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Senza il contributo dei collaboratori di giustizia oggi non sapremmo molte cose di Cosa nostra, 'Ndrangheta e Camorra. Sapremo poco sulle stragi ed i delitti commessi, sugli affari, gli interessi ed i rapporti con politica ed economia. In occasione del trentennale dell'attentato del 23 maggio 1992, in cui sono morti Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, è necessario che gli 'uomini d'onore' percepiscano che "la spinta investigativa proiettata a ricercare la verità non si è arenata", che "lo Stato nel suo insieme considera di fondamentale importanza la collaborazione con la giustizia" e che non si "intenda smantellare gli strumenti esistenti" per il contrasto alle organizzazioni mafiose "ma potenziarli".

Così il Procuratore Aggiunto di Firenze Luca Tescaroli ha scritto sul 'Il Fatto Quotidiano', sottolineando ancora una volta il ruolo fondamentale dei collaboratori di giustizia come elementi fondamentali nell'accertamento della verità giudiziaria.
Il magistrato ha scritto che è importante "rendere più vantaggiosa" la rinuncia a far parte di un sodalizio mafioso "rispetto alla militanza". In che modo? "Potenziando l’efficienza del servizio di protezione, rendendo concreto il reinserimento sociale con la possibilità per il collaboratore di intraprendere un lavoro onesto, rimodulando la normativa in modo che preveda tangibili vantaggi per chi si affida con serietà allo Stato".

Purtroppo dal 2008, ha ricordato Tescaroli, le collaborazioni "qualitativamente significative in seno a Cosa Nostra si sono inaridite e nessuno dei condannati per l’eccidio ha trovato conveniente la collaborazione, preferendo morire in carcere o sperare nell’ottenimento dei benefici (permessi premio, liberazione condizionale), divenuti di recente possibili a seguito degli interventi della Corte costituzionale".
Ciò rappresenta certamente una grave perdita nella ricerca della verità sulle stragi.
Basti pensare ai frutti che hanno portato le dichiarazioni di alcuni uomini 'd'onore' come Salvatore Cancemi, Giovanni Brusca, Antonino Giuffré, Calogero Ganci, Antonino Galliano, Mario Santo Di Matteo, Gioacchino La Barbera e Giovan Battista Ferrante.

Persino Cosa Nostra vedendo l'emorragia interna all'organizzazione aveva cercato di contrastare chi si stava avvicinando alla collaborazione. Ad esempio "ponendo in essere un’ignobile attività ricattatoria nei confronti di Di Matteo consistente nel sequestro del di lui figlio undicenne Giuseppe, poi culminata nel suo assassinio, volta a indurlo a ritrattare le accuse lanciate".
Il promotore e l’organizzatore di tale forma di micidiale pressione è stato Brusca, unitamente a Giuseppe Graviano, e un ruolo nell’esecuzione del delitto è stato svolto, tra gli altri, da Leoluca Bagarella e Giuseppe Agrigento, tutti coinvolti nella strage di Capaci. Il padre di La Barbera, Domenico, veniva indotto a impiccarsi da sicari inviati da Brusca".

"Ben presto i mafiosi si resero” conto che “l’emorragia era divenuta inarrestabile quando divenne di dominio pubblico la collaborazione di Gangi, che iniziò nel 1996, producendo un trascinamento significativo nei confronti di altri importanti uomini 'd’onore', al punto che taluni, e io fra questi, cominciarono a pensare che il secolare contrasto a Cosa Nostra potesse avere una fine. Gli esponenti del sodalizio  - si legge su il 'Fatto' - capirono che il processo nei confronti di mandanti ed esecutori dell’eccidio di Capaci era ormai segnato, che lo Stato era in grado di proteggere gli uomini 'd’onore' che avevano deciso di abbandonare l’organizzazione e che quella strage poteva rappresentare l’inizio della fine".

Purtroppo a trent'anni da quella strage l'accertamento pieno della verità ancora non è stato posto in essere.
È doveroso ricordare tuttavia che l'azione repressiva dello Stato ha consentito di catturare e processare molti elementi di Cosa Nostra: "39 appartenenti" sono stati "progressivamente catturati, dal 1993 al 2002, e sottoposti al regime del 41 bis, processati nel pieno rispetto delle garanzie, condannati con sentenze definitive e i loro beni confiscati", ha ricordato Tescaroli.

Inoltre "dopo i verdetti definitivi del 2002 e del 2008, è seguito un altro processo nei confronti di otto imputati: alcuni uomini ‘d’onore’ (tra cui Salvatore Madonia) e altri soggetti vicini all’organizzazione. Quattro pronunce di condanna sono divenute definitive. Anche il secondo processo ha trovato nella collaborazione di Gaspare Spatuzza (che all’epoca dell’eccidio non era in Cosa Nostra) l’elemento trainante, a cui seguì quella di Cosimo D’Amato. Da ultimo, si è celebrato il processo nei confronti di Matteo Messina Denaro, condannato in primo grado e ancora latitante, nonostante siano trascorsi trent’anni dalla strage".

Strage di cui non è più possibile affermare che sia stata frutto della sola mente perversa di Totò Riina e dei suoi sodali. Non è più ammissibile affermare che dietro a quelle stragi vi fosse solo l'interesse di Cosa nostra.
Le prove acquisite, i processi, le inchieste, le testimonianze, i frammenti di verità fin qui ottenuti grazie all'impegno di abili ed indomiti magistrati ed investigatori che hanno raccolto il loro testimone nella lotta al Sistema criminale, fanno emergere in maniera chiara ed evidente che vi furono mandanti esterni dietro le stragi.

Fonte: ilfattoquotidiano.it

Foto © Paolo Bassani

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