food».

La racconta diversamente Fabrizio Loioli, trader internazionale: riferisce che i Catanese, a proposito del carico di petrolio della motonave Arion (2 milioni di barili), gli dissero che «per aver ottenuto questo quantitativo di petrolio, dovevano versare 100 mila dollari a Roberto Formigoni che lo aveva fatto loro ottenere». Somma da versare a «un suo referente». La Arion scarica il suo petrolio nel 2001. Nel 2002 effettivamente alla Candonly arrivano 100 mila dollari.

Intanto la Candonly cambia più volte faccia. Nel 1999, alla ricerca del miglior trattamento fiscale, il gruppo Memores sostituisce la Candonly di Dublino con una più conveniente Candonly basata a Londra. Cambia la scatola, ma non l'attività: continuano ad affluire (su conti Barclays Bank di Londra e Bsi di Zurigo) i soldini di Alenia e della Cogep.

Nel 2001, ecco spuntare la terza Candonly: forse ancora per ragioni fiscali, o per rendere più complicata la tracciabilità delle loro transazioni, i nostri eroi trasferiscono gli affari in Olanda, presso la Candonly Bv. E utilizzano una nuova società, la Karup Investments, basata in Delaware (Usa). La gestione fiduciaria delle società passa da Fidinam ad Arner, altra boutique finanziaria svizzera. E banca di riferimento diventa la Ing Bank di Amsterdam. Arrivano misteriosissimi soldi da Cuba e dall' Angola. E un nuovo business: targato Agusta. L'azienda aeronautica nel 2003 versa a Candonly Bv 50 mila euro. Perché? Ufficialmente sono il pagamento a De Petro per la sua attività di «promozione della Agusta nell'area caraibica». Non si sa che cosa De Petro abbia promosso, né risulta che abbia venduto elicotteri nei Caraibi, si sa però che ha comprato un elicottero Agusta A-109 E Power proprio nel 2003, quando era presidente della Avionord, la minicompagnia aerea della Regione Lombardia.

Che fine fanno i soldi che arrivano da Alenia, Cogep, Agusta, da Cuba e dall'Angola? Una parte va su un conto cifrato presso l'Ubs di Chiasso intestato a De Petro. Una parte arriva a un conto chiamato Paiolo presso la Bsi di Chiasso (lui nega, ma Paiolo, secondo gli investigatori, è di Alberto Perego). Infine, il restante affluisce su un paio di conti correnti della banca Falck & Cie di Lucerna e di Chiasso, intestati alla Fondazione Memalfa. E qui siamo al cuore del Codice De Petro, al sancta sanctorum dei Memores Domini.




Mistero Memalfa

La Fondazione Memalfa nasce nel 1992 a Vaduz, in Liechtenstein, il 15 gennaio, San Paolo Eremita. Scopo sociale: amministrazione di beni mobili e immobili, detenzione di partecipazioni e altri diritti, esecuzione delle transazioni connesse. Beneficiari economici: Alberto Perego e Fabrizio Rota. Fiduciario: Silvio Rossetti, funzionario della Prasidial di Vaduz (fino al 1995) e poi della Fidinam di Zurigo e gestore anche delle Candonly. Spiega Rossetti: «Hanno creato questa fondazione per costituire una riserva di fondi fuori dall'Italia. I soldi della fondazione sono stati investiti in Borsa».

Che si tratti di uno strumento finanziario dei Memores è dimostrato dallo statuto: prevede che alla morte di uno dei due beneficiari il patrimonio venga assegnato interamente all'altro e, alla morte di entrambi, alla Associazione Memores di Massagno. È la filiale svizzera dell'associazione, con sede a Massagno, sobborgo di Lugano, all'indirizzo dove è domiciliato anche il leader di Cl della Svizzera italiana, Claudio Mesoniat, direttore del quotidiano vescovile Il Giornale del Popolo .

Memalfa è il polmone finanziario dei Memores. Sui suoi conti di Lucerna e di Chiasso arrivano i soldi affluiti alla Candonly dai conti Lgt Bank di Vaduz e Beirut Ryad Bank di Londra. In uscita, Memalfa bonifica denaro al conto Paiolo di Chiasso e, dopo il 1997, a un altro conto acceso presso la Bsi di Zurigo. Il beneficiario è sempre lo stesso: Alberto Perego.

Più complicato è stabilire gli impieghi dei soldi che escono da Memalfa e da Paiolo. Nel luglio 1997, 80 milioni di lire passano da Paiolo al conto Dugan, presso la Bsi di Chiasso: è un conto di Marco Barbone, l'ex terrorista che ha ucciso il giornalista Walter Tobagi e che ora fa parte di Cl. Sconosciuti i motivi del finanziamento. Chissà invece se qualche soldino di Memalfa va a finanziare Obelix? Obelix è la barca di 15 metri e due motori da 400 cavalli , ormeggiata nel porto di Lavagna, su cui Formigoni, i suoi amici Memores e De Petro hanno fatto insieme giri e vacanze. Il suo proprietario, Adelio Garavaglia, la vende nel 2002 a un gruppo formato da Oriana Ruozi (la moglie di De Petro), Roberto Formigoni, Fabrizio Rota, Alberto Perego e Alfredo Perico, tutti Memores (tranne De Petro, che è infatti l'unico sposato). Garavaglia incassa 670 milioni di lire, 470 dichiarati e 200 in nero, e racconta che De Petro si era lamentato con lui: «Voleva dichiarare meno».

Obelix

Il pagamento di Obelix è un'avventura. Formigoni versa a Garavaglia 111 mila euro dai suoi conti: 10 mila nel gennaio 2002 con un assegno della Banca Popolare di Sondrio; 51 mila euro nel febbraio 2002 con un bonifico che parte dalla Banque Populaire d'Alsace; e 50 mila euro nel luglio 2002 con un altro assegno della Popolare di Sondrio. Il resto lo paga De Petro un po' alla volta, per lo più in contanti. Garavaglia racconta: ci incontravamo nei fine settimana a Lavagna, nei pressi della mia ex imbarcazione; io chiedevo a De Petro se avesse portato qualcosa per me, e lui tirava fuori dal suo borsello a tracolla mazzette di banconote tenute insieme da un elastico, sempre tra i 10 e i 15 mila euro per volta. In altre occasioni Garavaglia incassava assegni: a volte circolari, a volte intestati a nomi veri (Fabrizio Rota e Alberto Villa, un altro Memores), a volte intestati a nomi falsi (gli inesistenti Carlo Rossi e Giancarlo Rossi), ma con esecutori persone vere, Mario Saporiti e Mauro Villa, anch'essi Memores. Una barca davvero comunitaria, visto che i Memores si affollano a portar soldi per pagarla. Alberto Villa, per esempio, versa 10 mila euro: «Per la mia quota», spiega agli investigatori; ma poi apprende con stupore, durante l'interrogatorio, di essersi sbagliato, perché non risulta tra i proprietari della barca...

In questa storia c'è anche un giallo internazionale con una venatura spionistica: qualcuno, dall'estero, ha spifferato agli indagati i segreti dell'inchiesta. Lo scopre il pm Robledo quando fa perquisire l'ufficio svizzero di Rossetti, il funzionario che lavora per i Memores, e vi trova la copia della rogatoria internazionale che la procura aveva fatto in Liechtenstein. Era stata mandata via fax, nel 2005, allo studio legale milanese Sciumè Zaccheo & associati. L'avvocato Alberto Sciumè è amico, e anche socio, di uno degli indagati: Alberto Perego; e tra quelle carte, Robledo trova allegato anche un biglietto da visita: quello di Mario Brusa, avvocato di Formigoni.

Memalfa, la sofisticata cassa comune offshore dei Memores Domini, è stata chiusa nel 2001. I suoi fondi sono finiti sul conto Paiolo di Perego. Chissà se dopo Mem-alfa, in qualche paradiso fiscale, sono nate Mem-beta, Mem-gamma e così via. Il Codice De Petro resta in gran parte ancora misterioso.

Micromega - gennaio 2009




Formigoni e il petrolio di Saddam
Il rapporto Usa che nega le armi di distruzione di massa conferma le assegnazioni di greggio a politici di mezzo mondo. Anche al presidente lombardo, che potrebbe aver indcassato da 1 a 10 miliardi di lire
di Gianni Barbacetto - 29 novembre 2004


Spazzatura. Per Roberto Formigoni, presidente della Regione Lombardia, le notizie sulle assegnazioni petrolifere a lui girate dall’Iraq di Saddam Hussein sono, semplicemente, «spazzatura». Così le aveva definite, quando, nel gennaio 2004, quelle notizie erano rimbalzate in Italia dopo essere state diffuse da un quotidiano iracheno. Ma ora sono state riproposte e precisate all’interno di un rapporto ufficiale americano: quello che certifica l’inesistenza delle armi di distruzione di massa, presentato ai primi d’ottobre al Congresso degli Stati Uniti dall’ispettore Charles A. Duelfer, responsabile dell’Iraq Survey Group.

Sono 1.200 pagine, di cui una trentina dedicate agli elenchi di chi avrebbe ottenuto petrolio durante il regime di Saddam. In questi elenchi, ricavati da documenti ufficiali del ministero del Petrolio di Saddam Hussein, compaiono grandi compagnie e piccoli trader petroliferi, ma anche singole persone ed esponenti politici di una cinquantina di Paesi del mondo. Tra questi, Roberto Formigoni, che avrebbe ricevuto da Saddam 24,5 milioni di barili: la più massiccia tra le assegnazioni fatte a soggetti italiani. È una storia di guerra, pace e petrolio che vale la pena di ricostruire.

Tutto nasce con «Oil for food», il programma delle Nazioni Unite varato per addolcire l’embargo all’Iraq voluto dagli Stati Uniti dopo la prima guerra del Golfo. Dal 1996 l’Onu permette al Paese di Saddam di commercializzare quote del suo petrolio, per procurarsi cibo e medicinali. Tutto avrebbe dovuto avvenire nella massima trasparenza e sotto il controllo delle Nazioni Unite, ma così non è stato. L’Onu stabiliva ogni sei mesi le quote di greggio commercializzabile, poi però era di fatto la Somo – l’agenzia petrolifera del regime iracheno – a stabilire a chi concedere le assegnazioni. A grandi compagnie come Agip, Elf, Total. Ai colossi russi e cinesi. Ma spesso erano amici del regime che venivano in questo modo «ringraziati» per la loro vicinanza politica. Il detentore delle assegnazioni, infatti, poteva rivendere i suoi contratti a trader compiacenti e riservati, spuntando di solito robusti margini di guadagno.

Come ti aggiro l’embargo. I conti sono presto fatti. Le assegnazioni irachene erano concesse a prezzi scontati rispetto alla quotazione del «brent» sul mercato petrolifero ufficiale. Secondo un’approfondita inchiesta del Sole 24 Ore e del Financial Times firmata insieme da Claudio Gatti e Mark Turner, lo sconto concesso dalla Somo oscillava dai 2 ai 10 centesimi di dollaro a barile. Dunque 25 milioni di barili (più o meno la quota che sarebbe arrivata a Formigoni) potevano fruttare dai 500 mila ai 5 milioni di dollari (da 1 a 10 miliardi di lire del vecchio conio). In più, il prezzo di vendita poteva crescere anche di molto rispetto al prezzo d’acquisto pagato alla Somo, grazie ai rialzi di mercato nei mesi successivi all’emissione dei contratti. Così il metodo delle assegnazioni finiva per alimentare un flusso finanziario poco trasparente che andava a creare due tipi di fondi neri, fuori dal controllo dell’Onu: il primo andava nelle tasche e nei conti riservati degli «amici dell’Iraq» a cui Saddam faceva arrivare i contratti; il secondo rimpinguava direttamente le casse del regime, che pretendeva una parte dei guadagni. Questi fondi venivano usati per aggirare l’embargo, anche con l’acquisto illegale di armi. Secondo una commissione del Congresso Usa, il regime di Saddam ha accumulato fondi neri per oltre 4 miliardi di dollari.

Tra le imprese che hanno ricevuto assegnazioni petrolifere (per la cifra record di 39 milioni di barili) c’è, del resto, la Italtech, una piccola società a responsabilità limitata con sede a Livorno, fondata da Augusto Giangrandi, italiano emigrato in Cile, amico del dittatore Augusto Pinochet e grande frequentatore dei palazzi di Saddam. L’attività principale di Giangrandi non è certo quella del petroliere: è, semmai, il traffico internazionale d’armi.




Il «vecchio amico» Tareq Aziz. Era Tareq Aziz, secondo l’inchiesta Sole-Financial Times, a gestire o comunque coordinare le assegnazioni petrolifere agli «amici» stranieri. L’ex vice-primo ministro e ministro degli Esteri di Saddam, cattolico, aveva certamente buoni rapporti con Formigoni, che negli anni dell’embargo ha calorosamente sostenuto la causa irachena, anche recandosi personalmente a Baghdad. Quando poi Tareq Aziz, nell’estremo tentativo di fermare l’attacco americano, fece l’ultimo viaggio in Italia, il 12 febbraio 2003, Formigoni fu il primo personaggio pubblico che incontrò: appena atterrato all’aeroporto di Roma, Aziz, saltato ogni cerimoniale, si diresse infatti verso un ristorante tranquillo sul litorale di Ostia, dove lo aspettava Formigoni.

Poi l’incontro ufficiale avvenne negli uffici di via del Gesù, dove la Regione Lombardia ha la sede della sua delegazione nella capitale. «My old friend», mio vecchio amico: così Tareq si rivolse al presidente lombardo, secondo le cronache dell’Ansa. Toccò infine alla scrupolosa direzione del Tg1 «ripulire» le immagini dell’incontro: nel servizio andato in onda alle 20 (lo ricorda anche l’ultimo libro di Peter Gomez e Marco Travaglio, Regime), si vede Aziz, si vede Formigoni, ma sono censurate tutte le inquadrature in cui i due sono insieme, e specialmente quella della calorosa stretta di mano. Alla vigilia di una guerra ormai imminente, meglio non far passare immagini di contatti con il «nemico».

Negli elenchi pubblicati dal rapporto Duelfer, Formigoni è associato a Cogep. Di che cosa si tratta? Di una piccola società a responsabilità limitata, la Costieri Genovesi Petroliferi, di proprietà della famiglia di Natalio Catanese. Raggiunto al telefono da Diario, Catanese si è rifiutato di rispondere a qualsiasi domanda su Formigoni e sul petrolio iracheno. L’ipotesi che trapela dal rapporto americano è comunque che Formigoni abbia avuto le assegnazioni petrolifere e poi abbia girato i contratti alla Cogep, che avrebbe provveduto a compiere materialmente le operazioni di commercializzazione del greggio.

È davvero andata così? E ci sono poi stati finanziamenti della Cogep al presidente lombardo? Per Catanese è un secco «no comment». Per Formigoni è solo «spazzatura». In mancanza di conferme dirette, si può solo cercare di capire come funzionava il meccanismo in generale. Diario lo ha verificato sentendo come si sono comportati altri due personaggi presenti, con Formigoni, nell’elenco delle assegnazioni. Sono Gian Guido Folloni e Tusio De Iuliis.

Le prime conferme. Folloni è un ex senatore democristiano, fu ministro per i Rapporti con il Parlamento durante il governo di Massimo D’Alema e oggi è membro del dipartimento Esteri della Margherita. Aveva creato, negli anni dell’embargo, un’associazione Italia-Iraq a cui avevano aderito parlamentari di entrambi gli schieramenti. Conferma a Diario di aver avuto contatti diretti con le autorità irachene. «Abbiamo segnalato, in qualche caso, gruppi d’imprese vicine alla nostra associazione, comprese alcune che operavano in campo petrolifero».

Nel rapporto Duelfer, accanto a Folloni, che avrebbe ottenuto assegnazioni per 6,5 milioni di barili, compare anche la sigla Ips: dovrebbe trattarsi dell’azienda di Salvatore Nicotra, commerciante siciliano diventato tanto amico del regime iracheno da finanziare la costruzione di un teatro all’aperto per i ragazzi della scuola Don Bosco a Santa Maria di Licodia, un paesino in provincia di Catania. Nome ufficiale: «L’anfiteatro dei bambini di Saddam Hussein».

«Sì», ammette Folloni, «abbiamo segnalato anche Nicotra. Poi le imprese che noi segnalavamo sostenevano finanziariamente l’associazione. Con quel sostegno, abbiamo organizzato, negli anni durissimi dell’embargo, cinque voli umanitari a Baghdad, portando soprattutto medicinali».

Tusio De Iuliis è invece un abruzzese di Pescara che ha fondato l’associazione «Aiutiamoli a vivere». È di casa a Baghdad, dove si è recato più volte sia prima, sia dopo l’invasione americana. È stato lui a organizzare, poco prima dell’inizio della guerra, il viaggio in Iraq a cui ha partecipato anche la rockstar italiana Gianna Nannini. Negli elenchi americani non compare De Iuliis, ma un certo Tuzio Bolis.

De Iuliis conferma però a Diario il suo coinvolgimento nella vicenda: «Mi riempie d’onore e d’orgoglio il fatto di avere avuto delle assegnazioni. Le ho avute, certo: non dal governo iracheno, ma dall’associazione Friendship, Solidariety and Peace for Iraq. E naturalmente non mi sono messo in tasca neanche una lira. Le assegnazioni erano il riconoscimento per le azioni umanitarie e le almeno 15 missioni a Baghdad realizzate dalla mia associazione. Mi avevano comunicato l’assegnazione di 1 milione e mezzo di barili. Io non so niente di petrolio, si figuri che volevo donarlo al governo cubano. Poi mi sono fatto consigliare come fare: l’ambasciata irachena in Italia mi ha suggerito il nome di Salvatore Nicotra. Alla fine, comunque, non se n’è fatto niente, perché è scattata l’invasione americana».

Nega tutto, invece, l’altro nome che compare nel capitolo italiano del rapporto: padre Jean-Marie Benjamin, il sacerdote-musicista protagonista di battaglie contro l’embargo, che secondo il rapporto Duelfer avrebbe ricevuto 4,5 milioni di barili. È padre Benjamin ad accogliere Tareq Aziz all’aeroporto di Roma, nel febbraio 2003, e a raccontare del suo incontro riservato con Formigoni. Poi, nel pomeriggio di quello stesso giorno, Aziz incontra Folloni. In poche ore, tutta la lista italiana del rapporto Duelfer.

Diario, 29 novembre 2004

Tratto da:
societacivile.it

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos