Salvatore Borsellino: “Attilio Manca e Paolo Borsellino sono vittime degli stessi assassini”
Il caso del famoso urologo siciliano trovato morto nel suo appartamento a Viterbo il 12 febbraio 2004 è stato raccontato diverse volte e in occasione della recente sentenza di Appello sulla trattativa Stato-Mafia e del processo di beatificazione dei protagonisti da parte dei grandi giornaloni, la testata giornalistica Word News, il 28 settembre scorso, ha organizzato un incontro a cui sono stati invitati Salvatore Borsellino, l’onorevole Giulia Sarti, lo scrittore Luciano Armeli Iapichino e l’on Mario Michele Giarrusso. Moderarti dal direttore della testata Paolo de Chiara e dalla collaboratrice Alessandra Ruffini, gli ospiti hanno toccato diversi punti del Caso Manca, in primis il suo collegamento con la trattativa stato - mafia per poi entrare nel tortuoso dedalo delle innumerevoli menzogne raccontate dal potere.
La conferenza stampa della procura di Viterbo: un inno all’inganno
La figura di Attilio Manca è una delle chiavi che avrebbero potuto aprire il cassetto ermetico della trattativa tra Stato e Cosa Nostra ma c’è chi ha operato attivamente affinché Attilio venisse dipinto come un drogato, un tossico, morto suicida per un’overdose provocata da un mix di droga e farmaci.
Il direttore di Word News Paolo De Chiara ha ricordato le parole del procuratore capo di Viterbo Alberto Pazienti pronunciate alla conferenza stampa dell’8 giugno 2012. Tra una risata e l’altra, come se fosse un gioco o un cabaret, il magistrato aveva rivolto alla famiglia un triste quanto censurabile invito: “I famigliari si rassegnino, non è un fatto di mafia ma una disgrazia di droga”.
La conferenza è stata un fiume di parole incoerenti, simbolo di un modus operandi pavido e grottesco, a cominciare proprio dallo sbandieramento della prova ‘maestra’ della tossicodipendenza di Attilio: l’esame tricologico del capello, bocciato poi nel 2018 in una relazione di minoranza della commissione parlamentare antimafia. Secondo i magistrati della procura di Viterbo, Attilio avrebbe già fatto uso di droga. E i due buchi nel braccio sbagliato, lui che era un mancino? Quisquilie. L’assenza delle sue impronte dalle due siringhe ritrovate con tanto di cappuccio salva-ago inserito? Dettagli insignificanti. Il suo computer? Sparito. Il suo appartamento? Quasi completamente pulito a lucido da impronte; di quelle rimaste, quattro vennero attribuite ad Attilio, cinque a persone non identificate tra amici, parenti e colleghi del medico, ed una fu assegnata a suo cugino Ugo Manca, pregiudicato per detenzione abusiva di arma e condannato in 1° grado per traffico di droga, oltre che frequentatore di molti personaggi legati alla mafia e di interesse investigativo, come Angelo Porcino, Lorenzo Mondello e Rosario Cattafi.
Tutti dettagli risibili per la giustizia italiana. Com’erano risibili per l’ex procuratore Pazienti, (visto che nella conferenza stampa si era lasciato scappare una grassa risata), le ferite sul corpo di Attilio. “Non è rotto quel naso. Lo dice l’autopsia” aveva detto l’allora pm di Viterbo Renzo Petrosseli, smentito poi seccamente sia dalle fotografie, sia dal dott. Salvatore Giancane, medico tossicologo che coordina il Ser.T di Bologna, nonché professore a contratto della Scuola di specializzazione in psichiatria.
Inoltre l’esame utopico espletato dalla dottoressa Dalila Ranalletta sul corpo di Attilio è stato etichettato dall’allora vicepresidente della Commissione antimafia Luigi Gaetti come “infame”. Davanti alle telecamere l’ex consulente della procura di Viterbo aveva tentato malamente di difendere il suo primo referto nel quale mancava l’ora del decesso e quello successivo nel quale veniva retrodatato l’orario della morte lasciando aperto il campo delle ipotesi tra le 24 e 48 ore precedenti. Certo è che il medico del 118, giunto a casa di Attilio Manca poco prima delle ore 12 del 12 febbraio 2004, aveva stabilito che dal momento del decesso a quello del ritrovamento del cadavere erano trascorse 12 ore. Poi però a telecamere abbassate la Ranalletta si era lasciata sfuggire un commento a caldo: “L’unica cosa che a me ha lasciato veramente perplessa è sapere che lì non sia stata trovata la siringa con le sue impronte, il laccio, questo mi pare piuttosto sospetto. Come fai a farti una cosa del genere senza laccio, mi pare difficile”.
In merito alla mancanza degli strumenti necessari alla preparazione dell’eroina nell’appartamento di Attilio, il pm Petroselli non ha saputo mai dare una risposta esaustiva.
Oltretutto il corpo è immortalato in una posa a dir poco anomala, come se fosse stato apparecchiato, poiché una persona morente (soprattutto sotto effetto di sostanza stupefacente), anche volendo, non è assolutamente in grado di cadere e mantenere quella posizione. Sono tutti dati riscontrabili, ma in questo Paese, l’ovvio non conta nulla.
Attilio Manca e Provenzano
Un altro punto discutibile è la presenza di Attilio all’Ospedale di Belcolle durante i giorni in cui Provenzano è stato operato alla prostata a Marsiglia nel 2003. Aveva documenti intestati a un fornaio siciliano di Villabate, tale Gaspare Troia, padre di Salvatore, un picciotto "a disposizione" del clan. Secondo un verbale in possesso della Procura di Viterbo, Attilio Manca in quei giorni stava a lavorare regolarmente a Belcolle. Peccato che quel verbale è stato redatto da Salvatore Gava, ex capo della Squadra mobile di Viterbo, condannato tra l’altro dalla Cassazione per aver falsificato i verbali sui fatti accaduti alla scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001. L’ex poliziotto, inoltre, era stato smentito durante una puntata di ‘Chi l’ha visto?” andata in onda nel 2014. Proprio nei giorni in cui Provenzano era sotto i ferri in terra francese, il dottor Manca era assente dall’ospedale. Quindi perché un capo della Squadra mobile falsifica e depista le indagini? E perché entra Provenzano in questa storia? Altro dato oggettivo è l’intercettazione del mafioso Pastoia, nell’ambito dell’operazione “Grande mandamento” del 2005. Tre giorni dopo aver detto che Provenzano era stato operato e assistito da un urologo siciliano, si era ‘suicidato’ nella sua cella.
Un Paese di ‘suicidati’ si potrebbe dire. Secondo lo scrittore Luciano Armeli Iapichino la “parola che collega Attilio alla famosa trattativa (e quindi a Provenzano) è una: Tonnarella”.
Ma perché questa contrada messinese a metà fra i comuni di Terme Vigliatore e di Furnari, in provincia di Messina, è così importante? “A fare riferimento a quel territorio - scrivono gli estensori della relazione di minoranza della commissione antimafia - furono le parole registrate da un’intercettazione ambientale del 13 gennaio 2007 (confluita nell’operazione antimafia di Messina denominata "Vivaio"), di Vincenza Bisognano, sorella del boss barcellonese Carmelo Bisognano (oggi collaboratore di giustizia), mentre si trova in auto assieme al suo convivente Sebastiano Genovese e a una coppia di amici”. “I quattro iniziarono a parlare della vicenda di Attilio Manca, collegandola alla presenza di Provenzano a Barcellona Pozzo di Gotto. Uno degli uomini in macchina, Massimo Biondo, affermò con estrema certezza che il capo di Cosa Nostra si nascose per un periodo proprio nella cittadina messinese e, riferendosi ad Attilio Manca, aggiunse: "Però sinceramente, stu figghiolu era a Roma a cu ci avia a dari fastidio? (questo ragazzo era a Roma, a chi doveva dare fastidio?)". A quel punto, Vincenza Bisognano rispose: "Perché l’aveva riconosciuto". Il soggetto a cui si sta facendo riferimento era evidentemente il boss Bernardo Provenzano, tanto che Biondo subito dopo incalzò: ‘Lo sanno pure le panchine del parco che Provenzano era latitante a Portorosa… cioè lo sanno tutti’. Portorosa ricade nel territorio di Furnari, tra il golfo di Milazzo e Tindari, a pochissimi chilometri da Barcellona Pozzo di Gotto ma, soprattutto, a un passo da Tonnarella. La stessa contrada dove i Manca avevano la loro residenza estiva e a cui fece riferimento Attilio nell’ultima telefonata alla madre”. “Questa intercettazione ambientale - viene quindi ribadito nella relazione - ha fatto parte di una delle opposizioni alle richieste di archiviazione della procura di Viterbo ma la stessa procura ha omesso di trasmettere gli atti alla direzione distrettuale antimafia di Roma”.
Pazienti: “E’ la croce che dobbiamo portarci noi”
Durante la conferenza stampa della procura di Viterbo l’allora procuratore capo si era lasciato scappare questa frase infelice. La croce che lui ha aveva detto di portare non può e non potrà mai essere più grande di quella portata tutt’ora dalla famiglia Manca, la quale si è vista addirittura esclusa dal processo come parte civile su richiesta dello stesso pm Petroselli. Un obbrobrio giudiziario che ha sbarrato la strada all’acquisizione di testimonianze di chi era più vicino ad Attilio Manca.
La madre di Attilio, avrebbe potuto raccontare dei tabulati telefonici spariti o del “vuoto totale” che si era creato intorno alla famiglia Manca nel momento in cui avevano iniziato a parlare del coinvolgimento della mafia nella morte di Attilio.
Napolitano si era interessato al caso Manca. Perché?
Sono sempre i giudici di Viterbo che per primi hanno dichiarato pubblicamente, l’interessamento alla vicenda da parte dell’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “Io sono arrivato a Viterbo nel bel mezzo di questa faccenda - ha spiegato l’allora Procuratore capo, Alberto Pazienti - La prima cosa che ho trovato sulla mia scrivania è stata la richiesta da parte della segreteria del Gabinetto del Capo dello Stato, che voleva chiarimenti in merito a questa vicenda. Io sollecitato dal Capo dello Stato mi sono guardato tutto il fascicolo e poi ne ho discusso con lui”. Ad oggi, nessuno conosce il perché dell’interessamento di Napolitano verso un caso sconosciuto all’opinione pubblica di un ragazzo liquidato come “drogato suicida”. E che cosa si sono detti il procuratore e il capo dello Stato? Domande lecite, ma cadute nel vuoto.
Le voci mai ascoltate dei pentiti
Numerose sono state le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che hanno parlato della morte di Attilio Manca. La madre, Angela Gentile, più volte ha sollecitato l’autorità giudiziaria a prestare loro attenzione ricevendo un nulla di fatto. Eppure le loro parole non lasciano molti dubbi sulla matrice della morte di Attilio e del contesto torbido in cui si muoveva: Carmelo D’Amico “Poco tempo dopo la morte di Attilio Manca, avvenuta intorno all’anno 2004, incontrai Salvatore Rugolo, fratello di Venerina e cognato di Pippo Gullotti (condannato a 30 anni quale mandante dell'omicidio di Beppe Alfano, ndr). Lo incontrai a Barcellona, presso un bar che fa angolo, situato sul Ponte di Barcellona, collocato vicino alla scuola guida Gangemi. Una volta usciti da quel bar Rugolo mi disse che ce l’aveva a morte con l’avvocato Saro Cattafi perché 'aveva fatto ammazzare' Attilio Manca, suo caro amico. In quell’occasione Rugolo mi disse che un soggetto non meglio precisato, un Generale dei Carabinieri, amico del Cattafi, vicino e collegato agli ambienti della 'Corda Fratres', aveva chiesto a Cattafi di mettere in contatto Provenzano, che aveva bisogno urgente di cure mediche alla prostata, con l’urologo Attilio Manca, cosa che Cattafi aveva fatto”; Antonino Lo Giudice il quale ha raccontato ai pm nell’ambito del processo Borsellino Quater quello che gli avrebbe detto Giovanni Aiello (alias ‘faccia da mostro’) in merito ad un urologo di Barcellona Pozzo di Gotto che lui stesso avrebbe ucciso a seguito dell'operazione di Provenzano in Francia. Il riferimento ad Attilio Manca è del tutto evidente. “Mi narrò (Aiello, ndr) di un omicidio avvenuto in Sicilia prima ancora che venisse arrestato Bernardo Provenzano... questo è un altro fatto... l'ucciso era un urologo che si era prestato di individuare una clinica... una clinica all'estero per fare operare il Provenzano”. A quel punto il pm aveva chiesto se era stato Aiello ad uccidere l'urologo. “Si, si - aveva replicato Lo Giudice -. E che quando costui fu operato, per non lasciare tracce dietro a quell'operazione, contattò un avvocato di nome Pataffio (presumibilmente Cattafi, ndr) che gli teneva i contatti e lo seguiva nelle sue cose delicate e doveva a sua volta... ah e dove a sua volta gli diede l'incarico ad Aiello per liquidare l'urologo. Il dottore venne strangolato nel suo stesso studio a Barcellona Pozzo di Gotto per conto dell'avvocato e di Provenzano”; Stefano Lo Verso; Giuseppe Setola e Giuseppe Campo il quale aveva riferito di essere stato incaricato di uccidere lo stesso Attilio e che in un secondo momento non era più necessario: “A fine febbraio - primi di marzo 2004 (omissis) mi disse che il medico era già stato ucciso, e perciò non era più necessario il mio aiuto. Mi raccontò che il medico era stato ucciso a casa sua a Viterbo, e che dell’omicidio si erano occupati il cugino Ugo Manca, Carmelo De Pasquale, ed una terza persona di cui non ricordo il nome, aggiungendo che lo avevano eseguito ‘senza fare rumore’. Rimasi stupito, e (omissis) mi spiegò che era il medico che aveva curato ‘Binnu’, e cioè Bernardo Provenzano, che all’epoca si diceva fosse nascosto nel barcellonese, e che perciò il medico ‘se lo erano portato’ fino in Francia”.
L’assoluzione di Monica Mileti scoperchia il vaso di Pandora
La terza sezione penale della corte d’appello di Roma ha assolto il 16 febbraio 2021, “perché il fatto non sussiste”, Monica Mileti, la donna coinvolta a Viterbo nell’inchiesta sulla morte di Attilio Manca. La donna era già stata condannata in abbreviato a 5 anni e 4 mesi di reclusione per la cessione dell’eroina che avrebbe ucciso Manca per overdose ma prosciolta, per avvenuta prescrizione, dall’accusa di morte come conseguenza di altro reato. L’avvocato Cesare Placanica aveva dichiarato che Mileti “era rimasta schiacciata in una storia nella quale non c’entrava niente”. Il legale della famiglia Manca Fabio Repici aveva aggiunto inoltre che “la decisione di oggi della corte d’appello ha sconfessato l’ipotesi della procura di Viterbo, non ci sono elementi per dire che ci sia stata la cessione dello stupefacente”.
L’assoluzione ha rimosso ‘la pietra tombale’ che taluni avevano cercato di mettere sul caso di Attilio Manca ed è proprio l’avvocato Placanica a rivelare l’esistenza di forze non bene identificate che hanno operato attivamente affinché il caso Manca morisse per sempre. “La procura di Viterbo - aveva dichiarato lo scorso 6 gennaio all’AGI lo stesso Placanica - mi aveva detto ‘ma falla confessare perché noi lo qualifichiamo quinto comma ed il quinto comma si prescrive a breve’. Sennonché io l’ho spiegato alla mia assistita e lei mi ha detto ‘ma io posso confessare una cosa che non ho fatto?’”. Intervistato da Paolo Borrometi l’avv. Placanica era stato alquanto diretto specificando di aver spiegato a Monica Mileti che “in teoria la può confessare, perché ottiene un’utilità”. Poi però si era posto una domanda: “Ma si può portare una a confessare una cosa che non ha fatto? Immediata era stata la reazione della madre di Attilio, Angelina Manca: “Io l’ho sempre detto - aveva commentato a caldo - ed è davvero doloroso, a quasi diciassette anni dall’assassinio di mio figlio, leggere le parole del difensore di Monica Mileti, che conferma definitivamente che la Procura di Viterbo e il pm Petroselli in questi anni hanno operato solo per occultare la verità e mettere una pietra tombale sull’omicidio di Attilio”. “Oggi - aveva aggiunto - nessuno ha più alibi: ci sono stati organismi istituzionali che hanno voluto nascondere i fatti e per questo hanno fatto la guerra contro di noi, che non volevamo permettere che la memoria di Attilio fosse infangata in modo così indecente. Mi auguro che la Corte di appello di Roma domani si renda conto che il processo a Monica Mileti celebrato a Viterbo è stato molto più che scandaloso e decida finalmente di sentire i pentiti che hanno parlato dell’omicidio di Attilio”. Durante la conferenza stampa di Viterbo l’allora procuratore Pazienti aveva detto: “La verità non è solo quella che fa piacere. La verità alle volte è anche quella che non fa piacere”. Mai parole più vere furono pronunciate.
Lo scorso 20 settembre, sempre su WordNews, l’avvocato Fabio Repici aveva annunciato una novità che potrebbe far partire nuove indagini sul caso di Attilio Manca, dicendo di aver trovato le dichiarazioni di un altro collaboratore di giustizia sconosciuto agli inquirenti capitolini e che tali dichiarazioni "riscontrano addirittura un elemento che era stato indicato non dai pentiti, ma dalla signora Manca e dal signor Manca, in relazione alla visita preannunciata ad Attilio Manca dal cugino Ugo Manca dieci giorni prima del suo omicidio, da un potente boss mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto a Viterbo”. Le dichiarazioni - ha aggiunto l'avvocato - del nuovo collaboratore di giustizia "non sono mai state esaminate dall’autorità giudiziaria di Roma" e tirano in ballo "proprio quel soggetto che dieci giorni prima della sua uccisione, Attilio Manca seppe che sarebbe andato a trovarlo a Viterbo”. Il legale ha poi specificato che "stiamo raccogliendo quegli elementi che a breve, nel giro di qualche settimana, saranno portati con una nuova denuncia all’attenzione della procura della repubblica di Roma” la quale, ha detto, "non potrà non prendere atto di quella sentenza della corte di appello di Roma e di ulteriori elementi che abbiamo. Quindi (la Procura n.d.r) dirà di far ripartire le indagini sull’omicidio di Attilio Manca”.
Paolo Borsellino come Attilio Manca
“Attilio Manca è stato ucciso sempre sull’altare di questa trattativa. Io sono convinto che Attilio quando è stato al capezzale di Provenzano ha visto delle persone che non avrebbe dovuto vedere. Uomini dello Stato, quelli che proteggevano Provenzano, per questo è stato ucciso”. In queste brevi righe, Salvatore Borsellino, durante il suo intervento, ha sintetizzato tutto il dramma e il dolore del caso Manca. “Voglio dire alla famiglia Manca che Attilio Manca e Paolo Borsellino sono vittime degli stessi assassini. Che non sono solo dentro la mafia” ha detto Salvatore aggiungendo che Attilio “è stato fatto passare per un drogato, per uno che si è ucciso da solo, quando tutte le prove sono assolutamente contrarie”.
C’è chi molto probabilmente non vorrà mai che la verità sulla morte di Attilio venga alla luce. Ma la storia è fatta di fatti e questi non si possono ignorare a lungo.
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