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via damelio c fotogrammadi Aaron Pettinari
C'è un nuovo fascicolo aperto dalla Procura di Caltanissetta per il depistaggio dell'inchiesta sulla strage di via D'Amelio e ad essere coinvolti sono sei poliziotti del pool investigativo del gruppo Falcone-Borsellino, diretto dall’ex Questore (deceduto) Arnaldo La Barbera.
Tra questi vi sono Giacomo Pietro Guttadauro e Domenico Militello (dettaglio emerso lo scorso 15 gennaio durante il Borsellino quater, ndr), che si occuparono di Vincenzo Scarantino durante il suo periodo di detenzione a Pianosa.
I due sottoufficiali erano stati risentiti nel processo lo scorso 20 febbraio ma si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Nell'inchiesta della Procura nissena però, oltre a Militello e Guttadauro, sarebbero coinvolti anche altri quattro poliziotti dello stesso “pool”.
Il filone investigativo dunque resta più che mai aperto dopo che nelle scorse settimane il Gip nisseno Alessandra Giunta ha archiviato l'indagine sui tre poliziotti Vincenzo Ricciardi, Mario Bo e Salvatore La Barbera che erano indagati per calunnia aggravata in quanto avrebbero indotto Salvatore Candura, Francesco Andriotta e Vincenzo Scarantino a mentire in merito alle stragi del '92 coinvolgendo nell'inchiesta persone estranee all'attentato.
Nella richiesta di archiviazione il Procuratore capo nisseno Sergio Lari, oggi Procuratore generale, ed i pm Stefano Luciani Gabriele Paci scrivevano che “le investigazioni condotte” nei primi anni Novanta sulla strage di via d'Amelio aprivano “uno squarcio su uno scenario che non pare esagerato definire inquietante”.
“Inoltre - aggiungevano ancora i magistrati nel documento - non può sottacersi come l’intera vicenda che ha avuto come epilogo la celebrazione dei primi due processi per la strage di via D’Amelio sia tra le più gravi, se non la più grave in assoluto, della storia giudiziaria di questo Paese. E non può che conseguentemente essere ritenuta grave ed inqualificabile la condotta di quegli investigatori che hanno significativamente contribuito ad allontanare la verità processuale, costruendo un castello di menzogne che ha condotto a risultati che lasciano davvero attoniti”.
Secondo i pm i tre “falsi pentiti”, principali accusatori dei funzionari, erano “fonti estremamente scivolose” per arrivare ad un eventuale processo, ma questo non significa che “si sia maturata la convinzione che soggetti come il Candura, l’Andriotta e lo Scarantino possano essere ragionevolmente riusciti, da soli e senza alcun tipo di ausilio, ad imbastire una trama tanto complessa e, in fin dei conti, risultata convincente in più gradi di giudizio”.
Ed è dalle dichiarazioni di Scarantino che si riparte per ricostruire quanto avvenuto. Il picciotto della Guadagna più volte ha ribadito che gli venne suggerito cosa dire ai pm, di avere recitato insomma una sorta di copione con tanto di appunti a margine dei verbali scritti proprio dagli agenti.
Che sia avvenuto un depistaggio in quelle indagini è praticamente certo e ne è convinta anche la Procura nissena che aveva descritto proprio il capo del gruppo Falcone-Borsellino, Arnaldo La Barbera, come il “protagonista assoluto dell’intera attività di depistaggio”. I pm avevano messo nero su bianco la sua affiliazione dall’86 all’88 al Sisde, con il nome in codice “Rutilius”, avvenuta grazie all’interessamento del suo fidato amico del Sisde Luigi De Sena. Resta del tutto singolare che nel periodo di affiliazione “nessun documento sarebbe stato redatto dal dott. La Barbera durante il suo rapporto di collaborazione con il Sisde”.
Elementi che contribuiscono ad accrescere l'alone di mistero su quelle indagini e su quella strage. Se al depistaggio si aggiunge anche la sparizione dell'agenda rossa di Paolo Borsellino ecco come appare sempre più evidente come la strage di d'Amelio si possa considerare a tutti gli effetti come una “strage di Stato”.

Foto © Fotogramma

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