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Storia di un magistrato fermato dalle carte bollate

La decisione del plenum sembra essere ormai già decisa: Pasquale Pacifico, attuale sostituto procuratore a Caltanissetta, sarà il nuovo procuratore aggiunto nella medesima procura.
Di fatto la quinta commissione lo ha votato all'unanimità per subentrare al posto lasciato da Gabriele Paci.
L'incarico, durante la scorsa consiliatura, era stato assegnato all'attuale gip di Roma, Nicolò Marino, ma la decisione era stata annullata dal Tribunale amministrativo del Lazio, prima, e dal Consiglio di Stato, dopo.
Il plenum del Csm, lo scorso marzo, accogliendo la proposta del relatore Andrea Mirenda, aveva deliberato di non opporsi alla sentenza del Tar del Lazio con cui è stata annullata la nomina del magistrato.
Una storia complessa il cui esito rispecchia il trionfo della burocrazia e del parametro delle 'carte a posto' al Consiglio superiore della magistratura.
Senza nulla togliere alle indubbie capacità di Pasquale Pacifico va ricordato che Nicolò Marino è stato scartato non per mancanza di capacità o per falle di varia natura, ma perché - come precisato dal Tar del Lazio - non poteva essere nominato perché ancora non erano trascorsi i 10 anni da un procedimento disciplinare concluso con l'ammonizione.
Nelle delibere precedenti Marino era stato descritto come un magistrato dotato di un profondo spirito di "abnegazione" e dedizione al lavoro, capace di "studio approfondito degli atti (decine di migliaia di pagine)" e attento "all'acutezza delle osservazioni sul piano fattuale e giuridico" portato anche allo "spirito di sacrificio e alla professionalità e la compostezza in situazioni di obiettiva difficoltà".
Un magistrato dalla schiena dritta che si è sempre distinto per i "risultati investigativi assai lusinghieri" e "apprezzati non solo nell’ambiente giudiziario, ma anche nella comunità sociale”. Marino, si legge, "ha curato le investigazioni riguardanti le stragi del 1992" e attentato dell'Addaura; è stato "uno dei redattori della richiesta di misure cautelari in carcere nei confronti di ulteriori responsabili della strage di via d’Amelio".


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Il magistrato Nicolò Marino


Un lavoro non facile se considerato che le investigazioni hanno necessitato di "rivalutare quanto era stato fatto in passato e ripercorrere sin dall’inizio le investigazioni, compiendo ogni possibile attività di riscontro alle dichiarazioni dello Spatuzza; esplorare le ragioni del clamoroso errore giudiziario, esaminando possibili responsabilità degli investigatori del ‘gruppo Falcone - Borsellino’, in passato delegato alle indagini; compiere, in ordine al movente della strage, lunghe e complesse investigazioni sulla c.d. 'Trattativa' tra apparati dello Stato ed esponenti di vertice di Cosa Nostra".
A fronte di questo può una condanna disciplinare adombrare tutto il profilo attitudinale di Nicolò Marino?
È ormai chiaro che la vicenda disciplinare di Marino se paragonata a trentasei anni di fruttuose funzioni giudiziarie risulta risibile.
Inoltre recenti fatti di cronaca ridanno forza ai forti dubbi sui parametri che il Csm adotta per le nomine degli incarichi direttivi e semi - direttivi, argomento già ampiamente trattato nell’ambito dello scandalo Palamara.
Basti ricordare per esempio la nomina di Rosa Patrizia Sinisi 66enne presidente della Corte d’Appello di Potenza, scelta dal Guardasigilli Carlo Nordio come vicecapo del Dog (Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria), la struttura ministeriale che da Roma gestisce l’immensa macchina della giustizia italiana.
Sull’opportunità della nomina, infatti, pesavano le chat imbarazzanti della giudice con Luca Palamara, acquisite agli atti del primo processo di Perugia a carico dell’ex ras delle correnti, che scoperchiò un sistema definito da Nordio “un verminaio”. Nei messaggi, la giudice aveva raccomandato colleghi a lei vicini per i vertici degli uffici giudiziari di tutta la Puglia, da Taranto a Brindisi, da Bari a Lecce: per questo motivo, appellandosi al prestigio della magistratura, la maggioranza dei consiglieri del Csm ha scelto di non dare il proprio assenso all’incarico. Ma la proposta favorevole è passata comunque, grazie alle astensioni del gruppo “moderato” di Unità per la Costituzione (Unicost) lo stesso a cui appartiene Sinisi e apparteneva Palamara.
Nella relazione firmata dall’ex consigliere (e ora sostituto procuratore nazionale antimafia) Nino Di Matteo si legge che la magistrata, “legata a Palamara da ragioni di militanza associativa, aveva in più occasioni interloquito con il medesimo sulle procedure di conferimento di incarichi, rivendicando addirittura in un caso ‘l’appartenenza’ del posto” a Unicost.
Alla luce di questo la domanda rimane sempre la stessa: su che basi vengono gestite le nomine dei magistrati?
Dai fatti emerge il sospetto che capacità e spirito di sacrificio non contino nulla per l’organo di autogoverno della magistratura: dall’esterno si percepisce che basta avere le ‘carte a posto’ o gli ‘agganci’ giusti.

Foto © Imagoeconomica

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