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Guterres “preoccupato”. Dall’Italia un appello firmato da professori universitari per il “cessate il fuoco”

L’assedio israeliano nella Striscia di Gaza continua e con esso gli attacchi dell’esercito israeliano nel sud del Libano. Nello specifico, la divisione 162 delle forze di difesa israeliane (Idf) - entrata a Gaza da nord - ha completato la cattura del campo di Al Shati e presto si ricongiungerà con la divisione 36 che è entrata nella Striscia da est, raggiungendo la costa. Secondo quanto riferiscono le Idf, Al Shati era una delle principali roccaforti del gruppo armato palestinese Hamas. "All'interno del campo ci sono molte infrastrutture nemiche e molte forze di Hamas erano concentrate lì, compreso il battaglione Al Shati, che ha avuto un ruolo centrale negli (attacchi) del 7 ottobre", dicono le Idf. Oggi ci sono stati almeno quattro scontri con i miliziani di Hamas ad Al Shati. Secondo l’esercito israeliano, quasi tutte le altre case del campo erano dotate di trappole esplosive. Stando alle stime, circa 150/200 mila palestinesi sarebbero fuggiti dal campo quando le truppe israeliane sono entrate. Le truppe della divisione hanno combattuto circa 200 miliziani di Hamas ad Al Shati. Nell'operazione sarebbero stati completamente smantellati i sistemi di comando e controllo di Hamas. La divisione 162 sta ora lavorando per ripulire metodicamente l'area di Al Shati da qualsiasi infrastruttura di Hamas, compresi tunnel e depositi di armi. Nel corso delle altre operazioni effettuate nel nord di Gaza, le Idf hanno distrutto 160 tunnel, colpito circa 2.800 siti di Hamas e ucciso circa mille terroristi e alti comandanti.

L’Egitto offre ulteriori aiuti umanitari
Intanto, oggi l’Egitto ha detto che fornirà ulteriori scorte di vari prodotti alimentari per un valore di 650 tonnellate al "fraterno popolo palestinese nella Striscia di Gaza, nel quadro del ruolo continuativo dell'Egitto nel sostenere i fratelli di Gaza a tutti i livelli". Così il presidente Abdel Fattah al-Sisi durante un incontro con il premier Mostafa Madbouly, primo ministro, e Ali Al-Moselhy, ministro degli approvvigionamenti e del commercio interno. Il portavoce ufficiale della presidenza della Repubblica, consigliere Ahmed Fahmy, ha dichiarato sulla sua pagina Facebook che il presidente è stato informato durante la riunione "sugli intensi sforzi compiuti dal governo per fornire beni di prima necessità ai cittadini e per garantire che la disponibilità dei beni non sia compromessa dalla crisi internazionale". Durante l'incontro si è parlato anche della sicurezza alimentare interna. Il governo egiziano intende a questo proposito proseguire l'attuazione del progetto per creare negozi e magazzini strategici e per completare il piano nazionale dei silos, che garantiscano scorte sufficienti di beni di prima necessità e prodotti alimentari durante tutto l'anno. Il presidente ha poi ordinato di garantire un'adeguata riserva di beni con l'avvicinarsi del mese sacro del Ramadan, "in modo da soddisfare tutte le esigenze del popolo egiziano", ha aggiunto il portavoce di al-Sisi. Intanto, finora un totale di 161 camion carichi di aiuti umanitari è entrato nella Striscia di Gaza attraverso il valico di Rafah al confine con l'Egitto. Secondo il quotidiano egiziano "Youm7", circa 600 persone con doppia cittadinanza sono entrate in Egitto attraverso il valico.


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Cresce il peso della guerra. Guterres preoccupato
E mentre le preoccupazioni del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, aumentano, di pari passo si aggrava anche il bollettino delle vittime del genocidio israeliano. “Sono profondamente preoccupato per l'orribile situazione e la pesante perdita di vite umane in diversi ospedali di Gaza”, ha dichiarato il suo portavoce. "In nome dell'umanità, il segretario generale chiede un immediato cessate-il-fuoco umanitario", ha aggiunto Stephane Dujarric. Intanto continua a salire il bilancio dei morti durante la guerra, con altri due militari israeliani uccisi durante i combattimenti con Hamas. Da parte palestinese, sono 11.451 le vittime dei bombardamenti nella Striscia di Gaza e dell’assedio in Cisgiordania dall'inizio delle operazioni di Israele. Secondo il ministero della Salute palestinese, i feriti sono 31.700. Il ministero ha precisato che per il terzo giorno consecutivo si trova in difficoltà nell'aggiornare i dati sulle vittime a causa del collasso dei servizi e delle comunicazioni negli ospedali del nord di Gaza. Secondo il ministero, nella Striscia di Gaza sono state uccise 11.255 persone, tra cui 4.630 bambini, 3.130 donne e 682 anziani, mentre 29 mila sono rimasti feriti, 3.250 sono dispersi e ritenuti morti sotto le macerie, tra cui 1.700 bambini. In Cisgiordania sono stati registrati 196 morti e 2.700 feriti.

La Turchia intenta una causa per “genocidio” contro Netanyahu
Nello scacchiere geopolitico si è fatta sentire ancora una volta la Turchia. Ankara ha intentato una causa contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu presso la Corte Penale Internazionale (Cpi), accusandolo di aver commesso un "genocidio" nella Striscia di Gaza. Lo hanno dichiarato gli avvocati del Partito Giustizia e Sviluppo, al potere. Il 4 novembre, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato che il Paese stava lavorando per dichiarare Israele "criminale di guerra" e che la Turchia non considerava più come suo "interlocutore" Netanyahu. Il capo dell'Organizzazione nazionale turca di intelligence, Ibrahim Kalin, ha tuttavia mantenuto i contatti con Israele. "Oggi... abbiamo depositato una causa presso la Corte penale internazionale dell'Aja contro l'Hitler del XXI secolo, il primo ministro israeliano Netanyahu, che deve essere processato per il genocidio che ha commesso nella Striscia di Gaza e per tutti i crimini contro l'umanità", ha dichiarato l'avvocato Metin Kulunk su X. Kulunk ha pubblicato la prima delle 23 pagine della causa e ha chiarito di aver presentato la causa insieme ad altri due avvocati per il tramite del ministero della Giustizia turco, che invierà il documento alla Cpi.


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Benjamin Netanyahu © Imagoeconomica


In Italia firmato un appello da professori universitari
In Italia, circa 120 docenti, studiosi e ricercatori dell'Università La Sapienza di Roma hanno preso carta e penna per scrivere un lungo appello a difesa della Palestina e contro la narrazione attuale che definiscono "priva di profondità, sorda al dolore e alla sofferenza che da più di un secolo attraversano la Palestina". L'appello si unisce a quelli lanciati in questi giorni da 150 docenti dell'Università di Bologna e da alcune migliaia di docenti e studiosi di tutta Italia, e chiede: l'impegno della comunità accademica e dell'Università La Sapienza, in tutte le sedi opportune, per l'immediato cessate il fuoco e il rispetto delle risoluzioni dell'Onu (compresa quella adottata a maggioranza, con l'astensione dell'Italia, lo scorso 27 ottobre); la garanzia della libertà di parola e del diritto di docenti, studenti e studentesse al dibattito, dentro e fuori l'università, la promozione nell'ateneo di spazi di riflessione critica, fondata su una lettura profonda, articolata e puntuale della storia; l'adozione da parte del Senato Accademico di una risoluzione di solidarietà nei confronti della popolazione di Gaza e di tutte le vittime civili del conflitto; l'apertura di una discussione pubblica all'interno dell'ateneo per la cooperazione con le università palestinesi e per il disinvestimento da società che finanziano l'occupazione illegale di territori da parte di Israele". "Lo stato di Israele - si legge nel documento -, da 75 anni e poi dal 1967, occupa abusivamente territori che nel disegno originario non gli erano stati attribuiti, insediandovi progressivamente nuovi quartieri residenziali, sulla base di un preteso diritto storico originario degli ebrei su quella terra. Dopo il 7 ottobre le violenze dei coloni israeliani si sono intensificate anche sulla popolazione araba in Cisgiordania. La strategia della diffusione capillare nel tempo di questi insediamenti su tutti i territori palestinesi sta rendendo inattuabile la soluzione della convivenza di due stati, soluzione ancora completamente auspicabile - forse l'unica che può portare la pace in quella regione e l'unica che può garantire la sicurezza anche di Israele - che tutti continuano però ad evocare genericamente per fingere di non ammettere quello che di fatto sta avvenendo: l'annessione totale di quelle terre da parte dello Stato di Israele, la sottomissione finale della popolazione palestinese sotto il governo di Tel Aviv, esito possibile di questa guerra. Nei confronti dei Territori Palestinesi occupati, lo stato di Israele si comporta da decenni come un paese coloniale, usando comportamenti quotidiani palesemente razzisti nei confronti della popolazione palestinese, disponendo liberamente del loro spazio e delle loro vite".

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