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È "fondamentale non indebolire la legislazione relativa ai collaboratori, anzi lavorare per mantenerla efficiente, nell'ambito di un contrasto alla mafia che non deve ammettere sconti sapendo però valorizzare i contributi di chi compie un reale percorso di pentimento". Così il procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli (titolare assieme al collega Luca Turco dell'indagine sui mandanti esterni delle stragi del '92-'93) in un'intervista al Corriere della Sera espone il punto cardine del suo ultimo libro "Pentiti. Storia, importanza e insidie del fenomeno dei collaboratori di giustizia (Rubbettino)".
Il perno di tutto è la collaborazione con la giustizia: lasciare l'organizzazione criminale di appartenenza per affidarsi allo Stato, racontando all'autorità giudiziaria tutto quello di cui si è a conoscenza.
"L'accesso alla collaborazione - ha detto il magistrato - viene incentivato, in maniera consistente da un lato dal regime differenziale esistente tra chi collabora e chi è irriducibile e dall'altro lato dall'efficienza del sistema della protezione, che rivela la serietà dell'impegno dello Stato".
Tuttavia va ricordato che "dopo la modifica della legge sull'ergastolo ostativo anche i boss 'irriducibili' (cioè coloro che non si sono pentiti e che sanno le verità indicibili dietro le stragi del '92 e del '93) potranno ottenere benefici anche senza collaborare con la giustizia. Una modifica che di fatto assottiglia la differenza di trattamento tra chi collabora con lo Stato e chi sceglie il silenzio, negando il diritto alla verità alle vittime".


pentiti tescaroli

Inoltre si indigna anche la memoria "al sangue versato da molti esponenti delle istituzioni e, soprattutto, da magistrati, le uccisioni di chi ha rotto il silenzio e ha eroso il muro dell'omertà e le numerose vendette trasversali nei confronti dei suoi cari".
Sono tanti "i casi di collaboratori che hanno pagato con la morte. Da Claudio Sicilia, esponente della Magliana, assassinato nel 1991 a Orazio Pino, della cosca Pulvirenti, ucciso nel 2019 a Chiavari. E come non ricordare il piccolo Giuseppe Di Matteo, 11 anni, ucciso sciolto nell'acido?".
Come scrive Tescaroli, "chi intraprende la via della collaborazione, per le cosche diventa un 'uomo morto' e non è il solo: rischiano i suoi cari, la famiglia, gli amici più vicini".
Il caso di Leonardo Vitale è emblematico in quanto è considerato il primo grande collaboratore di giustizia. Iniziò a fornire informazioni alle autorità il 29 marzo 1973 e purtroppo morì il 7 dicembre 1984. Anche Giuseppe Di Cristina assunse il ruolo di informatore per i carabinieri e subì un tragico destino il 30 maggio 1978. Tommaso Buscetta, che iniziò a cooperare con la giustizia nel luglio 1984, ha subito la perdita di due figli, i quali non erano neppure affiliati alla criminalità organizzata. Salvatore Contorno, che ha miracolosamente evitato vari attentati, ha visto la morte di circa venti tra parenti e amici. Anche Francesco Marino ha affrontato una situazione simile, con la perdita di madre, sorella, zii, fratello e cugino.
La parte finale del libro, invece, è dedicata alle pronunce della Corte costituzionale tra il 2019 e il 2021, e alla recente modifica della norma sui reati ostativi ai benefici carcerari.

Foto © Imagoeconomica

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