di Lorenzo Baldo
Sospetti, dubbi e “lacune investigative” nelle indagini sulla morte del giovane urologo
La morte di Attilio Manca? “Sin dal ritrovamento del cadavere vi sono stati episodi tali da sollevare ragionevoli dubbi circa la causa accidentale della sua morte e delle lacune investigative”. Eccola la relazione di minoranza della Commissione antimafia a firma: Sarti, Gaetti, D’Uva, Dadone e Giarrusso sul caso Manca. Si comincia dalle “circostanze attraverso le quali i genitori e il fratello di Attilio vennero a sapere della sua improvvisa morte e riuscirono ad arrivare a Viterbo per vedere la salma”. Gli estensori ci tengono a evidenziare che la morte del medico siciliano venne comunicata dallo zio, Gaetano Manca, padre di Ugo Manca, al fratello di Attilio, Gianluca Manca intorno all’ora di pranzo del 12 febbraio 2004. “Comunicò subito che, all’interno dell’appartamento di Attilio erano state trovate due siringhe, una in bagno e l’altra nella pattumiera della cucina. Stando alle sue parole, la comunicazione gli pervenne da una collega di Attilio, l’anestesista Giuseppina Genovese. Ugo Manca, il cugino della vittima, darà invece un’altra versione: a informarli sarebbe stato il primario dell’ospedale Belcolle di Viterbo, Antonio Rizzotto”. E’ il primo mistero. Appresa la notizia i genitori dell’urologo assieme al fratello minore di Attilio si recano a Viterbo. “Da rilevare - si legge nel documento - il comportamento assunto da Ugo Manca per tutta la giornata del 13 febbraio, durante la quale cercò spasmodicamente di entrare nell’abitazione del cugino Attilio posta sotto sequestro, asseritamente per recuperare dei vestiti da utilizzare per vestire la salma, nonostante gli zii gli avessero già segnalato la volontà di comprare abiti nuovi per quella triste occasione. Vistasi negata l’autorizzazione dalla famiglia del medico, Ugo Manca si recò personalmente alla procura di Viterbo cercando di farsi, inutilmente, rilasciare il permesso per entrare in casa nonostante i sigilli”. Bastano venti pagine per elencare incongruenze e omissioni da parte di chi aveva il dovere di investigare fino in fondo.
L’inizio delle indagini e l’iter del procedimento
Si comincia dal ritrovamento del cadavere di Attilio Manca. “Le indagini della procura di Viterbo - scrivono gli estensori - e della locale squadra mobile (al tempo guidata dal dottor Salvatore Gava, già indagato e poi condannato definitivamente per falso ideologico con abuso delle funzioni in relazione ai fatti del G8 di Genova) furono mirate a documentare i rapporti tra Attilio Manca e una donna romana con precedenti per droga, tale Monica Mileti che, nel pomeriggio del 10 febbraio 2004, aveva effettivamente incontrato Manca a Roma. Tuttavia la Mileti non venne nemmeno iscritta sul registro degli indagati”, come se ormai non fosse stato più necessario. “Da evidenziare, purtroppo, il fatto che la procura di Viterbo in tutto questo lasso di tempo, anche a seguito di ufficiali sollecitazioni, si rifiutò di sentire i genitori di Attilio Manca e di verbalizzarne le dichiarazioni”. E proprio su questo punto andrebbe steso un velo pietoso.
Le lacune investigative
“A causa dei mancati accertamenti e di determinate lacune investigative - si legge ancora - si sono creati dei veri e propri buchi neri nella ricostruzione dei fatti che hanno prodotto probabilmente irreparabili danni alla doverosa ricerca di verità. Vi sono, tuttavia, alcuni dati certi, occultati da vere e proprie campagne negazioniste, delle quali non si comprende la genesi”.
L’orario della morte
Immediatamente viene focalizzato “l’orario approssimativo della morte di Attilio Manca”. Come è noto il medico del 118, il dottor Gliozzi, intervenuto alle 11.45 del 12 febbraio 2004 presso l’abitazione del medico per attestarne il decesso, rilevò che Attilio Manca era morto circa “dodici ore prima”. “Del resto - viene sottolineato nel documento -, perfino la lacunosissima autopsia redatta dalla dottoressa Dalila Ranaletta, incaricata dal PM Petroselli, attestò inizialmente allo stesso 12 febbraio 2004 la data della morte del giovane medico”. Per riscontrare questo dato viene citata la dichiarazione della vicina di casa di Attilio Manca che agli inquirenti testimoniò che verso le 22:00/22:15 del giorno 11 febbraio sentì chiudere la porta dell’appartamento del dott. Manca.
“Questi dati, importantissimi perché convergenti tra loro, sono stati sostanzialmente minimizzati perché la prima relazione della dottoressa Ranalletta, il successivo esame autoptico, insieme all’integrazione richiesta poi dal GIP, presentano lacunosità tali da aver lasciato aperto il campo delle interpretazioni da parte della procura sull’effettivo e preciso orario della morte, quando sarebbe bastato effettuare correttamente l’autopsia del 13 febbraio 2004, il giorno dopo il ritrovamento del cadavere del medico barcellonese”.
La ricostruzione delle giornate del 10 e 11 febbraio
Ma cosa ha fatto Attilio Manca la giornata dell’11 febbraio 2004? A tutt’oggi nessuno lo sa. Quel giorno Attilio scompare dalla scena, non risponde al telefono e non va a due importanti appuntamenti. “Il 10 febbraio 2004 Attilio Manca era stato serenamente a pranzo dall’amica Loredana Mandoloni - si legge nella relazione -. Aveva sentito al telefono i propri genitori e aveva avuto con loro una conversazione affettuosa. Subito dopo pranzo aveva sentito al telefono il barcellonese Salvatore Fugazzotto, suo vecchio amico ma negli ultimi tempi soprattutto amico di Ugo Manca e - come raccontato da Loredana Mandoloni al fratello di Attilio, Gianluca Manca, che lo riferì agli inquirenti - a quel punto mostrò preoccupazione e fastidio, cambiando umore e sostenendo di dover incontrare a Roma persone che non aveva piacere di vedere. A quel punto si diresse a Roma da solo alla guida della propria auto. Fino a quel momento non aveva ancora avuto alcun contatto telefonico con Monica Mileti. Le telefonò, invece, quando si trovava già a Ronciglione, avendo già quindi percorso un rilevante tratto di strada sulla Roma-Viterbo”. Gli estensori ci tengono a evidenziare che la decisione di Attilio Manca di andare a Roma “prescindeva dall’incontro con la Mileti. Peraltro, non si può trascurare che il rapporto di Manca con la Mileti ha origine nell’ambiente barcellonese, visto che a presentare la Mileti all’urologo fu Guido Ginebri, altro soggetto barcellonese vicino a Ugo Manca”. “Sennonché, Attilio Manca, che aveva vissuto a Roma per oltre dieci anni e che considerava la capitale come la propria città d’adozione, mentre si dirigeva a Roma ritenne di telefonare per due volte all’ospedale di Viterbo per chiedere a una infermiera e a un collega medico, entrambi per nulla pratici della città capitolina, indicazioni su due luoghi a lui per forza noti (in un caso addirittura piazza del Popolo), come a voler lasciare tracce dei suoi spostamenti. D’altra parte, avesse davvero avuto bisogno di informazioni stradali su Roma, le avrebbe potute chiedere per strada”. “In riferimento al ritrovamento del cadavere, un dato certo è che Attilio Manca aveva ingerito del cibo poche ore prima di morire. Dove, visto che in casa non furono trovate tracce di pasti? Forse quell’11 febbraio Attilio Manca era stato fuori di casa? Dove? E con chi? Gli inquirenti non sono stati in grado di fornire risposte. Ciò che successe ad Attilio Manca nella giornata dell’11 febbraio rimane, dunque, avvolto nel mistero”.
L’ultima telefonata
Torna sotto i riflettori il mistero dell’ultima telefonata di Attilio Manca ai suoi genitori. Angelina Manca ricorda perfettamente che suo figlio li chiamò la mattina del giorno 11 febbraio 2004. Nella relazione viene evidenziato che la conversazione fra il medico e la madre “durò pochissimo e vi fu la richiesta da parte di Attilio, davvero insolita e stravagante per la stagione, di far mettere a punto e di controllare la motocicletta, che si trovava nella casa di villeggiatura, affinché fosse pronta per agosto”. “Questa telefonata - viene sottolineato - non compare nei tabulati telefonici forniti dalle compagnie riferiti al medico e ai genitori, né nella lista delle telefonate del cellulare del Manca ritrovato nel suo appartamento”. “Nelle settimane seguenti l’uccisione del figlio, i genitori di Attilio Manca scoprirono che la moto in questione, situata nella loro residenza estiva a Tonnarella, era perfettamente funzionante. Quella telefonata, apparentemente senza senso, quindi, poteva essere il disperato tentativo di lanciare un segnale?”.
L’affaire “Tonnarella”
Ma perché questa contrada messinese a metà fra i comuni di Terme Vigliatore e di Furnari, in provincia di Messina, è così importante? “A fare riferimento a quel territorio - scrivono gli estensori - furono le parole registrate da un’intercettazione ambientale del 13 gennaio 2007 (confluita nell’operazione antimafia di Messina denominata "Vivaio"), di Vincenza Bisognano, sorella del boss barcellonese Carmelo Bisognano (oggi collaboratore di giustizia), mentre si trova in auto assieme al suo convivente Sebastiano Genovese e a una coppia di amici”. “I quattro iniziarono a parlare della vicenda di Attilio Manca, collegandola alla presenza di Provenzano a Barcellona Pozzo di Gotto. Uno degli uomini in macchina, Massimo Biondo, affermò con estrema certezza che il capo di cosa nostra si nascose per un periodo proprio nella cittadina messinese e, riferendosi ad Attilio Manca, aggiunse: "Però sinceramente, stu figghiolu era a Roma a cu ci avia a dari fastidio? (questo ragazzo era a Roma, a chi doveva dare fastidio ?)". A quel punto, Vincenza Bisognano rispose: "Perché l’aveva riconosciuto". Il soggetto a cui si sta facendo riferimento era evidentemente il boss Bernardo Provenzano, tanto che Biondo subito dopo incalzò: "Lo sanno pure le panchine del parco che Provenzano era latitante a Portorosa… cioè lo sanno tutti». Portorosa ricade nel territorio di Furnari, tra il golfo di Milazzo e Tindari, a pochissimi chilometri da Barcellona Pozzo di Gotto ma, soprattutto, a un passo da Tonnarella. La stessa contrada dove i Manca avevano la loro residenza estiva e a cui fece riferimento Attilio nell’ultima telefonata alla madre”. “Questa intercettazione ambientale - viene quindi ribadito nella relazione - ha fatto parte di una delle opposizioni alle richieste di archiviazione della procura di Viterbo ma la stessa procura ha omesso di trasmettere gli atti alla direzione distrettuale antimafia di Roma”.
Le anomalie degli accertamenti medico-legali
“Quanto all’autopsia - si legge ancora -, è bene rilevare come la scelta da parte della procura quale proprio consulente della dottoressa Ranalletta si presentò fin da subito come massimamente inopportuna. Ella, infatti, conosceva personalmente il medico defunto, in quanto moglie del primario del reparto di urologia dell’ospedale viterbese, professor Antonio Rizzotto, il quale, al momento del conferimento dell’incarico alla moglie, era già stato sentito come testimone dagli inquirenti. Inoltre è stato accertato che proprio a causa dell’operato negligente del suddetto medico legale non è stato possibile stabilire con certezza l’orario della morte del Manca”.
Un (misterioso) esame tricologico
“Il chimico-tossicologo, dottor Fabio Centini, incaricato dalla procura in ausilio alla dottoressa Ranalletta - scrivono gli estensori - è stato, poi, capace di dichiarare di aver effettuato un test tricologico su un reperto pilifero di Attilio Manca, senza averne mai avuto incarico, senza saper indicare le modalità di espletamento e senza poter esplicitare nemmeno la data nella quale il presunto test sarebbe stato realizzato. Tutto ciò in assenza di comunicazioni al legale della famiglia, che avrebbe potuto altrimenti nominare un secondo consulente all’atto del test. Ciò rileva poiché il test tricologico è un esame irripetibile, ovvero implica la distruzione del reperto analizzato. Nulla di questo, però la certezza, da parte del consulente, che all’esito del test da lui autoassegnatosi, era risultato un pregresso uso di eroina da parte di Attilio Manca”. “Eppure - viene ulteriormente evidenziato -, è noto a tutti che l’esame tricologico, quando realmente effettuato e quando praticato con modalità ortodosse, consente perfino la datazione della pregressa assunzione di sostanza stupefacente. Invece, nel caso di Attilio Manca, connotato da tutte le anomalie sopra descritte, pure il presunto test tricologico deve essere incasellato nella forzosa costruzione virtuale di chi ha deciso che la morte dell’urologo barcellonese andasse liquidata come il banale decesso di un imprudente eroinomane. Sì, imprudente, e pure consapevolmente, se si considera che il medico, in concomitanza con la doppia iniezione di eroina, avrebbe assunto anche un flacone e mezzo di sedativo Tranquirit, contenente abbondantissima dose di benzodiazepina, sostanza che ha concorso a provocarne la morte. Con la conseguenza che, se si volesse essere fedeli al principio di realtà, nell’ipotizzare l’assunzione volontaria di eroina da parte di Attilio Manca, si dovrebbe concludere per una volontaria scelta di morte: un suicidio, evenienza che, però, dagli inquirenti viterbesi è stata decisamente destituita di fondamento. Già sulla scorta di questi dati certi e inconfutabili non può essere in alcun modo convalidata l’ipotesi prospettata dalla procura di Viterbo”.
Parte 2/3 (segue)
In foto: Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare antimafia
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