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Ci avviciniamo al 23 Maggio, giorno di Capaci, giorno di Giovanni Falcone, di Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani; giorno della strage che sconvolse gli italiani, finiti così sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Sarà il 29esimo anniversario. E questo - con ogni probabilità - sarà anniversario differente dagli altri.
Vedremo gli ergastolani in festa, tornare a far festa.
Vedremo i boss, acciaccati dagli anni e dal carcere duro, tornare a godersi le ultime settimane di primavera.
Vedremo i killer, gli stragisti, i boss, i soldati, i fiancheggiatori di Cosa Nostra che rilasceranno interviste nei talk show, ai quotidiani, a grande e piccola tiratura garantista.
Vedremo anche - appena finirà l’emergenza sanitaria - i quartieri e le borgate di Palermo e i paesi di mezza Sicilia, tornare a far festa, ad accogliere gli stragisti di Capaci, e non solo loro.
Vedremo, insomma, il Grande Delitto ripulito, come per incanto, dal Grande Condono.
Fra qualche giorno, dopo Pasqua prevedono gli organi di informazione, la Consulta deciderà infatti, una volta per tutte, su quel carcere ostativo che alla buonanima di Totò Riina andava di traverso, ritenendola, lui che di diritto garantista era il vessillifero mafioso per eccellenza, norma che avesse bisogno di un "ritocchino".

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L’avvocatura dello Stato, il governo, in altre parole, ha disegnato l’autostrada sognata per anni da Cosa Nostra. Peccato che il povero Riina non abbia fatto in tempo a sentire la musica suonata dall’ Avvocatura dello Stato, che sarebbe stata autentica musica per le sue orecchie.
E per scrivere questo spartito, l’Avvocatura ha dovuto ricorrere a queste parole: “Il giudice di sorveglianza deve verificare in concreto quali sono le ragioni che non consentono di realizzare quella condotta collaborativa nei termini auspicati dallo stesso giudice”. E qui, quando si parla dello “stesso giudice”, ci si riferisce al giudice in generale.
Che però, se andiamo a ben vedere, quel giudice non era altro che Giovanni Falcone, che sino alla fine dei suoi giorni si batté proprio per quel carcere duro, oggi chiamato “ostativo”, che impedisse a assassini e stragisti mafiosi di tornare un giorno a delinquere. E che venne adottato, non dimentichiamolo mai, a Falcone già morto.
Oggi, per l’Avvocatura dello Stato, la collaborazione, intesa come forma di ravvedimento e socializzazione con le forze dell’ordine delle informazioni di cui dispone il detenuto per mafia, è diventata un orpello secondario. Se ne può fare a meno.
Certo.
Si coglie una punta di imbarazzo, da parte dell’avvocatura e dell’attuale ministro della giustizia, Marta Cartabia (che, da vice presidente della Consulta, appena qualche mese fa, aveva già aperto alla possibilità per gli ergastolani mafiosi di accedere a permessi premio), laddove si scarica sul giudice di sorveglianza il fardello della riapertura della cella. Perché solo di questo si tratta. Di nient'altro.
In questi giorni, avevamo preferito non scrivere sull’argomento. Volevamo vedere come andava a finire.
Quali campagne avrebbero imbastito sull’argomento giornali e tv.
Che peso, che centralità avrebbe avuto la questione dell’ergastolo ai mafiosi, nell’agenda di governo, nell’agenda della politica.

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Poche voci isolate, da Salvatore Borsellino a Nino Di Matteo a Maria Falcone, qualche parlamentare e pochi altri. E non se ne parla più.
Tutto è possibile, anche che fra qualche giorno la Consulta non si presti a varare l’autostrada prospettata dall’Avvocatura dello Stato. Ma ne dubitiamo fortemente.
Non è da ora che Mafia e Stato su tante cose la pensano allo stesso modo. E su questa in particolare.
E’ con questi chiari di luna che si avvicina il ventinovesimo anniversario della strage di Capaci.

Rielaborazione grafica by Paolo Bassani

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La rubrica di Saverio Lodato

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