La norma che vieta di liberarli se non collaborano con la giustizia va riscritta. Al Parlamento un anno di tempo per intervenire
E' accaduto davvero. Non si è ancora arrivati al “liberi tutti”, ma è chiaro che da oggi i boss mafiosi, anche gli irriducibili, possono sperare davvero di vedere esauditi quegli “intimi desideri” che portarono alle stragi degli anni Novanta. La disciplina dell'ergastolo ostativo, espressa nell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario in cui si vieta di liberare i boss stragisti condannati all'ergastolo, se non collaborano con la giustizia, "è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo". Ad esprimersi così è la Corte Costituzionale che oggi, in camera di consiglio, ha esaminato le questioni di legittimità sollevate dalla Cassazione sul regime applicabile ai condannati alla pena dell'ergastolo per reati di mafia e di contesto mafioso che non abbiano collaborato con la giustizia e che chiedano l'accesso alla liberazione condizionale. I giudici, infatti, hanno rilevato che la "vigente disciplina del cosiddetto ergastolo ostativo preclude in modo assoluto, a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia, la possibilità di accedere al procedimento per chiedere la liberazione condizionale, anche quando il suo ravvedimento risulti sicuro". Tuttavia la Consulta si rende conto che “l’accoglimento immediato delle questioni rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata” pertanto ha concesso al Parlamento un anno di tempo, fino al maggio 2022, per modificare la norma.
L'unica via, forse, per evitare di spazzare via l'intero sistema della legislazione antimafia (cosa che sarebbe avvenuto se fosse stata immediatamente dichiarata l’incostituzionalità) ed evitare che boss di primo piano come i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, Leoluca Bagarella, i Biondino, i Madonia, gli 'ndranghetisti, i camorristi e così via, possano tornare in libertà.
Un comunicato per spiegare
Tanto era delicato il tema, con familiari vittime di mafie e società civile già da tempo in allarme, che la Consulta ha deciso di diffondere un comunicato stampa in attesa che, nelle prossime settimane, venga depositata l’ordinanza.
“La Corte costituzionale, riunita oggi in camera di consiglio, ha esaminato le questioni di legittimità sollevate dalla Corte di cassazione sul regime applicabile ai condannati alla pena dell’ergastolo per reati di mafia e di contesto mafioso che non abbiano collaborato con la giustizia e che chiedano l’accesso alla liberazione condizionale - si legge nella nota, - La Consulta ha anzitutto rilevato che la vigente disciplina del cosiddetto ergastolo ostativo preclude in modo assoluto, a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia, la possibilità di accedere al procedimento per chiedere la liberazione condizionale, anche quando il suo ravvedimento risulti sicuro”. Dunque secondo i giudici “tale disciplina ostativa, facendo della collaborazione l’unico modo per il condannato di recuperare la libertà, è in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.
Nei fatti, dunque, è chiaro che i giudici hanno decretato l’incostituzionalità della legge che vieta ai condannati all’ergastolo ostativo la liberazione condizionale, a patto che siano trascorsi 26 anni di detenzione, se non collaborano con la magistratura.
Dove è la politica?
La palla adesso passa totalmente alla politica. Infatti, la Consulta ha stabilito di “rinviare la trattazione delle questioni a maggio 2022, per consentire al legislatore gli interventi che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi”.
Fortuna la “lungimiranza” della Corte Costituzionale, verrebbe da dire.
Fosse stato per la linea politica di governo, infatti, forse oggi saremmo davanti ad una catastrofe con i giudici dei tribunali di sorveglianza sottoposti ad immani pressioni.
Lo scorso 23 marzo, infatti, l'Avvocatura dello Stato, che in un primo momento aveva chiesto di considerare inammissibile la richiesta della Cassazione, cioè quella di dichiarare incostituzionale la norma che vieta ai condannati al fine pena mai per fatti di mafia e terrorismo di accedere alla liberazione condizionale se non collaborano con la magistratura, aveva cambiato linea.
Durante l’udienza pubblica, l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia, anziché difendere i principi dell'articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario e il decreto legge 306 del 1992 (ispirato da Giovanni Falcone), aveva invitato la Consulta ad emettere una sentenza interpretativa di rigetto, in cui si riconosce al giudice di sorveglianza il potere di valutare a sua discrezione ogni caso.
Ciò che sta avvenendo quindi è una “manna dal cielo”: l’ennesimo segnale grave e preoccupante di un governo che sulla lotta alla mafia resta nei fatti silente.
Cosa è stato fatto in questi anni da quando la Cedu per la prima volta si era espressa su ergastolo ostativo e 41 bis? Come, la politica ha pensato di intervenire a difesa di principi fondamentali per la lotta di contrasto alle mafie?
Domande legittime e lecite perché tutto si può dire tranne che la decisione odierna sia giunta come un fulmine a ciel sereno.
Ed è chiaro che se non ci sarà un intervento perentorio e forte con questa situazione si rischierà, da una parte di vedere pericolosi boss rafforzare il proprio ruolo di comando all’interno delle organizzazioni mafiose, e dall’altra di avere sempre meno collaboratori di giustizia.
Retrocedere su questi punti è uno schiaffo a chi ha sacrificato la propria vita e anche ai risultati che fin qui si sono ottenuti.
L'attesa dei boss
Sicuramente attenderà di leggere le motivazioni dei giudici Salvatore Francesco Pezzino, mafioso di Partinico, che aveva chiesto nel 2018 al Tribunale di sorveglianza de L’Aquila il riconoscimento della libertà condizionale. Assieme a lui, però, attendono anche altri 1.271 detenuti che stanno scontando la condanna al “fine pena mai”. Le mafie vivono di segnali e quelli giunti negli ultimi mesi sono devastanti.
Nei mesi scorsi il fratello, Filippo Graviano, ha affermato ai magistrati di Firenze di essersi dissociato ed al contempo ha chiesto proprio di poter accedere ad un permesso premio.
E il fratello, Giuseppe Graviano, al processo 'Ndrangheta stragista aveva affermato: "Io non ho fatto né trattative né patti. Ho avanzato le mie lamentele per il carcere nei confronti di tutti i politici. Alcuni politici più garantisti, a loro dire. Invece di mantenere gli impegni presi con mio nonno hanno fatto leggi ingiuste, vergognose e incostituzionali. Tanto è vero che l'Italia non fa altro che prendere sempre multe dalla Corte europea per i diritti dell'uomo. Il 41 bis? E' normale che stiamo male al 41 bis ma io non piango e non faccio la vittima. Io lotto per quello che mi permette la legge. Sul 41 bis, sul 4-bis, o l'ergastolo io cerco di infilarmi sulla mia condizione con chiunque, di sinistra o di destra, che possa portare a compimento questa situazione".
Ed è lecito chiedersi se sia un caso che tutto ciò stia avvenendo ora. Se la politica non agirà in maniera pronta, è tempo che la società civile torni a farsi sentire.
Perché l'emergenza mafia non è affatto finita nel nostro Paese, il Sistema criminale è forte e florido e le stragi sono tutt'altro che un lontano ricordo.
Foto © Imagoeconomica
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