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caccia bruno web2di Aaron Pettinari
Rocco Schirripa è stato condannato all'ergastolo come esecutore materiale dell'omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia, assassinato dalla 'ndrangheta nel 1983 a Torino. E' questa la sentenza della Corte d'Assise di Milano. "Una sentenza giusta” ma "non è ancora stata fatta completamente giustizia” perché “ci sono ancora tanti aspetti da indagare e pezzi di verità da aggiungere". Così hanno commentato Paola e Cristina Caccia, le figlie del Procuratore di Torino Bruno Caccia, la condanna di Rocco Schirripa, il 64enne panettiere di Torrazza Piemonte, accusato di aver ucciso il magistrato. Un processo che è giunto al suo ultimo atto soltanto dopo un lungo travaglio, dopo che, a causa di un errore di procedura, un primo processo nei confronti del presunto killer si è chiuso con una sentenza di "non doversi procedere per assenza di condizioni di procedibilità" il 30 novembre a causa di un 'errore procedurale della Procura di Milano che non aveva chiesto la riapertura delle indagini non essendo a conoscenza di un precedente fascicolo archiviato.
Lo scorso 25 maggio il sostituto procuratore della Dda Marcello Tatangelo aveva concluso la propria requisitoria chiedendo l'ergastolo per l'imputato: Rocco Schirripa è al di là di ogni ragionevole dubbio colpevole. Non sappiamo quale ruolo abbia avuto Schirripa nell'omicidio ma sappiamo che c'era. Non sappiamo se è stato lui a sparare. Certo, il gruppo di fuoco comprendeva più di due persone, erano verosimilmente almeno quattro o cinque". Secondo l'accusa Caccia fu assassinato per “il suo estremo rigore” e per l’interesse verso le “attività finanziarie” del clan calabrese che impedivano all’organizzazione di fare affari nonostante la compiacenza di altri magistrati legati alle cosche.
Secondo l’accusa Schirippa è l'esecutore materiale dell'omicidio. Tra le prove che lo incastrerebbero vi sono le intercettazioni tra Domenico Belfiore, unico condannato (come mandante) per l'omicidio, e il cognato, Placido Barresi. Inoltre la Procura di Milano e la squadra mobile di Torino che ha fatto le indagini, hanno raccolto la collaborazione di un nuovo pentito, Domenico Agresta, che indica Schirripa come autore dell'omicidio insieme a una seconda persona.
In questo momento i sospetti degli investigatori si sono concentrati su Franco D’Onofrio, ex esponente di Prima Linea molto vicino alla criminalità calabrese (anche lui, come Schirripa, è stato coinvolto nell’inchiesta “Minotauro” sulle cosche torinesi, in cui è stato condannato in appello). Potrebbe anche non essere l’unico. La famiglia Caccia assieme al legale Fabio Repici, ritengono invece che non siano stati approfonditi altri livelli e altri interessi su cui Bruno Caccia stava indagando, tra cui il riciclaggio del denaro della mafia siciliana nei casinò del Nord Italia.
Fabio Repici, il legale di parte civile, nel corso del suo lungo intervento, pur sostenendo che “non c'è alcun dubbio” che Domenico Belfiore “sia corresponsabile dell'omicidio” e che lo sia anche Schirripa, ha insistito proprio sulla “pista alternativa” che intreccia mafia e servizi segreti. Durante l'arringa ha fatto notare come anche nel processo a quest'ultimo, così come "13 anni fa nel processo Belfiore", "si è bloccato ogni accertamento ulteriore, si è preso l'albero per non prendere l'intero bosco".
E adesso, nonostante la sentenza, si apre un nuovo capitolo perché la famiglia non smetterà di chiedere quella “parte di verità che ancora manca”. "Avevamo indicato una pista alternativa - hanno sottolineato le figlie di Caccia - ma ci è stato detto che il perimetro dell'indagine era più ristretto. Sono passati 34 anni dalla morte di nostro padre, ma questo è comunque un passo avanti. Fa arrabbiare che debbano essere i familiari a pungolare perché sia fatta giustizia". Un leit motive che nella storia del nostro Paese, purtroppo, sentiamo troppo spesso.

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